La guerra e' nelle mani della comunicazione. Ma anche la pace

Modesta proposta per un nuovo dialogo
tra israeliani e palestinesi


Figaro

Venerdi'20 Ottobre 2000

Come avete visto, abbiamo intitolato lo spazio di discussione dedicato al caso del corrispondente della Rai da Gerusalemme Riccardo Cristiano "Non sparate sul Cristiano". Non perche' qui a bottega si abbiano dubbi sul giudizio sulla sua lettera al quotidiano arabo Al Hayat Al Jadida, (peraltro svelata dal Barbiere della Sera al pubblico italiano alle 10,30 di mercoledi'18 ottobre) che potremmo morbidamente definire una "madornale cazzata", ma perche' non possiamo pensare che Cristiano abbia agito con tale leggerezza senza qualche motivo. Il motivo non lo conosciamo (ancora) e quindi concediamo al collega Cristiano il diritto, se non altro, alle attenuanti generiche. A crocifiggerlo gia' ci hanno pensato gli altri. Noi vogliamo farlo a ragion veduta.

In attesa di saperla tutta, concediamoci pero' qualche riflessione. 

E' ormai evidente che nella debolezza della diplomazia (e in attesa del ritorno delle armi pesanti), la battaglia mediorientale si combatte tutta sui mass media. Ogni giorno, nel confronto israelo palestinese non vengono diffusi bollettini di guerra (tot morti e tot feriti, tot carri armati distrutti e tot cannoni sottratti al nemico) bensi' si contano e si valutano i fotogrammi dei bambini palestinesi mitragliati e dei soldati israeliani linciati per la strada. Il governo israeliano e l'Autorita' Palestinese lo sanno e utilizzano con sapienza e spregiudicatezza queste armi, prima fra tutte la televisione, madre di tutti i cannoni dell'informazione.

Leggiamo in questi giorni giusti severi richiami alla deontologia professionale, all'imparzialita', rivendicazioni del diritto di cronaca e dell'autonomia di giudizio dei giornalisti. Tutto vero. Ma manca ancora, a nostro parere, qualche pensiero piu' profondo.

Noi dubitiamo davvero che oggi a Gerusalemme ci sia un giornalista che nel suo cuore, magari anche soltanto in un angolino del suo cuore, non abbia gia' preso partito, chi a favore di Israele, chi a favore dei Palestinesi. In un groviglio di torti e ragioni di cui ormai e' cosi' difficile ritrovare il filo, laggiu' si combatte per la vita e per la morte, per l'acqua e per la terra. In uno scenario cosi', chiediamocelo tutti, quando la posta in gioco e' cosi' alta e' davvero possibile riuscire a non schierarsi neanche un po'?

Questo e' cio' che sta accadendo. E non parliamo solo della stampa italiana, oggi sotto processo, che spesso non riesce a rimanere equidistante da Rutelli e Berlusconi, figuriamoci nel conflitto mediorientale. Ma di tutta la stampa internazionale.
Accade cosi' che (e lo sciagurato caso di Riccardo Cristiano ne e' la testimonianza) la figura del giornalista diventi qualcos'altro. Il testimone diventa mediatore, diplomatico, o, peggio ancora, combattente. E a spingere i giornalisti in questa direzione contribuiscono i governi delle due parti che oggi piu' che mai caricano di significato (inevitabilmente) ogni immagine trasmessa dalla piu' modesta delle tv.

Nel mondo della comunicazione in tempo reale, la guerra e i suoi esiti vengono via via spinti nelle mani di chi fa informazione: i giornalisti. Pazzesco no? Ma e' cosi'. E allora, pero', se davvero la guerra e' oggi nelle mani della comunicazione, deve necessariamente esserlo anche la pace.

Ci raccontano, gli amici di Gerusalemme, che la televisione israeliana non perde occasione per trasmettere le terribili immagini del linciaggio dei due soldati israeliani a Ramallah, e che la Tv palestinese non smette mai di mandare in onda la scena del povero bambino ucciso dall'esercito di Israele. Ormai questi filmati sono i simboli piu' crudeli dell'odio che divide due popoli condannati a vivere sulla stessa terra. 

Sugli schermi del Medio Oriente, l'informazione volge ormai in propaganda, anche se, e questo va detto con chiarezza, la deriva del fanatismo patriottico e religioso pesa molto di piu' sulle fonti di informazione palestinesi. Israele appartiene per cultura politica alle democrazie occidentali e non puo' permettersi di accecare i suoi cittadini con una informazione ottusa e schiava.

Da questo minuscolo e ignorato angolo di mondo, anzi, di rete, in uno sconfinato moto di presunzione, vogliamo avanzare noi una proposta. Ci piacerebbe inserire nell'accordo siglato a Sharm el Sheik da Barak e Arafat, un breve protocollo. Per una settimana al mese, i giornalisti della Tv israeliana assumeranno il controllo della televisione palestinese, e i giornalisti palestinesi si impadroniranno dell'emittente di Stato di Israele. Che ognuno possa servire, al pubblico dell'altro, la propria informazione e, perche' no, anche la propria propaganda. Dato che i politici non riescono piu' a parlarsi, che ci provino i giornalisti delle due parti in conflitto.

Assurdo, dite? Ma, ricordate, quello e' il Medio Oriente e tutto puo' accadere. Se vogliono far fare la guerra ai giornalisti, almeno ci permettano anche di lavorare per la pace.

Figaro




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