La letteratura religiosa medioevale in Italia

 

Davanti alle eresie che si svilupparono attorno al XI secolo (soprattutto i càtari), la Chiesa reagì attraverso l'azione riformatrice di due ordini religiosi, quali

Proprio perché predicatori e, comunque, destinati alla nuova evangelizzazione dell'Europa, adottarono spesso per la diffusione delle idee ortodosse della Chiesa delle forme letterarie già codificate o, almeno, che stavano conoscendo una codificazione in quel periodo. Difatti in Italia la letteratura religiosa fu tra le prime manifestazioni letterarie in volgare. Essa si sviluppò nel Duecento (XIII secolo) soprattutto nella Lombardia e nel Veneto, ove assunse un ruolo pratico di rigenerazione morale soprattutto descrivendo le orribili pene infernali riservate ai malvagi e le gioie sublimi destinate ai buoni.

Tra gli autori segnaliamo Giacomino da Verona, che compose due poemetti in quartine per descrivere le pene dell'inferno (De Babilonia Civitate infernali) e le gioie del paradiso (De Jerusalem celesti), e Bonvesin de la Riva, che scrisse il Libro delle tre scritture, in cui spiega la vita peccaminosa dell'uomo e le pene dell'inferno (scrittura negra), il mirabile esempio della vita di Cristo e la sua passione e morte per la redenzione delle umanità (scrittura rossa), le gioie del paradiso (scrittura dorata).

Ma il centro più importante della letteratura religiosa fu l'Umbria, ove il canto religioso nasce da una profonda e sincera ispirazione e raggiunge vette di alta poesia. I suoi maggiori esponenti furono S. Francesco d'Assisi e Jacopone da Todi.

Francesco d'Assisi nacque da un ricco mercante nel 1182. Dopo una giovinezza dissipata ed irrequieta, nel 1206 rinunziò alle proprie ricchezze e si diede ad una vita di umiltà e di predicazione in lode del Signore. Fondò l'Ordine dei Frati Minori. Mori nel 1226. Di lui ci è giunto, in volgare umbro, il Cantico di Frate Sole (o Cantico delle creature), in cui il Santo invita tutte le creature ad innalzare un canto di ringraziamento al Creatore. C'è un vero e proprio umiliarsi e confondersi dell'uomo nelle cose del creato, le più umili come le più alte, sicché in una universale comunione di intenti un'unica voce di lode sale dalla Terra al Cielo. Il Cantico ha il duplice valore di preghiera e di poesia: esso è un inno di lode e di ringraziamento delle creature al Signore, e come tale è preghiera; ma è anche l'aprirsi di tutta l'anima del Santo dinanzi alla vista gioiosa del Creato,  e come tale è poesia.  

Sulla figura di S. Francesco si fermerà Dante stesso, nell'undicesimo canto del Paradiso; ti segnalo, inoltre, un bell'approfondimento scritto da Carlo Cardia, volto a distinguere il San Francesco storico da quello sognato, immaginato e creato attraverso la devozione di secoli interi.

Jacopo de' Benedetti (detto Jacopone per la mole del corpo) nacque a Todi nel 1236. Fu procuratore legale e amante degli agi e delle sregolatezze. L'improvvisa e drammatica morte della moglie, seppellita dalle macerie nel crollo del pavimento durante una festa da ballo (sul suo corpo fu rinvenuto un cilicio, segno di penitenza), sconvolse Jacopone a tal punto da renderlo il più spietato censore dei vizi umani e il più collerico punitore di se stesso. Tutta la sua vita, dal giorno della disgrazia, fu rivolta all'espiazione esasperata degli anni trascorsi tra i bagordi e all'incessante ricerca di un meritato approdo nel perdono di Dio. Nel 1278, dopo vari ed inutili tentativi, riuscì ad entrare nell'Ordine francescano, ove appoggiò con risolutezza la causa degli Spirituali in lotta con i Conventuali, che volevano mitigare e forse mondanizzare la Regola del fondatore. Anzi fu così aspro nei confronti del papa Bonifacio VIII, che appoggiava per calcolo politico i Conventuali, da guadagnarsi il carcere e la scomunica, da cui verrà liberato e sciolto solo nel 1303 da Benedetto XI. Morì nel 1306.

Fu autore di numerose laude che attestano il fervore della sua spiritualità religiosa, tutta la sua angoscia per il male del mondo, la sua sete ossessiva di Dio. Esaspera l'equilibrio fra il mondo e Dio, creando un abisso incolmabile fra i due termini e investendo con rabbia la condizione umana, tutta innervata di superbia e di peccato, e la classe dei ricchi. Ovviamente le laude mostrano un temperamento fiero, gagliardo, violento: sono scritte più per combattere il male che per annunciare il bene, più per colpire che per rialzare e sorreggere.

Il suo capolavoro è il Pianto della Madonna, lauda dialogata con più personaggi (un fedele, Maria, la folla, Cristo) che anticipa la sacra rappresentazione. Vi è descritta punto per punto, in tono drammatico, la crocifissione di Cristo e in un potente crescendo lo strazio di Maria, non più Madre di Dio, ma semplice povera creatura umana dal cuore trafitto.


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