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Muro Leccese

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ARCHEOLOGIA DELLA CITTÀ

 

 

Muro Leccese deve il suo nome all’imponente cinta muraria di fortificazione lunga circa 3900 metri e che delimita un’area di 107 ettari (essa è seconda in ordine di grandezza dopo quella di Ugento, lunga 4000 metri ed estesa 145 ettari). Ciò induce a pensare che Muro, il cui nome antico ignoriamo, doveva avere non poca importanza nel sistema degli insediamenti urbani messapici dell’intero salento. I due più lunghi tratti attualmente visibili sono quello nord orientale (circa 840 metri), che corre dai pressi della Masseria Sartina, fino alla strada comunale Muro Leccese – Palmariggi, che comprende la porta nord (l’unica visibile); l’altro tratto (circa 500 metri) delimita a sud est la città messapica fungente in parte da confine amministrativo tra i comuni di Muro Leccese e Sanarica; esso corre rettilineo verso sud fino a via Martiri D’Otranto. Sono visibili altri brevissimi tratti del lato occidentale: uno di circa 40 metri, in via Della Resistenza angolo via Nazario Sauro; un altro di circa 4 metri in via Antonio Gramsci, ed un altro ancora di pochi metri nel giardino delle suore Alcantarine sito tra via Dante Alighieri e via Giovanni Pascoli.

 

Un disegno pubblicato da Pasquale Maggiulli (ma forse realizzato dal padre Luigi alla metà del 1800) ci illustra il circuito murario. Anche se la forma non rispecchia la geometria esatta delle mura, il disegno è molto utile per dimostrare quali tratti erano visibili prima degli ampliamenti novecenteschi della città ed il loro stato di conservazione.

 

È evidente l’assoluta mancanza di rispetto nei riguardi dell’imponente monumento che nel lato occidentale (ove si conservavano fino a sei filari d’alzato) è stato quasi completamente distrutto dall’ampliamento edilizio.

 

Il circuito murario è documentato nelle mappe catastali e nelle fotografie aeree militari.

Nel disegno ottocentesco si nota anche che all’epoca non erano più visibili tre tratti (di circa 200 metri ciascuno) posti a nord, ad est ed a sud della cinta muraria e che non era visibile alcuna porta.

 

Le mura sono state oggetto di studio da parte dell’Ecole Française di Roma ad opera dell’archeologo Jean Luc Lamboley che ha eseguito varie campagne di scavo dal 1986 al 1992.

Le indagini eseguite hanno riportato alla luce la porta Nord e (a circa 150 metri a Ovest di questa) un settore trasversale delle mura. Al momento la porta e le mura costituiscono l’esempio più bello di architettura militare messapica. Per la sua forma viene definita “Porta a Tenaglia”, perché si apre arretrata rispetto la linea delle mura che sono anche leggermente sfalsate. Sono stati ritrovati gli incavi ove alloggiavano i battenti del portone di ingresso, preceduti da altri due più piccoli, che fanno pensare alla presenza di una saracinesca che veniva manovrata dall’alto della porta.

Lo scavo ha messo in luce anche i solchi formati dal passaggio dei carri sulla strada costituita da tufina e piccole pietre pressate: la strada risulta esistere già nel VI secolo a.C..

La porta è costruita in grandi blocchi di calcarenite (roccia locale, cavata sul posto o nelle immediate vicinanze), sovrapposti a secco (cioè senza l’utilizzo di malta) in filari posti alternativamente di testa e per lungo; si conservano i blocchi del filare di fondazione e quello soprastante.

 

Delle mura (spesse circa tre metri) in qualche punto sono visibili ancora un massimo di cinque filari di conci (in origine dovevano essere alte circa sei metri). Ma il sistema delle fortificazioni non era costituito dal solo muro in grandi blocchi squadrati.

Gli scavi del prof. Lamboley hanno messo in luce tre muri di cinta concentrici (fig. 3-4). Una prima cinta (la più interna, larga circa 5 metri, sconosciuta fino ad allora) è costituita da un rivestimento esterno in grandi conci squadrati di calcarenite locale, disposti con cura, da un riempimento di terra e  pietre, e da un rivestimento interno identico ad un muro a secco.

La seconda cinta (larga circa 3 metri) addossata alla prima, corrisponde alle mura visibili e comunemente note. Essa è fiancheggiata da una strada (larga 2,5 metri) realizzata in tufina e piccole pietre pressate (residui dell’opera di costruzione della seconda cinta) su cui vi erano i solchi delle carreggiate. Questa strada separava la seconda dalla terza cinta (anche questa prima sconosciuta, larga 3,60 metri) formata da un muro di pietre a secco con in facciata conci squadrati di recupero e pietre più grandi. Questa terza cinta è stata rinvenuta anche davanti alla porta Nord dove si interrompeva per consentire il passaggio della strada attraverso una vera e propria porta esterna. Quindi la larghezza delle fortificazioni messapiche di Muro misura in totale 16 metri.

 

I reperti archeologici rinvenuti nel corso degli scavi francesi non sono stati sufficienti ad indicare con esattezza la data di costruzione delle tre cinte. Al momento l’unico dato certo è che la prima cinta sia precedente al 300 a.C., e che la seconda e la terza siano posteriori. Sembra probabile l’ipotesi che la terza cinta sia stata realizzata qualche tempo dopo la seconda, ai tempi della conquista dei romani con la funzione di impedire l’avvicinamento delle micidiali macchine belliche di questi. Solo il proseguimento delle ricerche archeologiche potrà consentire l’acquisizione di nuovi e più precisi dati sulle fortificazioni e sull’abitato della Muro messapica. Di quest’ultima i dati disponibili sono pochissimi e si è in attesa che siano resi noti i risultati degli scavi di emergenza condotti dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia negli anni 1987-1993 (diretti da Gian-Paolo Ciongoli, soprattutto sull’area d’espansione edilizia (zona 167) ad oriente della città (via San Francesco D’Assisi); una serie di ambienti rettangolari (di destinazione non nota, forse case) conservati nel solo filare di fondazione costituito da blocchi squadrati in calcarenite locale sono stati rinvenuti a ridosso della cosiddetta “cinta muraria interna”. Quest’ultima pare essere un muro di difesa (di cui si conosce solo in parte la forma) costruito molto in fretta con materiale recuperato da altre costruzioni; essa sembra posteriore alle fortificazioni vere e proprie, essendo fatta risalire alla seconda metà del IV secolo a.C..

 

Sotto gli strati della città messapica si rinvengono reperti ceramici più antichi, preistorici, risalenti ad un insediamento umano a capanne dell’età del ferro.

 

Sempre ad età preistorica si riferiscono una serie di grotticelle-sepolcro scavate artificialmente nella calcarenite, ritrovate nei dintorni di Muro e Sanarica, nelle località Giallini e Pozzomauro.

Monumenti archeologici ancora visibili sono, invece, i “misteriosi” menhir fino a poco tempo fa riferiti all’età preistorica, ma che ora alcuni archeologi pensano possano riferirsi alla centuriazione romana o a confini agrari di età medievale. Nel territorio di Muro se ne conservano almeno quatto: uno posto sulla strada comunale vecchia per Giuggianello, detto “Croce di Sant’Antonio” (alto circa 4,2 metri); un altro nella piazzetta tra via Arimondi e via Corsica, detto “Menhir Trice” (alto circa 4.3 metri); un terzo sulla strada comunale che da Muro conduce alla chiesa rurale di Santa Maria di Miggiano, detto “Menhir di Miggiano” (alto circa 2 metri); l’ultimo in via Martiri d’Otranto, all’interno degli impianti sportivi comunali, detto “Menhir Giallini” (alto 1,6 metri). Un quinto menhir, ora scomparso, detto “di San Pietro”, si trovava nella via omonima, ed era alto circa 2,5 metri.

 

Diversi frantoi oleari ipogei scavati nella roccia risalenti ad età medievale e moderna fanno pensare alla presenza di un habitat rupestre.

 

 

 

(Si ringrazia vivamente la Sezione di "Italia Nostra" di Muro Leccese per averci concesso l'autorizzazione a pubblicare la "Guida di Muro Leccese", edita nel 1996)

 

 

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