Nel 1946, a Milano, Giancarlo Vigorelli pubblicò nei «Quaderni di "Costume"» una
raccolta di diciotto poesie intitolata Con il piede straniero sopra il cuore,
che, con l'aggiunta di due, l'anno successivo fu intitolata Giorno dopo giorno e
fu pubblicata con un'introduzione di Carlo Bo.
La raccolta, composta da brevi testi in endecasillabi sciolti e versi liberi, è
interamente dedicata alle vicende italiane durante la seconda guerra mondiale, e
si configura come una lucida testimonianza dell'ispirazione civile di Quasimodo.
L'impossibilità del canto al cospetto della tragedia storica è dichiarata
nell'incipit di Alle fronde dei salici: «E come potevamo noi cantare»; e subito
dopo, ancor più risolutamente, negli ultimi tre versi: «Alle fronde dei salici,
per voto, / anche le nostre cetre erano appese, / oscillavano lievi al triste
vento».
All'interno della raccolta è possibile rintracciare due tematiche principali:
quella in cui il poeta si fa portavoce del dolore di un intero popolo (Alle
fronde dei salici; La notte d'inverno, Forse il cuore, Milano, agosto 1943,
Scritto forse su una tomba, Di un altro Lazzaro, Giorno dopo giorno, Uomo del
mio tempo); e quella in cui al dolore collettivo si aggiunge, in tono drammatico
o elegiaco, il dolore individuale (Lettera, 19 gennaio 1944, Neve, la muraglia,
O miei dolci animali, A me pellegrino, Dalla rocca di Bergamo alta, Presso
l'Adda, S'ode ancora il mare, Elegia, Il traghetto, il tuo piede silenzioso).
Percorre quasi tutte le pagine di questa raccolta la desolazione di un paesaggio
in rovina, attraversato dalle stagioni: l'inverno, con «d'erba dura di ghiaccio»
(Alle fronde dei salici), con la neve che «illumina dai prati / come luna» e si
fa lugubre teatro di «questo cerchio bianco di sepolti» (Neve); l'autunno che
«guasta il verde ai colli» (O miei dolci animali); l'estate, con il polveroso
agosto milanese (Milano, agosto 1943); la primavera, con il «lamento assiduo di
gabbiani: forse / d'uccelli delle torri, che l'aprile / sospinge verso la
pianura» (S'ode ancora il mare). La natura, sempre presente, porta spesso i
segni devastati della morte e della distruzione, collegando l'angoscia
individuale con la ferita collettiva. Su tutto, natura e uomini, pesa un buio
siderale ed esistenziale, una luce d'incubo: «questa profondissima / notte di
guerra» (19 gennaio 1944), nella quale persino il sole di un pomeriggio allo
stadio è ricordato per la presenza dell'ombra («Tu ricordi questo luogo / dove
la grande stella salutava / il nostro arrivo d'ombre» La muraglia).
A partire dall'introduzione di Carlo Bo all'edizione del 1947, la critica si è
mostrata sostanzialmente concorde nel rilevare in Giorno dopo giorno continuità
e innovazione: da un lato Quasimodo restava coerente con la sua poetica
originaria (accanto agli esiti di uno stile logico-discorsivo sono presenti,
infatti, procedimenti linguistici e analogici propri della lirica ermetica),
dall'altro esibiva sviluppi e modulazioni classicheggianti. Un aspetto, quest'ultimo,
che ha indotto a giudicare Giorno dopo giorno «un'operazione troppo
scopertamente volontaria» (Gianni Pozzi).
È oggi fondamentale l'edizione in Poesie e discorsi sulla poesia, a cura e con
introduzione di Gilberto Finzi, prefazione di Carlo Bo.
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