Questa prima raccolta comprendeva originariamente quarantasette componimenti
suddivisi in quattro sezioni. Nel 1936 molte delle poesie confluirono nella
raccolta Erato e Apòllion, antologia con un saggio introduttivo di Sergio Solmi,
costituita di cinquantasette poesie, sempre divise in quattro parti. Nel 1938
venticinque poesie della raccolta originaria entrarono a far parte di Poesie,
con un saggio introduttivo di Oreste Macrí e bibliografia a cura di Giancarlo
Vigorelli; le stesse poesie nel 1942 costituirono la quarta sezione di Ed è
subito sera.
Successivamente la raccolta divenne la prima sezione di Tutte le poesie, 1960.
Il libro è il risultato di una rigorosa selezione, compiuta da Quasimodo e da
alcuni amici di Messina (tra cui Salvatore Pugliatti, Glauco Natoli e Vann'Antò),
di una produzione che data dal 1917. Nelle venticinque poesie scelte per la
redazione finale le forme metriche più frequenti sono versi liberi,
endecasillabi, settenari, ottonari e novenari. L'intera raccolta si articola
intorno ai due elementi dell'acqua e della terra. Essi configurano
geograficamente la Sicilia come paesaggio di malinconiche rievocazioni, amato e
insieme perduto, con l'«andatura leggera e alata di un inno» (Eugenio Montale).
Così, per esempio, in Vento a Tìndari: «Tíndari, mite ti so / fra larghi colli
pensile sull'acque / dell'isole dolci del dio, / oggi m'assali / e ti chini in
cuore»; in Albero: «Da te un'ombra si scioglie / che pare morta la mia / se pure
al moto oscilla / o rompe fresca acqua azzurrina / in riva all'Anapo, a cui
torno stasera»; in Terra: «Notte, serene ombre, / culla d'aria, / mi giunge il
vento se in te mi spazio, / con esso il mare odore della terra / dove canta alla
riva la mia gente / a vele, a nasse, / a bambini anzi l'alba desti».
Tanto è forte il potere evocativo dell'acqua, che talora in esso il poeta
addirittura si immedesima, come si registra in Fresca marina: «A te assomiglio
la mia vita d'uomo, / fresca marina...»; o in Specchio: «e sono quell'acqua di
nube / che oggi rispecchia nei fossi / più azzurro il suo pezzo di cielo». Con
procedimento speculare, le acque vengono umanizzate e rese capaci di provare il
dolore dell'anima, come in Ariete: «e un'ansia prende le remote acque / di
gelidi lauri nudi iddii pagani».
Accanto ai soggetti delle terre e delle acque, vivono nella raccolta il
sentimento dell'esilio, il senso di una solitudine che non può essere consolata
neanche dalla presenza di altri uomini, il peso di una inquietante desolazione
che si fa universale e viene espressa da un linguaggio scarnificato e contratto,
come appare evidente fin dalla lapidaria poesia di apertura, Ed è subito sera:
«Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è
subito sera»; e ancora in Vento a Tìndari: «Aspro è l'esilio, / e la ricerca che
chiudevo in te / d'armonia oggi si muta / in ansia precoce di morire; / e ogni
amore è schermo alla tristezza, / tacito passo nel buio / dove mi hai posto /
amaro pane a rompere»; oppure nell'incipit (che intitola la poesia): «Anche mi
fugge la mia compagnia»; o in In me smarrita ogni forma: «Altra vita mi tenne:
solitaria / fra gente ignota; poco pane in dono».
Persino la preghiera non è appello o richiesta che attende risposta, ma
contemplazione dolente, chiuso monologo interiore: «Mi trovi deserto, Signore, /
nel tuo giorno / serrato ad ogni luce» (Si china il giorno); «In povertà di
carne, come sono / eccomi, Padre; polvere di strada / che il vento leva appena
in suo perdono» (Avidamente allargo la mia mano).
Su tale poesia così si esprimeva Eugenio Montale nella sua recensione: «una
poesia che tende ad alzarsi con la leggerezza del respiro e a ritrovare
attraverso semplici inflessioni di voce e impreviste, ma accettate, fortune
d'architettura e di stile quella pàtina di distacco, quel sereno acume
dell'intelligenza che furono vanto della poesia dei classici».
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