Le istanze narratologiche dei Promessi sposi: il narratore

 

Come si può notare da un'analisi approfondita dell'incipit, il romanzo si apre con il racconto di un autore anonimo del Seicento; tale racconto viene interrotto da un altro autore che prende parola per criticare l'anonimo, anche se, alla fine, ne proseguirà il racconto, dopo averne confermato la storicità, curandone la nuova «dicitura».

L'artificio del manoscritto, oltre ad aprire il romanzo con una pagina di colore storico, ha soprattutto un rilievo narratologico. La distinzione fra l'estensore della storia e il suo editore, cioè il narratore manzoniano, apre un interessante gioco di voci narranti. Da un lato c'è il piano oggettivo dei fatti raccontati dall'anonimo e verificati su base documentaria dal narratore, dall'altro cè il piano soggettivo dei commenti fatti ora dall'anonimo, ora dal narratore stesso, che esprime pareri, aggiunge dettagli, stabilisce relazioni fra i singoli eventi in una gamma di interventi che va dall'ironia allo sdegno, alla polemica argomentata. Anonimo e narratore non sono quindi un doppione l'uno dell'altro, ma due voci distinte, che dialogano alternando il consenso al dissenso, il distacco dell'ironia alla complicità.

Dove è Manzoni in tutto questo? Manzoni prende, infatti, le distanze sia dal narratore, perché quest'ultimo crede all'esistenza del manoscritto (che, invece, è palesemente un'invenzione letteraria); ancor più lontano è, sia per lingua che per 'finzione letteraria', dall'anonimo autore del manoscritto.

Capiamo, quindi, quale distanza ci sia fra AUTORE e NARRATORE: il narratore, infatti, non si presenta come Alessandro Manzoni che ha ritrovato un manoscritto. Manzoni, infatti, vuole costruire un narratore che, ritrovato il manoscritto, desidera narrarne la storia, dopo averne verificato l'attendibilità storica e dopo averne modificato la lingua.

È ugualmente evidente che Manzoni, pur mostrando la differenza rispetto al narratore e rispetto all'anonimo, si trova è ovviamente dietro ad entrambi; le diverse riapparizioni del narratore durante il corso della vicenda ci rivelano un narratore lontano, ma pensieri dello stesso autore.

 

Il Narratore

Assodato che narratore ed autore non coincidono, possiamo esaminare a vicino la figura del narratore dal punto di vista narratologico:

  1. è un narratore ESTERNO, poiché non partecipa alla storia che racconta, ma è solo voce narrante e parla in terza persona; per questo motivo lo definiamo ETERODIEGETICO, perché è èteros = 'altro', 'estraneo' alla diègesis = 'vicenda narrata';

  2. è un narratore PALESE, quando rivela la sua funzione di narratore, intervenendo spesso per spiegare, commentare, giudicare o solo richiamare l'attenzione del lettore;

  3. è ONNISCENTE, perché fin dall'inizio conosce antefatti ed epilogo della storia (ha infatti letto tutto il manoscritto. Inoltre, conosce anche le ragioni inespresse dei personaggi, i loro sogni, i loro sentimenti reconditi. Da tale posizione derivano le molte indicazioni di regia che torviamo nel testo, che ci avvertono dove si sta spostando la narrazione e ci permettono così di non perdere nessun passagio diegetico importante ai fini della ocmprensione del contenuto.

  4. il racconto è a FOCALIZZAZIONE ZERO, perché, come abbiamo detto, narratore possiede una conoscenza illimitata su fatti e personaggi, e interviene liberamente nel testo, anticipando eventi che devono ancora accadere e mettendo a nudo pensieri e sentimenti dei personaggi. Ma, facendo attenzione a diversi passi del romanzo, ci si può facilmente accorgere che il narratore sembra quasi 'entrare' nella mente di alcuni dei personaggi (per lo più i protagonisti - cfr. il capitolo VIII con il famoso brano «Addio, monti sorgenti dall'acque», soliloquio di Lucia, riportato integralmente dal narratore), lasciando al lettore la sensazione di assistere ai fatti narrati con gli occhi del personaggio stesso. Si può quindi affermare che la focalizzazione dell'intero romanzo sia variabile, cioè passi dalla focalizzazione zero (dominante nel romanzo) alla focalizzazione interna (meno comune, ma, comunque, presente).

 

Le tecniche narrative

La tecnica narrativa dei Promessi sposi è molto raffinata e ricca di soluzioni, come il soliloquio (cap. XV: il commento dell'oste della Luna Piena alle 'gesta' di Renzo) o la pluridiscorsività delle scene collettive (cap. IV: la folla che commenta l'uccisione di Lodovico; cap. VIII: i commenti della gente del paese durante la notte degli imbrogli) o ancora l'andamento puramente narrativo delle digressioni storiche.

C'è poi il resoconto narrato, in cui il narratore sintetizza discorsi che risulterebbero troppo lunghi e articolati per il lettore; c'è la sintesi di certi avvenimenti rispetto ad altri.

Notevoli i dialoghi, in cui emerge l'autore di tragedie. Manzoni adotta anche il discorso indiretto, che possiamo distinguere in due tipologie:

1. discorso indiretto legato: quando il discorso indiretto è introdotto dal verbo 'dire' o da un suo sinonimo.

Es.: «Lucia disse che bisognava vedere di aiutarsi ...»

2. discorso indiretto libero: quando manca il verbo 'dire' o un suo sinonimo e si passa direttamente al pensiero del personaggio, senza segni di nterpunzione o indicazioni particolari.

Es.: il famoso brano del capitolo VIII «Addio, monti sorgenti dall'acque»

 

Il Narratario

Il destinatario della narrazione prende il nome di narratario, che è diverso, almeno in parte, dal lettore reale. Può essere una presenza specifica nel testo (come avviene nel Decamerone, in cui abbiamo i nomi dei nove amici cui viene narrata ciascuna novella), oppure è un generico lettore a cui il Narratore si rivolge.

È il caso dei Promessi sposi, in cui il Manzoni si rivolge ad un narratario determinato, indicatoci già dal primo capitolo:

Aveva (don Abbondio) poi una sua sentenza prediletta, con la quale sigillava sempre i discorsi su queste materie: che a un galantuomo, il qual badi a sé, e stia ne' suoi panni, non accadon mai brutti incontri.
         Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull'animo del poveretto, quello che s'è raccontato. Lo spavento di que' visacci e di quelle parolacce, la minaccia d'un signore noto per non minacciare invano, un sistema di quieto vivere, ch'era costato tant'anni di studio e di pazienza, sconcertato in un punto, e un passo dal quale non si poteva veder come uscirne: tutti questi pensieri ronzavano tumultuariamente nel capo basso di don Abbondio.

Tale Narratario per lo più sarà assente nei romanzi del secondo Ottocento e poi del Novecento.


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