Luigi
De Bellis

 


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Menzogna e sortilegio

 
 

La storia

 
 

L'isola di Arturo

 
     

 





Elsa Morante



MENZOGNA E SORTILEGIO: Romanzo


La prima stesura del romanzo, dal titolo Vita di mia nonna, risale al 1943. Dopo aver vissuto l'esperienza «tragica e fondamentale» della guerra, l'autrice riprende il lavoro di scrittura e dal 1944 al 1948 si dedica alla seconda e definitiva stesura.

L'opera è strutturata in sei parti, a loro volta suddivise in numerosi capitoli, introdotti da uno o più titoli dall'intonazione ironica e melodrammatica; il racconto è aperto da una «Introduzione alla storia della mia famiglia» e chiuso da un «Epilogo seguito da un Commiato in versi». Le poesie Alla favola, Ai personaggi e Canta per il gatto Alvaro fanno da cornice alla complessa costruzione romanzesca, definendo i temi principali del libro: la centralità della finzione letteraria e il ruolo predominante dell'io narrante, che tiene le fila delle vicende di una famiglia i cui componenti sono immersi nella menzogna e prigionieri delle proprie ossessioni. I primi tre capitoli dell'«Introduzione» presentano la figura della narratrice, Elisa, una ragazza di venticinque anni cresciuta come una reclusa nella casa della sua protettrice, Rosaria, prostituta di alto bordo, amata dalla giovane come una seconda madre. Dopo la morte della donna, la solitudine a cui la goffa e ritrosa fanciulla era abituata si popola di apparizioni fantastiche, oniriche e meravigliose: sono i suoi parenti, che incarnano la leggenda familiare nella quale l'io "recitante" si immerge «al pari di un archeologo che parte verso una città leggendaria, per disseppellire, alla fine, solo delle povere macerie». I «fantastici morti» cominciano a visitarla ogni notte, costringendola ad ascoltare l'«impercettibile bisbiglio della memoria» e a ricostruire, come una «fedele segretaria», l'epopea bizzarra e menzognera di cui sono stati protagonisti. Questo espediente narrativo permette all'autrice di addentrarsi nelle vicende di un passato remoto per portare alla luce i tormenti psichici dei suoi personaggi: l'adorata madre Anna, divinità altera e scostante; il padre Francesco, disprezzato dalla figlia e odiato dalla moglie; il misterioso cugino Edoardo, idolo incontrastato di Anna e motore dei destini altrui; la solare e generosa Rosaria; la nonna Alessandra, simbolo dell'amore materno selvaggio e incondizionato. In realtà la storia narrata è quella di una povera famiglia borghese siciliana, i cui membri sono dominati da un'ambizione che li spinge verso un mondo aristocratico ormai in disfacimento, visto nella sua apparenza favolosa, quasi mitica. Il luogo della vicenda è una città del «triste Mezzogiorno», probabilmente Palermo, indicata solo con l'iniziale e descritta in modo minuzioso ma tutt'altro che realistico, tale da lasciare sospesi i personaggi in uno spazio indefinito, metaforico e claustrofobico: negli ambienti angusti dei poveri appartamenti di periferia si consuma gran parte del dramma familiare di Elisa. L'arco temporale del racconto va dalla fine dell'Ottocento ai primi anni del Novecento, ma la Storia rimane fuori dalle cronache oniriche di Elisa, tutte incentrate sulle vicende tragiche e fatali che hanno colpito i suoi cari.

«Il discorde concerto dei morti» ha inizio con la storia della nonna materna, Cesira, un'istitutrice di famiglia modesta che, per interesse mal calcolato, sposa un anziano nobile, Teodoro Massia. L'uomo, giocatore accanito e donnaiolo, ha ormai sperperato il proprio patrimonio, ma l'ambiziosa maestrina vede in lui la possibilità di accedere al mondo aristocratico e alla vita sfarzosa vagheggiata fin dall'infanzia. Dopo il matrimonio la coppia si trasferisce in un modesto appartamento; la relazione naufraga tra risentimenti e incomprensioni, e la nascita della loro unica figlia, Anna, contribuisce solo a inasprire l'indole isterica della madre, mentre Teodoro nutre per la figlia un affetto puro e appassionato. Durante una passeggiata in città, avviene l'incontro destinato a segnare il destino di Anna, quello con il cugino Edoardo Cerentano, figlio di Concetta, sorella minore di Teodoro. Il bambino biondo, appena intravisto da una fastosa carrozza si trasforma in un'immagine luminosa, che alimenta le fantasie di Anna e le speranze del padre. Il vecchio, umiliato dalla moglie e abbruttito dall'alcol, trascorre gli ultimi anni a letto, immobilizzato dalla malattia e assistito con totale devozione dalla figlia. Le uniche visite che riceve sono quelle di Nicola Monaco, amministratore dei Cerentano, che vuole convincerlo a rivendicare dei diritti su un'eredità, con il nascosto intento di ricattare Donna Concetta quando si fosse accorta degli ammanchi causati dalla disonesta gestione del suo patrimonio. L'uomo gli porta notizie della sorella, rimasta vedova, e dei nipoti, Edoardo e Augusta; dai suoi racconti emerge la vera figura del cugino, un fanciullo arrogante, viziato e vanitoso, cresciuto nell'idolatria assoluta della madre; agli occhi di Anna questi difetti non fanno che accrescere la considerazione che nutre per il ragazzo, fino a fargli assumere una statura favolosa, quasi divina.

La seconda parte inizia con l'incontro casuale tra Anna e Edoardo, avvenuto tre anni dopo la morte di Teodoro, da cui nasce una relazione alimentata dalla cieca adorazione della fanciulla e dal desiderio narcisistico del ragazzo di rispecchiarsi nella cugina. Anna, candida e pudica, si sottomette a ogni umiliazione inflittale dal sadismo ingenuo e raffinato del cugino, fino a farsi segnare il volto con una piccola cicatrice per avere su di sé un marchio tangibile dell'appartenenza all'amato. Dopo pochi mesi, l'idillio si interrompe per un'improvvisa febbre che consuma Edoardo durante tutta l'estate: sono le prime avvisaglie della tisi, che porterà il giovane ad una fine prematura. Guarito, Edoardo vede sotto una nuova luce il rapporto morboso e immaturo con la cugina, e si separa da lei dopo un ultimo incontro, al quale si reca con un nuovo amico, Francesco De Salvi, uno studente universitario che si innamora perdutamente della bella e altera Anna. Francesco è il figlio illegittimo di Nicola Monaco e di una giovane contadina, Alessandra, che nasconde a tutti la vera origine del figlio e lo alleva con la segreta ambizione di farne un gran signore, come il vero padre. Quando la madre gli rivela la verità, egli immagina una mitica origine nobiliare, ma l'amara scoperta di avere come padre un truffatore, licenziato dai Cerentano e morto in carcere, fa cadere ogni illusione. Il giovane apprende queste notizie da Edoardo, con il quale stringe una salda amicizia; il cugino tenta di avvicinare l'amico ad Anna e concupisce Rosaria, una prostituta innamorata di Francesco. Il disegno ordito da Edoardo riesce in pieno: il tradimento di Rosaria viene scoperto e la ragazza è costretta a lasciare la città; Anna sposa Francesco per necessità, logorata dall'amore per il cugino e ridotta in miseria per aver rifiutato il sussidio dei Cerentano. Intanto Edoardo inizia il pellegrinaggio nei sanatori per vincere il suo male, alternando ai ricoveri viaggi favolosi in tutto il mondo.

Dall'infelice unione di Francesco e Anna nasce un'unica figlia, Elisa. Con l'arrivo in scena della narratrice come personaggio, muta la prospettiva della narrazione. Elisa cessa di ascoltare «le voci defunte» dei familiari e comincia a interrogare la propria memoria, risvegliando i ricordi dell'infanzia cupa e funesta, a partire dalla morte della nonna Cesira, avvenuta quando aveva nove anni. Il ménage domestico della famiglia De Salvi è dominato dal disgusto di Anna per la vita squallida che è costretta a condurre e dall'odio per il marito, ora impiegato alle Poste; la donna, chiusa nel suo orgoglio, è insensibile anche alla devozione della figlia, che la venera con lo stesso sentimento «d'un selvaggio alla presenza d'un simulacro sfolgorante». Nelle due parti finali si dispiega il racconto degli ultimi mesi di vita dei parenti di Elisa e il percorso ineluttabile che ha condotto la famiglia alla rovina. Il primo a morire è Edoardo, consumato dalla tisi: la sua tragica fine getta nello sconforto Anna, che non lo ha mai dimenticato, e trascina nelle spire della pazzia Donna Concetta, che rifiuta di accettare la morte del figlio adorato. Le due donne si uniscono in un folle culto del defunto: Anna legge alla donna finte lettere del cugino, per mantenere nella mente malata della madre l'illusione che egli sia ancora in vita. In realtà queste missive vengono scritte da Anna, sotto la dettatura del fantasma di Edoardo, che la visita nelle sue notti insonni e riprende a tiranneggiarla con il suo amore viziato e capriccioso. La presenza onirica dell'amato riaccende nel cuore della donna la passione, suscitando la folle gelosia di Francesco, che pure ha ripreso a frequentare Rosaria, tornata in città da ricca prostituta e ancora innamorata di lui. La piccola Elisa assiste impotente al disgregarsi dell'ambiente familiare, fino alla tragedia imprevista che mette fine alle sofferenze dei suoi genitori: Francesco muore travolto da un treno mentre è in servizio; Anna impazzisce per il rimorso di non aver mai contraccambiato l'amore del marito e spira dopo un lungo delirio, vegliata dalla figlia e dalla pietosa Rosaria. Rimasta sola, Elisa abbandona la città natale e si trasferisce a Roma con la sua benefattrice. Il cerchio del racconto si chiude nel punto in cui aveva preso inizio, con la morte di Rosaria; ora Elisa, liberata dai fantasmi, può innalzare l'ultimo canto al suo fedele compagno, il gatto Alvaro, muto testimone della sua fulgida e ingannevole epopea familiare.

L'opera prima di Elsa Morante è stata scritta per «salutare la fine della narrativa romantica e post-romantica, ossia dell'epopea borghese» con un romanzo che fosse «l'ultimo possibile nel suo genere». Sfruttando gli stilemi del romanzo ottocentesco e utilizzando elementi e tematiche codificati dalla tradizione, l'autrice fa largo uso di cliché letterari («i parenti poveri e quelli ricchi, le orfanelle, le prostitute dal cuore generoso»); tuttavia l'uso demistificatorio del linguaggio colloca il romanzo nell'ottica dell'ambiguità novecentesca.

Il romanzo vinse il premio Viareggio nel 1948, ma fu accolto con perplessità da una critica disorientata dalla mole e dall'originalità del testo. Negli anni Sessanta Gyórgy Lukàcs lo definì «il più grande romanzo italiano moderno».

 

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