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Il Santuario
di S. Antonio Abate

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La presenza di Antonio, patriarca del monachesimo nella conversione di sant’Agostino

A cura di Giuseppe Daraio

 

Agostino si trova a Milano dopo un lungo pellegrinaggio fisico e spirituale che nel giro di dieci anni lo ha portato da Tagaste a Cartagine, a Roma, dal manicheismo, abbandonato con grave delusione dopo aver partecipato alla vita della comunità manichea di Roma capeggiata dal vescovo Fausto, ai timidi tentativi di conversione compiuti inizialmente a Milano, nell’incertezza e nel dubbio. Questo pellegrinaggio era stato anche un viaggio di rinunce che lo aveva preparato: prima rinuncia alle ricchezze, poi agli onori di una brillante carriera, sogni che avevano accarezzato la sua giovinezza. Il suo ardore di pensatore e di uomo non ammetteva mezze misure, scelta doveva essere e scelta totale, assoluta e definitiva: l’amore della sapienza, la scienza della Verità perseguita sin dal tempo della lettura dell’Ortensio di Cicerone e poi riconosciuta in Gesù Cristo.

Rimanevano, però, due ostacoli: la donna da lui amata sin dagli anni degli studi a Cartagine, dalla quale aveva avuto Adeodato che avrebbe in questi anni seguito le orme del padre, e alcuni problemi filosofici irrisolti nella cui comprensione sarà aiutato dalle omelie di sant’Ambrogio, vescovo di Milano (cfr. biografia). Soprattutto rimaneva aperto il problema del peccato e del male per il quale risentiva ancora, per certi versi, delle soluzioni dell’eresia manichea.

Questa insegnava falsamente che nell’uomo si combattono due nature diverse, due anime diverse, quella generata dal principio del male e quella generata dal principio del bene. In virtù di questa teoria essi finivano per negare la responsabilità dell’uomo nel commettere il peccato, a partire da quello originale, anche se conducevano una vita moralmente austera con digiuni e pratiche di penitenza per vincere il principio del male annidato in noi.

Un primo punto di contatto Antonio-Agostino emerge dalla biografia del futuro vescovo di Ippona: la conversione di Agostino non riguardava solo la scelta del battesimo ma quella di una consacrazione totale al Signore in povertà, obbedienza e castità ovverosia la professione religiosa dei consigli evangelici che Gesù indica a chi vuole essere perfetto proprio in Matteo 13, 21 ”Va’, vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”, il passo del Vangelo che determinò in Antonio la scelta del deserto. Entrambi scelgono la via del monaco, dal greco mònos, solo, che è scelta di solitudine, preghiera e studio. Chiaramente qui si aprirebbe un confronto fra le due esperienze monastiche. Vi torneremo brevemente in fondo.

Dalle Confessioni emerge ancora un altro punto di contatto, questa volta indiretto, decisivo, però, perché da una brusca accellerata al travaglio del futuro Vescovo di Ippona: la scelta immediata di due soldati che nel giro di poche ore, in un pomeriggio, avendo semplicemente letto la vita di Antonio in casa di cristiani poveri, povera gente, poveri di spirito, dove vennero a trovarsi per caso, provoca una dolorosa presa di coscienza: "Cosa facciamo? cosa significa ciò? cosa hai udito? Alcuni indotti si alzano e rapiscono il cielo, mentre noi con tutta la nostra dottrina insensata, ecco dove ci avvoltoliamo, nella carne e nel sangue. O forse, poiché ci precedettero, abbiamo vergogna a seguirli e non abbiamo vergogna a non seguirli almeno?" (Cap. VIII)

E’ allora che scoppia la crisi decisiva che provoca un doloroso bilancio spirituale: dodici anni di ricerca che non era mai approdata a una scelta di donazione totale, così desiderata dal cuore, con la scusa, la giustificazione, il pretesto di non poter fare una scelta perché privo di una certezza a cui indirizzare il cammino e dietro ai falsi insegnamenti dei manichei. E’ il momento della necessaria spoliazione, del deserto, di chi comprende che con Dio si fa sul serio: l’uomo getta la maschera e vede interamente sé stesso nella propria iniquità, nel peccato: “E tu, Signore, mentre Ponticiano parlava mi facevi ripiegare su me stesso, mi toglievi dalla posizione in cui mi ero posto per non guardarmi e mi mostravi ben bene la mia faccia, affinché vedessi quanto ero deforme, quanto storpio e sozzo, coperto di macchie e piaghe. Visione orrida; ma dove fuggire lungi da me? Se tentavo di distogliere lo sguardo da me stesso, c’era Ponticiano, che continuava, continuava il suo racconto, e c’eri tu, che mi mettevi nuovamente di fronte a me stesso e mi ficcavi nei miei occhi, affinché scoprissi e odiassi la mia malvagità. La conoscevo ma la coprivo, la trattenevo e me ne scordavo” (Cap. VIII).

Agostino fa emergere in sé con coraggio il problema del peccato: non due anime, come dicono falsamente i manichei, bensì la volontà e il peccato operano in noi, la prima incapace di seguire il bene perché, senza l’aiuto della Grazia che Dio ci dona a partire dal sacramento del battesimo, non siamo neppure capaci di discernerlo. L’umanità non redenta è tutta in Adamo, incapace di staccarsi dall’abiezione. La disobbedienza del primo uomo ci ha trasmesso quella colpa che solo il sacrificio di Cristo ha distrutto pagando con il suo sangue il prezzo del riscatto. E, infatti dice: “Da questa volontà incompleta e incompleta assenza di volontà nasceva la mia lotta con me stesso, la scissione di me stesso, scissione che, se avveniva contro la mia volontà, non dimostrava però l’esistenza di un’anima estranea, bensì il castigo della mia. Non ero neppure io a provocarla, ma il peccato che abitava in me quale punizione di un peccato commesso in maggiore libertà; poiché ero figlio di Adamo” (Cap X).

E’ la scoperta di Cristo Salvatore, è il seme che spalancherà la riflessione di Agostino teologo alla meditazione sulla Grazia di cui il futuro vescovo di Ippona sarà dottore ( la chiesa, infatti, lo ricorda col titolo di Doctor scientiae Gratiae ) E’ la scoperta che non siamo noi a scegliere Cristo ma è Cristo che con la sua Parola chiama. La salvezza è dono, non atto di volontà perché non la volontà salva l’uomo; e questo ci introduce alla scena del giardino.

Agostino ascolta le parole del bambino che sta probabilmente ripassando con una cantilena la lezione sull’imperativo latino “Tolle et  lege”, “Prendi e leggi”; riconosce in quella voce un invito rivoltogli dallo Spirito (“sicuro che quella voce non era altro che un ordine del cielo di aprire il libro e di leggere il primo capitolo che mi capitasse sotto gli occhi”). L’associazione, però, voce del bambino-invito dello Spirito si attua attraverso il ricordo della conversione di Antonio ed è questo, forse, il punto di contatto più importante (“Avevo poco prima sentito raccontare di Antonio che da una lettura del Vangelo a cui per caso assisteva, come se essa fosse stata indirizzata a lui personalmente, aveva ricevuto l’invito ”Va’, vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”, e che era stato istantaneamente convertito a te da quella parola divina”). La voce del bambino viene riconosciuta nel suo significato spirituale, nel suo essere segno, attraverso il ricordo della conversione di Antonio.

La chiamata è un momento che segna indelebilmente la nostra vicenda esistenziale; ci giunge attraverso segni concreti che Dio ci chiede di riconoscere; ed è l’esperienza di un altro, quella di Antonio in questo caso, ad essere la chiave di volta che ci consente di riconoscere il segno. Ma ciò non basta; il chiamato è tale perché ascolta ed obbedisce alla Parola di Dio. Ed infatti essa si rivolge ad Agostino chiaramente attraverso la Lettera ai Romani di san Paolo 13, 13-14: "Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze". E’ la richiesta esplicita di rinunciare al passato, al peccato e di imitare la santità di Cristo. Per Agostino monaco, la chiamata ad abbandonare il mondo a partire dalla cosa più cara che gli rimaneva: la donna, di seguire totalmente Gesù.

Fu questo il primo passo di un cammino straordinario che avrebbe consegnato alla Chiesa uno dei suoi Padri più importanti nonché un grande maestro spirituale che cambierà il volto del mondo religioso che allora faceva i suoi primi e fecondi esperimenti. Agostino, infatti, a differenza di Antonio, sceglie il deserto ma il deserto da vivere in comunità: la solitudine della casa dove i fratelli vivano concordi, in comunione di cuore e di anima, protesi verso Dio. Intensa era la vita di queste piccole cellule: lavoro manuale, preghiera, studio, vita di preghiera e di mortificazione nella povertà, nell’obbedienza e nella castità. Luoghi dove i fratelli potessero vivere le parole del salmo: “Oh com’è bello e gioioso abitare insieme come fratelli”. Da ottimo conoscitore del cuore umano, della psicologia dell’uomo egli tempererà gli eccessi ascetici del deserto di Antonio con una Regola che è un capolavoro di sapienza umana e divina. Lo farà prima da laico e poi da sacerdote e da Vescovo, con la nascita di monasteri con una spiritualità propria che Agostino saprà formare con il suo magistero e con la sua testimonianza di vita. Fu una primavera che ringiovanì la Chiesa africana piagata da decenni di divisioni e di scismi che lo stesso Agostino teologo contribuirà a cancellare riportando la Chiesa all’unità dell’ortodossia e della carità. Nel giro di pochi anni, infatti, dai suoi monasteri uscirono presbiteri e vescovi che avrebbero ritessuto le fila della comunione in tutta la chiesa africana. Nasce così, con il monastero dei presbiteri l’esperienza dei Canonici Regolari, dei sacerdoti religiosi che vivono in comunità; questa esperienza conoscerà un grande sviluppo nell’età medioevale attraverso figure di notevole rilievo anche se forse poco note al lettore: Eusebio da Vercelli, Norberto di Premontreau ed altri santi fondatori che si richiameranno all’esperienza di Agostino.

Che la vocazione di Agostino sia chiamata alla vita comunitaria emerge già chiaramente dalla conclusione del Cap. XII; Agostino, infatti, accoglie Alipio, l’amico di sempre, che molto prima di lui si era consacrato in cuor suo a Dio e viveva in perfetta castità e l’amico completa la lettura del passo dell’Apostolo (“Alipio chiese di vedere il testo che avevo letto. Glielo porsi, e portò gli occhi anche oltre il punto ove mi ero arrestato io, ignaro del seguito. Il seguito diceva: "E accogliete chi è debole nella fede". Lo riferì a se stesso, e me lo disse. In ogni caso l’ammonimento rafforzò dentro di lui una decisione e un proposito onesto, pienamente conforme alla sua condotta, che l’aveva portato già da tempo ben lontano da me e più innanzi sulla via del bene”).

Agostino con l’amico si reca allora dalla madre, santa Monica, a darle notizia del suo proposito. Alle sue preghiere, alla sua fede Agostino doveva innanzitutto il merito di ciò che Dio aveva compiuto in lui. Grande fu la gioia di lei che con le stesse armi aveva ottenuto la conversione del marito, Patrizio.

 

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Vita di sant’Agostino

 

Le Confessioni

 

Brani tratti da "Le Confessioni"
di S. Agostino

 

 

 

Siti su S. Agostino

 

http://www.augustinus.it/

 

http://www.enrosadira.net/santi/a/
agostino.htm

 

http://www.augustea.it/dgabriele/
italiano/san_agostino.htm

 

http://liturgia.silvestrini.org/
Santi/AGOSTINO.HTM

 

http://www.lalode.com/28agosto.htm

 

 

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