L'ampio sottotitolo presenta poi la struttura del libro e conferma il gusto,
tipicamente saviniano, per la commistione dei generi: «16 racconti preceduti da
un autoritratto dell'autore, da una prefazione e una dedica: accompagnati da 8
disegni dell'autore e 9 "occhi"; arricchiti da una postilla e una variante» .
Uno dei temi e delle linfe costanti di questi racconti, fin dai ricordi solari
dell'infanzia ellenica, è la morte, segno originario della nascita e del nulla.
Savinio stesso scrive nella prefazione: «nella vita "degli" uomini la cosa più
importante è la morte. Morire è un problema: I più arrivano alla morte esausti,
allo stato di larve e passano di là come succhiati da un aspirapolvere».
In particolare, nel racconto Il Signor Munster il protagonista riesce alla fine
a vedere il suo passato e il suo futuro, perché essi confluiscono l'uno
nell'altro, senza più limitazioni dettate da categorie rigide: la sua stessa
morte, che potrebbe essere anche solo immaginata (non si capisce infatti se egli
sia effettivamente morto), non fa più paura, si ricongiunge al resto della vita,
e il disfacimento progressivo del corpo è osservato in maniera affettuosamente
umoristica «Quando il Signor Munster tornò a sedersi sul divano, avvenne una
cosa che lo incuriosì straordinariamente e assieme lo divertì:, il suo cuore
rallentò le pulsazioni e finalmente cessò di battere. «"Non ho più cuore", pensò
il Signor Munster, "eppure sono ancora vivo"».
Anche in Casa «la Vita», che dà il nome all'intera raccolta, nel distacco di
Aniceto dalla madre, vissuto come definitivo, e nella sua partenza su una nave
che procede nell'oscuro mare dell'eternità, la fine dell'esistenza è
accompagnata da un senso di sollievo, perché libera dai fastidi quotidiani, dai
conformismi e dagli obblighi formali. L'acqua, il mare appunto, è il simbolo
della libertà e dell'ansia di conoscenza. Il fondo del mare è il fondo
dell'inconscio; esso accoglie o rifiuta gli esseri umani e si pone al centro di
Un maus in casa Dolcemare ovvero i Mostri marini, in cui i mostri sono tutto ciò
che non partecipa al mondo protetto, a quella che, nella comoda maschera
dell'abitudine, viene ritenuta realtà. Un mare fuggevole e insidioso -
"divinamente stupido» - che non comprende il dolore (come anche in Walde "Mare")
e i cui colori scuri sono ben diversi dalle limpide acque greche dell'infanzia
dell'autore, concepita come luogo mentale e letterario. -
Il tema dell'infanzia, che rimane peraltro centrale in tutta l'opera di Savinio,
ricompare anche in Stortala vita sana?: il protagonista, Malino, nella miseria
del male e sotto l'effetto dell'etere, ubbidisce all'infermiera come un bimbo
ubbidisce alla mamma e si sdoppia, guardandosi da fuori e irridendo se stesso;
nello stesso tempo, però, si apre al sogno, che per Savinio rappresenta sempre
la possibilità di superare le barriere del tempo e di rendere uguali eventi,
figure, oggetti, cancellandone le gerarchie.
Sempre nell'orizzonte della morte e del distacco, il senso dell'inafferrabilità
della vita e della perdita sono i temi centrali di Figlia d'imperatore (dedicato
alla baronessa di Oettingen e ambientato nel circolo intellettuale di
Apollinaire e della rivista «Les Soirées de Paris») e di Flora. L'arte saviniana
tende ad abbassare il tragico e la serietà, a riabilitare l'umoristico, la
«divina frivolezza», per arrivare al gioco, all'ironia, a quel dilettantismo che
non è mai superficialità o semplice automatismo, bensì possesso della materia e
volontà di goderne. Del resto, gioco e humour sono assi portanti dell'universo
surrealista (e Dada), con cui Savinio, anche per la sua attività di artista
figurativo, aveva avuto rapporti diretti. A questo processo di smitizzazione non
sfuggono neppure gerarchie e modelli istituzionali, come avviene in Trololò nei
confronti della figura paterna, deposta dal piedistallo dell'autorità e
ridicolizzata dal confronto con l'intelligenza e il decoro del piccolo cane
bastardo. Il cane, dal nome «assurdo e arrotolato come una molla», riunisce
dunque in sé la statura morale e la dignità che mancano al suo padrone.
Nei racconti di Casa «la Vita», il linguaggio di Savinio, che in molte opere
precedenti risultava onnivoro e centrifugo, senza punti fermi, si fa più freddo
e controllato e il suo umorismo diventa più sottile. Di rilievo le motivazioni e
la struttura degli «occhi», brevi componimenti isolati, in versi e non, che
intervallano i vari racconti: l'«occhio», per Savinio, è l'organo principale, il
filtro della realtà e della conoscenza, che permette la percezione e talvolta lo
straniamento degli oggetti, l'avvicinamento e l'allontanamento dei particolari.
Dal punto di vista stilistico, questi «occhi» appaiono delle fenomenologie
epigrammatiche, fondate su veri e propri giochi di parole e bisticci etimologici
e fonici, contraddistinti spesso da un ampio margine di disincantata, ma
studiata infantilità.
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