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Sant’Antonio abate “Signore del fuoco”

Estratto dal sito internet del Centro di Studi Storici dell'alta Valtellina

 

I nostri progenitori vissuti in tempi antichissimi assegnarono al fuoco uno straordinario significato magico-religioso: gli sciamani, gli asceti e tutti coloro che vivevano eccezionali esperienze religiose le esprimevano con termini che significano "calore", "bruciore", "molto caldo".
Nelle civiltà orientali le persone che hanno potere sul fuoco (camminare su braci ardenti, mangiare carboni accesi, stringere ferri incandescenti), oppure le persone che vivono esperienze estatiche caratterizzate da un calore fisiologico intensissimo, sono considerate persone che hanno raggiunto uno stato di libertà spirituale eccezionale.
Un’esperienza di straordinario calore era anche quella vissuta dai giovani guerrieri nei rituali indoeuropei di iniziazione militare, dove il combattimento iniziatico si concludeva in uno stato di “calore e collera” inverosimile; alcune parole del vocabolario eroico indoeuropeo - come furor (delirio e passione) o ferg (collera) - definiscono propriamente esperienze appartenenti al sacro che si manifestano come un calore vivissimo.

Il “fuoco” interiore che caratterizzava persone straordinarie che personificavano o erano molto vicine alla sacralità, ossia asceti, sciamani e guerrieri, era invece temuto dai comuni mortali che non possedevano la capacità di dominare quello stato di “calore e collera”: soltanto quelle persone eccezionali sapevano spegnere e controllare la febbre provocata da potenze appartenenti al soprannaturale.

Le credenze che sono state esposte in estrema sintesi sono quelle che, con ogni probabilità, attribuirono al monaco ritiratosi nel deserto egiziano intorno al 270 per condurvi vita eremitica e ascetica il potere di spegnere il “fuoco” che dilaniava i visceri di coloro che furono colpiti dall’herpes zoster, la terribile malattia più nota come “fuoco di Sant’Antonio”: nella biografia del Santo, scritta da S. Atanasio intorno al 360, si descrivono le terribili tentazioni, i tormenti ad opera dei demoni e le conturbanti visioni erotiche contro cui dovette combattere l’anacoreta.
Tali prove sovrumane non potevano essere meglio simboleggiate che da un fuoco demoniaco che dilaniava i suoi visceri. Per il totale dominio delle passioni che lo turbarono nel corpo e nello spirito, il culto popolare lo elevò a protettore e guaritore da ogni morbo pestilenziale con sintomi simili a quello del “fuoco di Sant’Antonio”.
E’ da ricordare infatti che alla base delle credenze popolari vi è quella che alcuni studiosi chiamano “legge di similarità”, ossia il simile produce il simile: così se sant’Antonio seppe dominare il fuoco interiore suscitato dai demoni, allo stesso modo, impetrando il suo ausilio, egli poteva alleviare le sofferenze e guarire le malattie che avevano sintomi simili.

Molto spesso i santi sono però anche la cristianizzazione di dei che continuavano a vivere nel folklore cristiano nonostante ogni sforzo dei dotti per estirparne la credenza.
A proposito di sant’Antonio nacque, probabilmente nell’Alto Medioevo, una leggenda secondo cui si recò nell’inferno e rapì il fuoco per donarlo agli uomini.
Si tratta evidentemente del riaffiorare del mito del titano Prometeo che salì l’Olimpo per sottrarre agli dei il fuoco di cui l’umanità era stata privata, ridonandoglielo; il cristianesimo riassorbì il mito pagano e sant’Antonio divenne il successore del dio “preveggente” e, con lui, forse assimilò anche un altro dio del fuoco, Efesto, che, racconta il mito, fu scaraventato da Zeus giù dall’Olimpo, si fratturò le gambe e poté camminare solo con l’aiuto di grucce: anche sant’Antonio, è da ricordare, fu sempre raffigurato con le grucce.

 

 

Per approfondire consigliamo di leggere:

L'incendio di Sant'Antonio Valfurva
Quando la devozione sfida la ragione






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