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La giovinezza. (1928/1954) La rivoluzione cubana. (1955/1959) Il ministro, l'uomo di Stato. (1960/1964) Il ritorno all'azione, la morte. (1965/1967) > La politica cubana L'internazionalismo rivoluzionario. La morte del che. |
Nel 1960 - a iniziare dalla riforma agraria - giungono le prime
nazionalizzazioni decise da L'Avana, a cui Washington reagisce con ritorsioni
economiche e rescindendo i contratti di fornitura del petrolio. In rapida
successione vengono nazionalizzate le raffinerie americane Texaco e Esso, la
britannica Shell. Poi, le grandi piantagioni di zucchero. Nel settembre dello
stesso anno Castro stila la Dichiarazione dell'Avana nella quale si fissa il
ruolo di Cuba in America Latina: l'isola si schiera a fianco degli oppressi e
degli sfruttati dal capitalismo e dall'imperialismo. Nel 1961 si avvia la
"campagna di alfabetizzazione" che rafforza il consenso popolare nei confronti
della rivoluzione: migliaia di studenti si dirigono in ogni angolo dell'isola
per sconfiggere la piaga dell'analfabetismo. Il 3 gennaio si interrompono le
relazioni tra Stati Uniti e Cuba. La rivoluzione corre verso la sua scelta
socialista. Washington inizia a pensare che la rivoluzione cubana vada isolata
economicamente e politicamente. Il totale embargo economico viene messo in opera
unilateralmente dal governo americano nel 1962.
Il primo episodio di "internazionalismo" che investe Cuba si verifica il 17
gennaio 1961. Viene assassinato in carcere Patrice Lubumba, primo ministro del
Congo, reo di aver chiesto aiuti militari all'Unione Sovietica per bloccare la
secessione del Katanga. E' deposto dal capo militare Joseph Mobutu. A L'Avana,
quando giunge la notizia della morte di Lubumba, si decide di proclamare tre
giorni di lutto nazionale. L'isola è tradizionalmente sensibile a quanto accade
nel continente nero: i cubani si sentono afro-latinoamericani per le
contaminazioni che la loro cultura ha subito nel corso dei secoli, dopo l'arrivo
degli schiavi provenienti dall'Africa che servivano alla coltivazione dello
zucchero. Intanto gruppi guerriglieri che inneggiano a Cuba si organizzano in
Guatemala, Venezuela e Perù, mentre gli echi della rivoluzione algerina (Algeri
diventa indipendente dalla Francia nel 1962) si diffondono in altri paesi
africani.
Il 17 febbraio 1961 gli Stati Uniti danno l'ok al tentativo (che fallisce ben
presto) di invasione di Playa Girón che ha per protagonisti molti cubani
trasferitisi in Florida. Il via libera viene dal presidente John Fitzgerald
Kennedy, eletto alla Casa Bianca poche settimane prima. Il 16 aprile, alla
vigilia della tentata invasione e per la prima volta, mentre si svolgono i
funerali dei cittadini dell'Avana uccisi nel corso di un raid aereo statunitense
sulla capitale Castro parla della natura socialista della rivoluzione cubana.
"Non accettano che abbiamo fatto una rivoluzione socialista sotto il loro naso",
dice di fronte a una folla assiepata davanti al cimitero Colón della capitale.
La tentata invasione viene sventata: il comando delle operazioni a Playa Girón è
assunto direttamente da Castro, mentre Guevara va ad assumere la direzione
dell'esercito nella zona di Pinar del Rio. I prigionieri catturati dai cubani
verranno restituiti agli americani in cambio di un ingente quantitativo di
medicinali. La rivoluzione ci tiene alle sue simbologie: Davide irride al
gigante Golia.
La rapida sequenza di avvenimenti serve per riassumere il contesto in cui a
L'Avana cresce l'interesse per la politica estera. Il 9 aprile Guevara pubblica
il primo testo in cui abbozza le sue idee internazionaliste, "Cuba, eccezione
storica o avanguardia nella lotta anticolonialista?". Il ministro dell'industria
sostiene in quello scritto che l'isola dei "barbudos" non è affatto
un'eccezione, ma semplicemente il primo paese latinoamericano a mettere in
discussione la dipendenza economica dagli Stati Uniti. Il "Che" suggerisce il
metodo della "lotta armata contro l'imperialismo". Ma diventa molto prudente,
quando ad agosto interviene a Punta del Este, in Uruguay, al vertice economico
dei paesi dell'Organizzazione degli Stati americani: "Non possiamo fare a meno
di esportare un esempio, perché l'esempio è qualcosa di spirituale che travalica
le frontiere. Diamo invece la garanzia che non esporteremo la rivoluzione. Diamo
la garanzia che da Cuba non si muoverà un fucile per andare a combattere in
qualche altro paese d'America".
Guevara, nello stesso vertice di Punta del Este, ha un incontro a quattr'occhi
con Richard Goodwin, portavoce personale del presidente Kennedy. Nel corso del
colloquio - che è stato rivelato solo moltissimi anni dopo nella biografia
scritta da Jon Lee Anderson e avvalorato da fonti ufficiali cubane - il ministro
dell'industria, su mandato di Castro, cerca di convincere l'esponente americano
a una sorta di mediazione: Cuba non vuole rinunciare alle caratteristiche della
sua rivoluzione, ma non ha intenzione di entrare in rotta di collisione con gli
Stati Uniti e di esportare fuori dai suoi confini il proprio esperimento
politico. La proposta è tutto sommato un buon vicinato in cui rispettare le
reciproche convinzioni politiche. Goodwin, il 22 agosto, redige un rapporto
indirizzato al presidente Kennedy: Guevara, a suo dire, avrebbe ringraziato gli
americani per la tentata invasione di Playa Girón, perché aveva permesso il
consolidamento della rivoluzione cubana oltre ogni aspettativa; e avrebbe anche
rivelato, in un colloquio tutto sommato distensivo, le preoccupazioni della
leadership cubana per le difficoltà economiche che si vivevano all'interno
dell'isola. Il diplomatico suggerisce al suo presidente una linea opposta a
quella auspicata dal "Che" e da Castro: è il momento buono per stringere Cuba
nel cerchio dell'embargo economico e dell'isolamento politico.
Quell'episodio dimostra qual è in quel momento la linea di condotta del governo
dell'Avana. Forse Castro e il gruppo dirigente cubano scelgono solo
progressivamente l'alleanza con Mosca per intelligenza tattica e perché non ci
sono alternative per consolidare e istituzionalizzare la rivoluzione, eppure non
c'è dubbio sul fatto che l'intransigenza di Washington finisce per rompere tutti
i ponti del dialogo. Guevara, dall'Uruguay, volerà nei giorni successivi in
Brasile e Argentina per incontri riservati con gli esponenti dei due governi. In
entrambi i casi la sua sola presenza in quei due paesi provoca la reazione dei
militari che spodestano coloro che hanno deciso di ricevere il ministro
dell'industria di Cuba (Janio Quadros, presidente del Brasile; Arturo Frondizi,
presidente dell'Argentina).
La "crisi dei missili" dell'ottobre 1962 imprime un'ulteriore svolta alla
politica cubana. Il 14 ottobre un aereo spia americano fotografa una serie di
basi missilistiche costruite sull'isola dai sovietici per installarvi ordigni
nucleari. La richiesta è stata avanzata da Castro che teme nuovi tentativi di
aggressione da parte degli Stati Uniti e accettata da Nikita Krusciov (a Mosca,
a firmare il trattato militare, viene inviato Raul Castro). Kennedy, annunciando
una manovra navale intorno all'isola, dà l'ultimatum ai sovietici: quelle
operazioni vanno sospese, pena un conflitto armato. Mosca si piega senza neppure
consultare Castro sulla decisione finale. Momenti di tensione si vivono in tutto
il mondo. Si teme un conflitto dagli esiti imprevedibili tra Usa e Urss.
A iniziare dal 1962, prima dell'esito della "crisi dei missili", Guevara forma
un gruppo che lavora a sostenere i movimenti rivoluzionari dell'America Latina.
A coordinarlo è Manuel Piñeiro Losada, chiamato da tutti "Barba Roja". Quando
Krusciov è costretto dalle minacce militari americane a bloccare l'installazione
dei missili con testata nucleare a Cuba, quel gruppo intravede la possibilità di
mettere in pratica una strategia autonoma dall'Unione Sovietica. "Io non posso
ammettere - dice Fidel in un discorso a L'Avana, dopo la conclusione della crisi
- che Krusciov abbia accettato di ritirare i missili senza il minimo accenno a
un minimo accordo con il governo cubano. Noi non siamo un satellite. Krusciov
vuole la pace e anche noi la vogliamo. Ma nessuno ha il diritto di calpestare la
nostra sovranità". Per le strade di Cuba si ascolta uno slogan irriverente per i
sovietici che risveglia l'orgoglio nazionale: "Nikita, mariquita, lo que se da
non se quita!" (Nikita, pederastra, quel che si è dato non si porta via!).
Guevara critica la scelta sovietica, mentre Cuba chiede che gli Stati Uniti -
come condizione del ritiro dei missili sovietici - revochino il blocco economico
verso l'isola.
La fase più acuta dei contrasti tra Cuba e Urss viene in parte ricomposta nel
novembre del 1962, quando sull'isola giunge Anastas Mikoyan. La visita ufficiale
dura ben ventiquattro giorni e sarà seguita l'anno successivo da un viaggio di
Fidel a Mosca. Ma quelle tensioni forse hanno un'influenza sulle decisioni
successive di Guevara che può aver trovato il consenso di Castro.
Il contrasto con i sovietici è in quella fase strategico, non solo riferito alla
"crisi dei missili". Fin dalla vittoria della loro rivoluzione i cubani
polemizzano con i partiti comunisti dell'America Latina: a loro dire, proprio
quanto è accaduto a L'Avana con il Movimento 26 luglio dimostra che il
continente può essere percorso da altre rivoluzioni a condizione che i partiti
comunisti appoggino i movimenti di guerriglia e quanti agiscono fuori (e spesso
in contrasto) dalle forze tradizionali della sinistra. Sotto accusa - seppure in
modo un po' celato - è la strategia del dialogo tra i partiti comunisti che si
riconoscono nella politica di Mosca e le borghesie nazionali dei diversi paesi.
Più in generale, è nel mirino la politica di "coesistenza" pacifica tra Usa e
Urss che - senza alternative in Europa - si dimostra deleteria per i movimenti
di liberazione del Terzo Mondo.
Guevara si trova tra il 1962 e il 1965 in una bizzarra situazione. E' stato lui
che ha influenzato molte delle scelte filosovietiche di Cuba e che ha portato a
L'Avana i primi consiglieri economici dell'Est, eppure le sue teorie sullo
sviluppo economico e la pianificazione dell'economia iniziano a essere messe in
minoranza mentre svolge l'incarico di ministro dell'industria. E' lui il primo
che scorge i pericoli di burocratismo insiti nel modello sovietico importato a
Cuba e che tenta di prenderne le distanze. La "crisi di ottobre" può avergli
insinuato il dubbio che anche la politica estera dei sovietici si rivela una
gabbia per l'esperienza rivoluzionaria cubana. Di qui la scelta di un'altra
strategia da sperimentare in altri paesi dell'America Latina e del Terzo Mondo.
Molto probabilmente in quella fase Guevara intuisce che una chance per Cuba sta
nella capacità di estendere la rivoluzione in America Latina, per evitare che
L'Avana passi dalla dipendenza dagli Stati Uniti a quella dall'Unione Sovietica
(sta qui l'accordo con Castro?). Si spiega così la sua frenetica attività tra il
1962 e il 1965 per coordinare l'attività dei movimenti guerriglieri nel resto
del continente (punta innanzitutto a preparare un gruppo che possa far scoccare
la scintilla in Argentina e fa capire che potrebbe unirsi ben presto a quei
combattenti sul terreno di battaglia). Ecco perché può aver trovato l'assenso di
Castro quando, nel 1965, gli comunica la decisione di voler lasciare l'isola per
altre cause rivoluzionarie. Del resto, come vedremo, i contrasti tra L'Avana e
Mosca proseguono con alti e bassi fino a poco dopo la morte di Guevara.
Del ristretto gruppo dei collaboratori del "Che" fa parte anche Tamara Bunke,
conosciuta da Guevara a Berlino nel 1960 nel corso del suo viaggio nei paesi
comunisti: gli faceva da interprete nel corso degli incontri con le autorità
della Repubblica democratica tedesca (Rdt). La donna è figlia di ebrei comunisti
che erano sfuggiti al nazismo trovando rifugio in Argentina. Aveva fatto ritorno
in patria quando era stata fondata la Rdt. Sei mesi dopo quell'incontro a
Berlino, la Bunke va a vivere a Cuba e lavora nel gruppo di collaboratori del
"Che" (è molto probabile che fosse anche una informatrice della Stasi, i servizi
segreti della Repubblica democratica tedesca). E' lei che viaggiando in alcuni
paesi latinoamericani informa Guevara sulle possibilità di organizzazione di
movimenti rivoluzionari.
Il ministro dell'industria deve però stemperare i suoi entusiasmi quando si reca
per la seconda volta a Mosca nel novembre 1964. Vede confermate le divergenze
strategiche con i sovietici: dai colloqui riceve l'impressione che i dirigenti
di quel partito comunista non aiuteranno la strategia rivoluzionaria per
l'America Latina che si sta mettendo a punto a L'Avana. Anzi, a Mosca si
sospetta che il "Che" abbia simpatie per le posizioni dei comunisti cinesi, che
polemizzano con l'Urss proprio sulla strategia della "coesistenza pacifica" con
gli Stati Uniti (in quel momento la frattura tra Mosca e Pechino è verticale e
si riflette sul movimento comunista internazionale che si divide tra le due
opzioni). Mao Tse Tung, nel pieno della rivoluzione culturale cinese, insiste
nel dire che la guerra con l'imperialismo è la tendenza naturale della storia. A
L'Avana, di rimbalzo, chi non è d'accordo con Guevara lo accusa di essere
"trotzkista" e "maoista". Alle spalle, intanto, ci sono le sconfitte dei gruppi
rivoluzionari in Argentina e Perù: vengono uccisi molti amici del "Che" e
scompare in Argentina senza lasciare tracce di sé Jorge Ricardo Masetti (si
suicida?), un argentino che aveva contribuito a organizzare a L'Avana l'agenzia
di stampa "Prensa latina" e che stava preparando il terreno nel paese natale con
altri guerriglieri per un possibile arrivo del ministro dell'industria di Cuba.
L'11 dicembre 1964 Guevara si reca a New York per rappresentare Cuba
all'Assemblea generale delle nazioni unite. Nel suo discorso condanna duramente
la politica imperialista degli Stati Uniti e inneggia alle lotte di liberazione
in America Latina, Asia (da alcuni mesi gli americani sono intervenuti
direttamente in Vietnam contro i comunisti di Ho Chi Minh) e Africa. Nelle sue
parole un posto di rilievo lo occupa la vicenda del Congo, dove le forze
progressiste cercano di resistere al colpo di Stato di Mobutu. In quelle
giornate passate a New York Guevara incontra il leader dei neri americani
Malcolm X di ritorno dall'Africa e dal Medio Oriente. I due discutono proprio
della situazione del Congo.
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