Prima dell'edizione in volume, fu pubblicato a puntate, tra il 19 febbraio e il
28 maggio 1949, sul settimanale «Il Mondo». Alcuni episodi e personaggi del
romanzo erano già apparsi nel 1948 sul «Corriere della sera» e sul «Tempo
illustrato».
Il romanzo, dedicato alla moglie (l'attrice Anna Proclemer) e preceduto da
un'epigrafe dal Consalvo di Giacomo Leopardi, è suddiviso in dodici capitoli
numerati raggruppabili in tre parti.
La prima parte (capitoli I-V) consiste in una sorta di commedia degli equivoci,
del gallismo siciliano e fascista. Protagonista ne è il catanese Antonio
Magnano, che suscita nelle donne incontenibili pulsioni e fantasie erotiche e
che nel 1932, laureatosi in legge, si stabilisce a Roma in un ambiente di
arrampicatori sociali in cerca dell'amicizia di qualche donna «influente» o di
qualche uomo «potente». Alla fine del 1934, salutato lo zio Ermenegildo Fasanaro,
intellettuale amico dello scrittore De Roberto, che depreca i tempi «di noia e
di schifo» del regime, riparte per Catania.
Antonio vi torna con la fama di dongiovanni e di protetto del ministro K., della
cui moglie sarebbe l'amante. Suo padre Alfio rafforza questa voce, sebbene
Antonio smentisca, anche perché ad essa si deve il matrimonio combinato con
Barbara Puglisi, figlia di un ricco notaio interessato alla sostituzione del
podestà. Una serie di circostanze fortuite (ultima tra le quali la nomina a
podestà di Edoardo Lentini, cugino del protagonista) conferma la fama di Antonio
come personaggio politicamente 'potente', tale fama si aggiunge a quella di
potenza sessuale di cui il vecchio Magnano è il più trepido e orgoglioso
divulgatore fino a quando il consuocero gli annuncia, tre anni dopo le nozze,
che Barbara sta per chiedere alla Sacra Rota l'annullamento del matrimonio, non
ancora consumato.
La seconda parte (capitoli VI-IX) è incentrata sulla rivelazione dell'impotenza
sessuale (oltre che politica ed esistenziale) di Antonio. La commedia volge al
dramma e al patetico nella confessione di Antonio allo zio Ermenegildo, che
definisce i problemi del nipote una «potente distrazione di un dolore diverso
dal suo». In questo passo cruciale si confrontano infatti due diverse forme di
«nausea» esistenziale, di impotenza, dolore e pessimismo che possono affliggere
l'uomo: nei confronti, rispettivamente, della storia e della natura. La nausea
storica di Ermenegildo è originata dalla guerra di Spagna, dai massacri in nome
delle «belle parole» di «civiltà cristiana e giustizia sociale», che rivelano
l'incubo di un mondo «brutto» e di uomini «bruttissimi», da cui solo la morte
può liberare. La nausea sessuale di Antonio ha una più incerta e segreta
origine, di natura psichica (e non fisiologica, visto che egli ha avuto rapporti
sessuali); essa sembra dovuta, da una parte alla scoperta del sesso in un
bordello, dall'altra a una concezione angelicata dell'amore.
L'ultima parte (capitoli X-XII) inizia con lo scoppio dello scandalo e il
preannuncio di un'altra, più rovinosa, conflagrazione che porta in primo piano
l'aspetto storico e politico del romanzo. Assurge qui a ruolo di protagonista
Edoardo Lentini che, disgustato dal regime, si dimette da podestà e frequenta un
gruppo di antifascisti riuniti intorno all'avvocato Bonaccorsi, maturando un
intransigente odio politico il cui manicheismo gli frutta l'accusa di essere
rimasto, in fondo, un fascista. Il gruppo è frequentato anche da Fasanaro, che
si dichiara né fascista né antifascista ma del «partito dei vermi», e da Alfio
Magnano che, travestendo di motivazioni politiche il proprio risentimento per
l'annullamento, nel giugno 1939, del matrimonío del figlio e per le nuove nozze
di Barbara, vagheggia il ruolo di «pubblico accusatore nei tribunali del
popolo». Anche Antonio, dopo che è caduta pure l'illusoria apparenza della sua
importanza politica, frequenta gli antifascisti per i quali, gli assicura il
cugino, «contano soltanto le qualità morali di una persona» (in quanto, dicono
invece i fascistelli che provocano Alfio Magnano per strada, sono tutti «sminchiati»).
L'epilogo si svolge nell'agosto del 1943. Morto Ermenegildo Fasanaro, suicida
per non diventare comunista o cattolico e per protestare contro una filosofia
idealista che accetta serenamente i contrasti e le assurdità della vita (ai
quali egli preferisce la «disperazione con cui i grandi del passato gridavano di
non comprenderli e tanto meno accettarli»); morto Alfio Magnano, durante un
bombardamento in casa di una prostituta, «per lavare l'onore della famiglia
infangato dal figlio», come dice la scritta tracciata da una mano anonima sulla
sua lapide, Edoardo vive con ansia l'attesa del ritorno della libertà, sui cui
limiti (servilismo, conformismo, ribellismo) s'interroga, ma è imprigionato per
il suo passato fascista. Liberato, tenta di riflettere con Antonio sulle curiose
contraddizioni della libertà d'opinione in rapporto alla sopraggiunta democrazia
e al comunismo, ma Antonio, annoiato, si addormenta. Quando, svegliatosi,
comunica lieto al cugino che il sogno di un rapporto sessuale gli ha finalmente
ridestato i sensi, Edoardo lo rimprovera di non pensare alla tragedia storica
che lo circonda e di essersi fatto una «religione» di «quel chiodo in testa».
Edoardo replica, rovesciandole, le accuse rivolte ad Antonio dai fascisti il cui
gallismo, peraltro, emula quando stupra la figlia del portinaio. In seguito,
vergognandosi, Edoardo confessa l'accaduto al cugino, che invece lo invidia. I
due piangono assieme e il loro pur diverso pianto suggella l'impossibilità, per
entrambi, di uscire dalle rispettive contraddizioni: Antonio, «adolescente
tardivo», non può uscire dalla propria impotenza psichica, ed Edoardo è
anch'egli, metaforicamente, bloccato in un'opposta, nevrotica, illusione di
potenza nei confronti della storia che il passaggio dal fascismo
all'antifascismo non risolve ma riproduce.
Il romanzo riprende il tema del gallismo, connesso a quello di un erotismo
platonico, di «una specie di stilnovismo patologico» (Leonardo Sciascia), e lo
coniuga con il tema della storia e del fascismo. Alcune punte satiriche
rimandano a Il vecchio con gli stivali, ma, nel complesso, predomina un tono
meditativo che, assieme alla dolorosa confessione del protagonista, attenua
umoristicamente la comicità. limitata ai personaggi secondari. Pregnante, in
questo senso, il richiamo a Pirandello, a «un vedersi e sentirsi vivere erotico»
che «perviene all'impotenza fisiologica come ad una particolarità di quella
impotenza esistenziale cui pervengono molti personaggi di Pirandello» (ancora
Sciascia).
Brancati s'inserisce nella tradizione letteraria siciliana con una carica di
pessimismo esistenziale che, attraverso De Roberto, si collega a Leopardi.
E del 1960 un adattamento cinematografico con la regia di Mauro Bolognini;
sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini; musica di Piero Piccioni; interpreti
Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Pierre Brasseur, Rina Morelli.
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