Tutti i capitoli dell'opera furono anticipati negli «Atti dell'Accademia dii
Scienze morali e politiche della Società reale di Napoli» (Napoli 1864). In
particolare, nel numero LIII: i «Capitoli introduttivi di una storia dell'Europa
nel secolo decimonono» (corrispondenti ai capitoli I-III, pubblicati in volume
con gli stessi titoli: «La religione della libertà», «Le fedi religiose
opposte», « Il romanticismo»); nel numero LIV: «Dal 1815 al 1848. Considerazioni
storiche», «Le rivoluzioni del 1848, il compimento del moto liberale-nazionale e
la crisi del 1870» , «Considerazioni sulla storia d'Europa dal 1871 al 1914»
(corrispondenti ai capitoli IV-X, pubblicati in volume con titoli differenti).
I primi due capitoli furono poi ripubblicati anche in Croce-Einaudi, Liberismo e
liberalismo, a cura di Paolo Solari.
Due le edizioni in volume riviste dall'autore: la seconda e la terza, uscite
entrambe, nello stesso anno della prima.
Nel Contributo alla critica di me stesso Croce stabilisce un nesso tra la Storia
d'Italia dal 1871 al 1915, pubblicata nel 1928, e la Storia d'Europa. La crisi
morale e politica del periodo postbellico, infatti, aveva spinto l'autore a
ripercorrere gli avvenimenti che avevano portato all'unità d'Italia:
«l'obbrobrio, lo spregio e lo scherno, che non solo per queste cagioni ma per
calcolata azione partigiana venivano gettati sulla modesta e onesta e solida
opera dei nostri padri e nostra, onde l'Italia prese il suo posto nella moderna
cultura e nella politica internazionale, mi accesero l'animo a narrare la Storia
d'Italia dal 1871 al 1915». D'altra parte quella crisi non era solo italiana, ma
riguardava più globalmente «il mondo moderno» e consisteva «nel rifiuto
dell'ideale morale della libertà». Si spiega in tal modo la dedica dell'opera a
Thomas Mann, seguita da una terzina dell'Inferno di Dante (XXIII, 28-30): «Pur
mo venian li tuoi pensieri tra i miei / con simile atto e con simile faccia, /
sì che d'entrambi un sol consiglio fei» (detto da Virgilio a Dante, mentre
fuggono dalla quinta bolgia, inseguiti dai diavoli Malebranche).
Nei primi tre capitoli Croce enuncia il concetto di libertà come «criterio
esplicativo e direttivo» della storia, al di là delle contingenze che sembrano
obnubilarla o, addirittura, conculcarla: suo intento è, dunque, quello di
mostrarne il progressivo consolidarsi, contro opposizioni e ostacoli,
nell'Ottocento e fino a tutto il primo decennio del Novecento. Dall'affermazione
della libertà come supremo valore etico discende «la religione della libertà»,
che l'involuzione conservatrice innescata dalla Restaurazione non è riuscita a
cancellare: figlia del pensiero moderno, che è dialettico e storico, essa
presuppone una determinata concezione della realtà e un'etica «conforme», mentre
rifiuta il carattere mitologico delle religioni tradizionali. Se tutte le
«religioni artíficiali» o «religioni dell'avvenire» nate nel secolo
diciannovesimo sono tramontate, la «religione della libertà» ha prima convissuto
con le antiche religioni e poi le ha ricomprese in sé, poiché sentiva di
«rappresentarne le migliori esigenze».
Nel secondo capitolo Croce esamina le differenze tra la religione della libertà
e le altre religioni: in primo luogo il cattolicesimo - perlomeno nella figura
storica che ha assunto a partire dalla Restaurazione, ossia «il clericalismo» -,
che svaluta la vita mondana come semplice preparazione a quella ultramondana ed
è portatore di una concezione autoritaria. La religione della libertà, invece,
crede in un fine intrinseco alla vita stessa e riconosce il metodo della libera
iniziativa e della iniziativa individuale.
Ma forte opposizione incontrò il liberalismo in altre due «religioni». La prima
è quella dell'assolutismo monarchico: «Il monarcato assoluto concepiva i re come
pastori dei popoli e i popoli come greggi da menare al pascolo»; la seconda, che
sembra a torto confondersi con il liberalismo, è l'ideale democratico. Questo,
infatti, teorizza l'uguaglianza di fatto tra gli individui, mentre il
liberalismo riconosce a essi l'uguaglianza di diritto, che comporta una società
differenziata per compiti e ruoli. I democratici «postulavano una religione
della quantità, della meccanica, della ragione calcolante o della natura,
com'era stata quella del settecento; gli altri [i liberali] una religione della
qualità, dell'attività, della spiritualità». Infine, il confronto si istituisce
con il comunismo, di cui il liberalismo condivide la concezione immanenteistica
e terrena della vita, ma non il materialismo. Per il comunismo l'economia è
fondamento e matrice di tutte le altre espressioni della creatività umana:
religione, poesia, filosofia. La società, così, si trasforma in un «meccanismo;
e poiché un meccanismo [...] non lavora da sé e ha bisogno di chi lo metta in
moto e lo regoli, essa, di necessità, verrebbe regolata da una perpetua
dittatura».
Nel terzo capitolo Croce stabilisce un nesso tra nascita del liberalismo e
diffondersi del romanticismo, distinguendo tra romanticismo «teoretico e
speculativo» e romanticismo « sentimentale e morale». Il primo si oppose all'accademismo
e intellettualísmo tipico della cultura illuminista, e dette origine alla nuova
poesia e alla nuova scienza estetica, mentre il secondo, definito «il male del
secolo», ne rappresentò una forma decadente che vagheggiava il ritorno alla
trascendenza religiosa e all'adesione al principio d'autorità.
Nelle battute finali del capitolo, l'autore chiarisce il suo intendimento: egli
vuole ricostruire la storia europea, analizzando le forze profonde, cioè
spirituali e morali, che muovono gli eventi, gli uomini e le loro azioni. Esse,
tutte insieme, sono componenti di un'unità, ossia di quel processo nel quale la
religione della libertà si afferma. Da questo particolare punto di vista Croce
ripercorre, nei sette capitoli successivi, le concrete vicende storiche dalla
metà dell'Ottocento fino alla prima guerra mondiale.
Il moto liberale sorto con la Rivoluzione francese non fu bloccato dai
provvedimenti conservatori della Santa Alleanza (capitolo IV), e riemerse
prepotente fra il 1830 e il 1847, gli anni della lotta per l'indipendenza in
Italia e Germania e del processo di democratizzazione in Francia e Inghilterra
(capitoli V-VI). Al centro della ricostruzione crociana domina, in Europa, tra
il 1851 e il 1870, l'unità d'Italia, grande successo del liberalismo,
contrapposto all'avvento di Bismarck in Germania. Qui, infatti, tornarono a
mettere radici le tendenze autoritarie: «tutto quanto si era attuato con
l'ordinamento liberate e nazionale della società europea tutto era stato in
strettissima relazione col pensiero idealistico e storico. Dov'era più la grande
filosofia, e la storiografia che vi si informava, in Europa, intorno al 1870?».
L'idealismo, in Germania come in tutta Europa, aveva ceduto il passo al
positivismo, che usurpava la supremazia al pensiero a favore della scienza
naturale. Ciò significò il trasferimento delle leggi deterministiche della
natura - nella quale domina e sopravvive il più forte - al campo della politica
e all'ínterpretazione della storia (capitoli VII-VIII). L'età liberale si
consolidò negli anni Settanta in gran parte d'Europa (Francia, Inghilterra e
Italia): «La società europea andava tutta a democrazia, come si diceva, e meglio
si sarebbe detto che usciva dalla tutela di ristretti gruppi dirigenti», Il
capitolo si diffonde quindi a descrivere il rapporto tra liberalismo e
socialismo con una tesi di fondo: lì dove, come in Francia e in Inghilterra, i
governi ebbero la saggezza di accogliere le nuove istanze sociali (le
rivendicazioni salariali e politiche dei lavoratori), fu neutralizzato, di
fatto, il programma rivoluzionario dei socialisti, in particolare fu scongiurata
l'instaurazione della futura società del comunismo. Diversa sorte ebbe, invece,
la Germania, che si oppose con metodi autoritari alla sempre più pressante
propaganda socialista: Bismarck, infatti, optò per sistemi repressivi e fece
votare nel '78, dopo aver sciolto il parlamento, la legge d'eccezione che
proibiva le associazioni e la stampa antigovernativa. «Nonostante lo smarrimento
che queste proibizioni e le loro severe sanzioni ingenerarono», commenta Croce,
«i socialisti mantennero praticamente le loro file».
Sebbene la politica interna fosse ispirata, ormai quasi dappertutto in Europa,
ai principi liberali (alle idee della individualità nazionale e della libertà
politica, in particolare), ciò non si era verificato nei rapporti tra gli Stati
che, coerentemente con tali principi, avrebbero dovuto tendere a una politica di
alleanze. Gli anni tra il 1871 e il 1914 furono invece caratterizzati dai
contrasti tra Francia e Germania e tra Germania e Inghilterra, animate da
interessi imperialisti e nazionalisti. Il conflitto mondiale segnò l'esplodere
definitivo di una politica così ispirata e si concluse con un trattato, quello
di Versailles, che umiliò i vinti: «i vincitori [...] traevano al loro tribunale
l'eroico avversario, grondante il sangue di cento battaglie, e si ergevano sopra
lui giudici di moralità ed esecutori di giustizia».
Nell'«Epilogo», Croce sottolinea la continuità tra l'Europa prebellica e quella
postbellica: gli stessi odi nazionalistici contrappongono gli Stati che sono
percorsi da un pericoloso «attivismo» belligerante. Le dittature di destra e di
sinistra che sono emerse sullo scenario europeo, e la nuova ondata clericale
nella quale gli spiriti deboli confidano, dimostrano ancora una volta che solo
la «religione della libertà» è capace di progettare un nuovo ordine. L'unione
europea degli Stati potrà, così, essere realizzata, superando i contrapposti
particolarismi, solo grazie agli ideali e i metodi del liberalismo.
La Storia d'Europa fu scritta e pubblicata in una temperìe politica carica di
tensioni e drammatici rivolgimenti: dopo la prima guerra mondiale - alle soglie
della quale Croce aveva formulato per la prima volta l'intenzione di scrivere
un'opera storica sul secolo diciannovesimo (Contributo alla critica di me
stesso) -, le dittature avevano sostituito o stavano per sostituire i governi e
le istituzioni liberali. Proprio in questo momento il filosofo decise di
ripercorrere la genesi dei valori che li avevano ispirati, scrivendo quello che
dagli antifascisti fu considerato un manifesto politico, «un atto di fede nelle
libere istituzioni che l'Europa ottocentesca aveva, con coraggio e prudenza
insieme, saggiamente elaborato» (Giuseppe Talamo).
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