Gli autori e le loro opere hanno una primaria importanza nel panorama teatrale tra la fine dell'800 e l'inizio del 1900, ma assumono talvolta l'aspetto di elementi “esterni” in quanto, pur essendo legati alla scena, appartengono anche alla letteratura scritta, spesso anzi sono troppo legati a questa e troppo poco al teatro. |
|
Nel secondo 1800 non esiste un evidente divario tra letteratura e teatro (se non che il secondo segue nelle novità, come sempre, la prima). Per la scena scrivono narratori e poeti, da Capuana a Fogazzaro, a Di Giacomo, mentre commediografi, come Giacosa o Torelli, pubblicano versi e novelle. Tali sconfinamenti sono giustificati dalle numerose affinità di problemi e situazioni (1). |
|
Nel 1878 sale al trono Umberto I° inaugurando un periodo che è stato definito l'età di compromessi ed errori politici, fallimenti, fratture internazionali (2). Certamente, pur non volendo essere così drastici, questa fu un'epoca movimentata da ogni genere di esperienze, dalle avventure coloniali ai profondi mutamenti economici (3). Il positivismo rinnovava la cultura italiana, e si presentava come un correttore dello scolorito idealismo degli anni ‘60 per la sua scrupolosa attenzione alla realtà sociale e naturale. Dal punto di vista teatrale questa posizione equivaleva al rifiuto della drammaturgia convenzionale evasiva, per un ritratto obiettivo della vita quotidiana. |
|
E NEL FRAMMEZZO IL TEATRO IN ITALIA ANDAVA PER LA SUA STRADA, E CAMMIN FACENDO ...... |
||
Impacciato dalla tradizione e poco al passo coi tempi, il teatro in versi sopravvive nelle opere ancora rappresentate di Pietro Cossa e Felice Cavallotti (4). La tragedia manzoniana, invece, pur essendo rispettata è rappresentata molto raramente, in quanto poco teatrale e troppo religiosamente severa. La preferenza del pubblico è rivolta decisamente alla commedia per i suoi più immediati legami con la realtà della vita. |
In questo campo, il napoletano Achille Torelli aveva felicemente stupito critici e platee per l'ambientazione della sua commedia I mariti, rappresentata nel 1867 dalla compagnia Bellotti-Bon (5). Discreta fortuna aveva avuto anche il modenese Paolo Ferrari, dalla cui produzione eterogenea risaltavano soprattutto le cosiddette commedie a tesi: Il duello (1868), Il ridicolo (1873). La maggior parte delle sue opere era condotta con un notevole senso teatrale, che gli fece acquistare una nutrita schiera di imitatori. |
Achille Torelli |
Il 14 gennaio 1884 è una data che riveste una certa importanza nella storia teatrale di fine secolo. Si rappresenta infatti a Torino Cavalleria rusticana di Giovanni Verga lavoro tratto, come gran parte delle opere teatrali successive, dalle sue novelle. Perfino coloro che avevano ammirato Verga scrittore si dimostrano scettici sulla possibilità che il pubblico arrivi a comprendere la sua "nudità" e il metodo “impersonale”. |
Il
lavoro ha invece successo nonostante le violente polemiche scoppiate nei
teatri e sui giornali (6).
L'attitudine drammatica che Verga dimostra nelle sue rare comparse sulla
scena con drammi, bozzetti brevi, scene popolari (La lupa, Caccia al
lupo, In portineria, Dal tuo al mio), si perde nelle opere minori dove
si rivela, invece, il contrasto tra il realismo della vicenda e un
linguaggio modellato sulle convenzioni del teatro borghese di ispirazione
francese, o sul bozzettismo di maniera. |
Giuseppe Verga |
Anche se il verismo è l'ideologia più apprezzata di fine ‘800, il teatro di questo periodo ha poco da spartire con le opere più caratteristiche di Verga (Cavalleria, La Lupa) e con la sua atmosfera spirituale di tragedia (7). |
|
Emile Augier |
Molto apprezzati sono Emile Augier e Dumas figlio per la loro rappresentazione benevola e blandamente critica della società borghese. Allora in Italia non esisteva una seria tradizione teatrale impostata su un repertorio che rispecchiasse il nostro costume di vita, ma si attingeva più volentieri, secondo le esigenze del pubblico distratto e incolto, al repertorio francese brillante o a quello italiano che lo imitasse" (8). |
Alessandro Dumas (figlio) |
Luigi
Capuana, nonostante la sua posizione di agguerrito teorico del verismo,
non riesce a produrre un lavoro di rilievo. |
Luigi Capuana |
L'opera che meglio risponde alle esigenze veriste della platea italiana la scrive invece Giuseppe Giacosa nel 1887: Tristi amori. Questa atmosfera di incertezza, nella quale si delinea la dissoluzione del mondo piccolo-borghese laborioso e onesto, è confermata nell'atto unico I diritti dell'anima (1894), in cui ai può rilevare anche un timido accostamento ai drammi ibseniani. Giacosa diventa uno degli autori più apprezzati dal pubblico borghese, che affollava i teatri, per la serietà del suo lavoro, per la predilezione nel descrivere le aspirazioni del ceto medio di cui mostra anche le inquietudini e gli aspetti negativi. Un articolo del commediografo, uscito alla vigilia della prima di Cavalleria rusticana, esemplifica chiaramente questa mentalità borghese che vedeva solo nella resa veridica del proprio mondo sociale il traguardo più difficile e ambizioso per un autore di teatro (9). In questo articolo egli rimproverava a Verga di aver scelto la via più facile descrivendo un ambiente rusticano, dato che più semplici erano i meccanismi che muovevano tale vita. |
Giuseppe Giacosa |
|
Un altro autore che gode le preferenze del pubblico è Gerolamo Rovetta, romanziere e drammaturgo. Nei suoi drammi ritrae pessimisticamente la società milanese del post-Risorgimento, rivelandosene però un superficiale osservatore. |
Marco Praga e Girolamo Rovetta |
Tra i promotori del verismo in Italia vi è Marco Praga che, come Rovetta, descrive la società milanese della quale critica aspra mente le contraddizioni, pur avendone accettata la morale. E' uno dei più decisi negatori della poesia a teatro, ma quell'impassibilità che vuole applicare alle vicende narrate, in accordo ai canoni veristici, è annullata da un fondo moralistico che lo coinvolge nell'azione. |
|
La vita per lui costituisce un'atroce delusione, ed è vista attraverso quella che ai suoi occhi assume il carattere della più significativa “tragedia umana”: l’adulterio (10). Solo ne La moglie ideale (1890) questa "colpa" si tinge di ironia. Negli ultimi drammi (Ondina. La crisi, La porta chiusa) supera i limiti della commedia borghese, arricchendo, psicologicamente i suoi personaggi sotto la diretta influenza delle opere di Ibsen e di Roberto Bracco. Decisamente più importante la sua attività di critico teatrale e soprattutto presso la Società Italiana degli Autori ed Editori, di cui fu uno degli organizzatori. |
Si possono citare anche Camillo Antona Traversi, che rappresenta con ironia la società aristocratica ed elegante, e Federico De Roberto, più noto come romanziere. Non si può dimenticare invece, anche volendo dare un quadro sintetico della situazione teatrale in Italia, che alla fine del secolo prendono vigore i teatri dialettali, quasi a voler riconfermare nel l'Italia unita la dignità regionale. Alcuni autori dialettali come Vittorio Bersezio, Carlo Bertolazzi e Giacinto Gallina, escono dai confini della loro regione per conquistare una posizione nel teatro nazionale. |
|||
Giacinto Gallina, "Zente refada", ed Treves |
Emilio Zago, "I rusteghi" di Carlo Goldoni |
Ermete Novelli come Capocomico Tromboni, " Il Ratto delle sabine "di Schoentan |
Carlo Micheluzzi, il Nobilomo Vidal, "Serenissima" di Giacinto Gallina |
Nel primo ‘900 la politica di
Giovanni Giolitti, pur tra tanti contrasti, assicura un decennio di
relativo benessere e stabilità economica. Nonostante il nuovo secolo nascesse “mistico e irrazionalista” (11), in questi anni operano le stesse tendenze rilevabili alla fine dell’800. La frattura tra i due secoli si verificherà solo con la Prima Guerra Mondiale, |
|||||||
Al teatro verista sono ancora legati gli esordi del napoletano Roberto Bracco, uno dei pochi drammaturghi italiani di allora il cui nome venga conosciuto anche oltralpe. Scrive commedie di modello francese, ironiche e sentimentali (Infedele, Il perfetto amore), atti unici (Don Pietro Caruso), e riesce poi a superare il realismo psicologico con opere che presuppongono la conoscenza di autori come Ibsen (12) e Gerhart Hauptmann, ma le sue ambizione te si non garantiscono la teatralità e il successo delle opere. Applaudito fu il Piccolo Santo (scritto nel 1909), visto come una anticipazione di quello che sarà il “teatro del silenzio” in Europa (13). |
||
Enrico Annibale Butti, autore di teatro e romanziere più noto per i suoi drammi che per le opere letterarie, tenta la stessa strada, ma non è dotato di una grande personalità che gli assicuri un successo di pubblico. I soggetti dei suoi lavori si rifanno al la problematica ibseniana, ma i suoi personaggi, a differenza di quelli di Ibsen, mancano di volontà, sono dei vinti sin dall’inizio (Vortice, La corsa al piacere, Fiamme nell'ombra). Con Butti e Bracco il teatro verista si è esaurito. Indici del mutare degli interessi e dei gusti è il numero di personalità minori e di mestieranti che, sapendo come piacere al pubblico, dosano con esperienza convenzioni e novità: Ettore Moschino, Domenico Tumiati, Dario Niccodemi e Sabatino Lopez. |
||
Roberto Bracco
|
Eleonora Duse come Nora in "Casa di Bambola" di |
|
|
La letteratura teatrale a
cavallo dei due secoli, formatasi sotto l'influenza del teatro polemico e
didattico francese, viene sconvolta da due energie turbatrici: l'ibsenismo,
"folgorante scoperta di virtù simboliche”, e il dannunzianesimo
(14). Gabriele D'Annunzio, che a questa data mantiene una posizione di primo piano come “maestro di comportamento” e come “poeta vate”, si dedica al teatro nella stessa misura con cui procede nell'attività letteraria. |
Egli vuole
riaprire la scena italiana alla grande tragedia e sostituire al linguaggio
quotidiano uno ricercatamente lirico che sia in grado di evocare un mondo
arcaico di passioni e sentimenti. Nei momenti di minore ispirazione
l'artificiosità del linguaggio finisce col soffocare l'azione, trasformando
i drammi in declamazioni oratorie, ma anche dove questo succede è
evidente la forza della sua personalità capace di combattere efficacemente
il gusto fotografico di imitazione francese. |
Per
ogni lavoro dannunziano (La città
morta, La
Gioconda, Francesca da Rimini,
La figlia di
Jorio, La Nave,
vi sarebbe un lungo di scorso da fare sulle polemiche e sugli
alterni successi che lì circondano, certo è che quasi nessuna delle sue
opere è passata inosservata alla critica e al pubblico
(45). |
Al principio del secolo vi furono autori che, in seguito al grande successo della Francesca da Rimini pensarono di aver trovato il filone dell'arte e della poesia saturando il mercato con drammi in costume: da Enrico Corradini a Vincenzo Morello (16). | |
Altri commediografi, sordi a ogni possibile rinnovamento, trovano
ancora pubblico coi loro quadretti borghesi di vita regionale. Esistono
tuttavia delle eccezioni, come il veronese Renato Simoni, apprezzato
critico teatrale, che cerca di scuotere il pubblico coi temi inconsueti
delle sue commedie, tra le quali sono: La Vedova (1906) e Tramonto
(1914).
Eleonora Duse: Francesca da Rimini (1902) |
Per completare questo breve panorama, non si può ignorare la presenza sulle scene di due movimenti come il Futurismo e i Crepuscolari. Di teatro si occupa Filippo Tommaso Marinetti, fondatore e animatore del Futurismo (Le Roi Bombance, Il tamburo di fuoco), ed Enrico Prampolini che opera soprattutto nel campo della scenografia. |
|||
Sem Benelli | Enrico Prampolini | F.T.Marinetti | Sem Benelli |
Il Crepuscolarismo, invece, si
trova più a suo agio nel regno della lirica che in quello chiassoso del
teatro. Più che di autori crepuscolari (Fausto Mario
Martini, Ercole
Luigi Morselli) si dovrebbe parlare di singoli lavori: infatti, l'opera
più rappresentativa di questo indirizzo è considerata Tignola
(1908) di Sem Benelli, che è anche l'autore di alcuni drammoni storici (La
maschera di Bruto, La cena delle beffe). |
|
Cronologicamente, anche Luigi Pirandello dovrebbe essere compreso in questo panorama. Già nel 1898
aveva pubblicato La Morsa, atto unico ridotto da una sua novella, e
altri drammi saranno poi scritti e recitati prima della guerra (17). Le sue opere teatrali, però,
vengono accolte per lo più con freddo rispetto, poichè le problematiche
non appartengono alla sensibilità ancora ottocentesca del primo 1900.
Solo dopo la tragedia del la guerra ci sarà un pubblico in grado di
apprezzarne il lavoro, quando cioè “l'umanità sentì espresso
nell'opera di Pirandello lo sgomento, lo sfacelo spirituale in cui si
dibatteva”
(18). |
Luigi Pirandello |
Le condizioni della scena italiana,
alla fine dell'800, sono ancora legate al nomadismo degli attori che viene
considerato come un male inevitabile, vi è però la consapevolezza
diffusa di quanto maggior decoro verrebbe assicurato da una sede stabile.
Nella prima metà dell'800, alcuni governi sostennero, anche se non
proprio per amore dell'arte, la formazione di compagnie
(19), nella
seconda, invece, anche dopo l'avvio del novello Stato Italiano, vi è un
manifesto disinteresse per l'organizzazione della vita teatrale, e un
completo affidamento di questa all’iniziativa di privati
(20). |
|
A
cavallo
tra 1800 e 1900, le precarie condizioni teatrali (21)
suscitano allarmi che, pur essendo circoscritti a gruppi di
intellettuali, conducono ad alcuni tentativi di costituire stabili teatri
d'arte: a Torino nel 1898 per l'iniziativa del critico Domenico Lanza,
dello scultore Leonardo Bistolfi e del costumista-scenografo
Luigi Sapelli (meglio noto,sotto lo pseudonimo di “Caramba”);
a Roma nel 1905 il critico Edoardo Boutet
con Ferruccio Garavaglia, sempre a Roma l'attore
Ermete Novelli e la sua “Casa di Goldoni” (1900); a Milano,
dove Marco Praga rileva nel 1913 la compagnia Di Lorenzo-Falconi. |
Manifesto della compagnia Galli, Guasti, Ciarli, Bracci (1912) |
Tali
compagnie hanno una vita corta e travagliata, non solo per gli scarsi
finanziamenti e i mezzi inadeguati a loro disposizione, ma soprattutto per
le scarse concessioni al gusto corrente in fatto di repertorio, attori e
scenografia. Si tratta di esperienze troppo nuove per il pubblico dì
allora. La parte del leone la fanno, sempre
le compagnie di tipo tradizionale, quelle legate alla figura di un grande
attore. In queste compagnie due erano i tipi di contratto che vincolavano
i componenti.generalmente per la durata di tre anni: quello capocomicale
in cui il capocomico, che poteva essere insieme direttore artistico e
primo attore, era responsabile unico della gestione (compagnie Novelli,
Duse, Salvini, Rossi); e la compagnia sociale in cui i soci si
dividevano in proporzioni stabilite le spese e gli utili e che, essendo
spesso formate da attori con ruoli di primaria, importanza e soci a
tutti gli effetti, avevano il nome “in ditta”. Famose in questo
periodo quelle dirette da Virgilio Talli (22): la Talli-Gramatica-Calabresi,
e la Talli-Melato-Betrone-Giovanni. |
Emile Zola |
Trionfa ancora l'ammirazione per
l’interprete individuale. Spesso l'attore è un creatore più che un
interprete, non si spiegherebbe altrimenti come Emile Zola abbia potuto
salutare l'esordio del positivismo in Italia ne La morte civile di
Paolo Giacometti (lacrimoso melodramma in endecasillabi sciolti), se non
attribuendone il merito allo Zacconi, che fece della morte per stricnina
del protagonista un suo cavallo di battaglia (23). |
Ermete Zacconi |
Gli attori si lamentano per la
debolezza del repertorio nazionale, rispetto al gusto del pubblico
(fattore insopprimibile per la sopravvivenza delle compagnie), e della
teatralità delle rappresentazioni, ricorrendo di preferenza al teatro
francese e alle sue imitazioni. Eppure proprio in questo periodo la
collaborazione autore - attore si fa più stretta, ad esempio il rapporto
D'Annunzio Duse è uno dei casi più famosi. In genere le compagnie hanno un
repertorio eclettico che spazia dalla tragedia alla farsa,
specializzandosi talvolta in un genere piuttosto che in un altro. Questo
è soprattutto vero per quanto riguarda i grandi attori: raramente un
artista di fama osa riproporre un lavoro che ha reso famoso un collega, i
confronti non sono mai graditi
(24). Inoltre,
la non grande affluenza del pubblico,eccettuato per eventi straordinari,
costringe gli artisti a rinnovare frequentemente il programma dato che,
anche nelle città di maggior giro (Bologna, Napoli, Milano, Torino), le
repliche di uno stesso lavoro erano poche. |
|
Kostantin Stanislavskij ("Il malato immaginario") |
Mentre il teatro italiano resta legato ad abitudini ormai radicate, fuori d'Italia fervono importanti iniziative destinate a rinnovare il mondo teatrale: si cominciano a fare i nomi di perso ne che appartengono a categorie sconosciute o che erano state poco apprezzate fino ad allora, sono registi e scenografi quali Adolphe Appia, Gordon Craig (25), Stanislawskij, ... (26). In Italia scenografi e costumisti (la figura del regista è pressochè sconosciuta) hanno un'importanza secondaria e raramente vengono portati agli onori delle cronache, a meno che non possiedano la personalità di Craig (che lavora a Firenze), o la multiforme attività di Prampolini o Sapelli. L’Attore è una personalità sacra: la media borghesia italiana, lontana dall'accorgersi delle manchevolezze della nostra vita teatrale, inorgogliva ai successi strepitosi dei nostri grandi attori, e, sul la retorica formatasi intorno alla Duse e a Novelli, alla Di Lorenzo e a Zacconi, costruiva una falsa coscienza di gloria nazionale in questo campo" (27). |
Edward Gordon Craig ("I Vichinghi") |
|
La capacità di rinnovamento degli attori è limitata dalle circostanze. Restano legati a vecchi schemi declamatori oppure a un naturalismo di facile successo, tale realismo può essere però di altissimo livello come in Ermete Zacconi, artista cui spetta il merito di aver introdotto in Italia opere straniere di grandissimo valore. Lo stesso merito spetta a Eleonora Duse che, pur partendo da un repertorio verista, approda alla riva opposta cercando, attraverso una serie interminabile dì esperimenti, “una spiritualità che riscattasse il teatro da ogni limite materiale” (28). Si potrebbero
fare anche i nomi di Adelaide
Ristori, che Silvio D'Amico definisce
"la classica attrice-dama", o di Giovanni
Emanuel, ammirato
interprete shakespeariano e dei classici in genere, ma aver nominato
Zacconi e la Duse mostra già quali vie seguano gli attori: la
rappresentazione veristica o l'intuizione di verità oltre il semplice
testo scritto. |