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Il Santuario
di S. Antonio Abate

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La Conversione al cristianesimo nei primi secoli:
motivazioni, esigenze ed ostacoli
[1]

A cura di Giuseppe Daraio

 

La conversione è l’evento fondante dell’esperienza religiosa. L’esperienza dello spirito ha inizio con il “convertere" o “metanoia ( metànoia )”. Dal significato delle due parole che, rispettivamente, in latino e in greco, indicano lo stesso evento, emerge la radicalità della scelta che viene richiesta. “ Convertere “significa “ volgersi ”; “ mettersi in cammino verso “; chiaramente, chi cammina ha sempre di fronte a sé la meta desiderata e, di conseguenza, prima di tutto, rivolge il suo cuore, la sua mente, il suo corpo a quello che si rivela essere l’oggetto del suo desiderio. La metànoia implica il cambiamento radicale di mentalità proprio di chi cambia profondamente la direzione, le prospettive della propria vita. La conversione è, quindi, evento totalizzante perché ci coinvolge interamente  ( cuore, mente, corpo ) ed abbraccia tutta la nostra vita. Possiamo verificare questa premessa nella storia cristiana dei primi secoli.
L’impero romano, un vero e proprio colosso geografico, politico e culturale, fu conquistato dalla Buona Notizia che la Chiesa delle origini diffuse a tutte le genti. L’impatto non fu indolore; il mondo antico ne uscì radicalmente trasformato nelle sue radici e nelle sue fondamenta e i cristiani pagarono un tributo inestimabile di tribolazioni, persecuzioni, martìri nel compiere quel miracolo che nessuna delle innumerevoli religioni e sette religiose o filosofiche allora esistenti riuscì a realizzare.

 

Perché il pagano si accostava alla comunità cristiana?

·     Le motivazioni:

Prima di tutto il desiderio di verità.  Nessuna civiltà, forse, più di quella antica, è stata tormentata dal bisogno di comprendere il senso della vita, la verità più intima di noi stessi e dell’universo; in poche parole, il senso delle cose. E diverse erano le fonti che promettevano di estinguere questa sete.

Chi ne aveva la capacità intellettuale ed economica si dedicava allo studio della filosofia; fiorenti ed illustri erano le numerose scuole filosofiche che potevano vantare maestri di grande fama. E la filosofia è propriamente “amore di sapienza, di conoscenza“. La religione ufficiale, quella olimpica, con le diverse divinità e i suoi miti, non avrebbe mai potuto soddisfare questa domanda di senso perché, oltre ad essere atrofizzata dal ritualismo e dalla erosione della secolare speculazione filosofica, era, nei suoi fondamenti, una religione che fondava la convivenza sociale della città ( pòlis ), scandendone la vita, sostanzialmente sterile, però, di contenuti spirituali capaci di rispondere alle esigenze esistenziali dell’individuo.

Rimaneva, allora, la galassia delle sette misteriche e misterosofiche ( dalle più antiche: i misteri eleusini di Cerere, quelli di Bacco, della Grande Madre fino alle più recenti importazioni come i misteri di Iside ed Osiride ) accomunate nella loro diversità dal fatto che, mediante una rivelazione destinata a i soli iniziati, che avevano l’obbligo di conservare il segreto, inserivano il miste nella vita ciclica della natura ( ad es. l’alternarsi delle stagioni con i relativi lavori agricoli etc...). E ciò si realizzava attraverso la partecipazione ad apposite liturgie, la conoscenza di formule e parole misteriose che garantivano la com-prensione ( il possesso mediante la conoscenza ), ovverosia il dominio, del mondo naturale e soprannaturale e, di conseguenza, la salvezza. Erano parole incomprensibili, procedimenti più o meno magici o, tutt’al più, l’esempio di una mitica divinità eponima o di un rispettabile maestro detentore di una scienza tutta umana.

E i cuori affranti da questa inutile ricerca del vero rimanevano colpiti, rapiti da un annuncio fatto con l’autorità della vita dagli stessi testimoni che avevano conosciuto Gesù di Nazareth, il Cristo: il Dio-con noi che aveva preso dimora in mezzo agli uomini realizzando con la sua vita ed il suo insegnamento una salvezza viva, una speranza già presente anche se non ancora compiuta.  La Verità prendeva dimora in mezzo agli uomini per liberarli ed essere con loro fino alla fine dei giorni.
Questa è la ricerca che condusse alla conversione tanti spiriti illustri dell’antichità cristiana come Giustino, il suo discepolo Taziano, Clemente e, più di tutti, Ilario di Poitiers [2].Egli parte dal problema della vita e del suo senso e scopre la dignità dell’uomo, diverso da tutti gli altri esseri viventi. Scopre Dio e comprende che Dio ci chiama ad una vita che va oltre la morte. La scoperta dell’immortalità dell’anima spiana la via di Ilario alla conoscenza di Gesù ed Ilario si lascia conquistare. Ilario ha amato la verità e l’ha riconosciuta in Gesù Cristo.

Il mondo pagano veniva conquistato dall’annuncio che Gesù ci libera da ogni schiavitù, da quella del peccato a quella dei segni zodiacali e degli oroscopi. Il mondo antico conobbe sul serio la piaga della schiavitù, fisica e spirituale. Si diventava schiavi per un’inezia ( diritto di conquista, per debiti, per delitti comuni ). Gli schiavi, privi di ogni diritto e di ogni libertà pubblica e privata, rientravano nella categoria degli oggetti da sfruttare e da buttare via quando diventavano inutilizzabili. Difficile era affrancarsi. La schiavitù più grave era, però, quella spirituale. Essa nasceva dalla credenza comune, sostenuta da alcune scuole filosofiche, nell’esistenza di un destino che regolerebbe più o meno irrazionalmente la nostra vita. E la magia, l’astrologia, molto diffuse, assicurando la conoscenza del suo oscuro volere, affermavano il suo dominio e la nostra schiavitù. Il Cristo libera. E’ la libertà più grande, quella dell’anima: l’uomo, libero da catene, deve vivere le sue libere scelte che possono condurlo alla vita o alla morte ma è lui che costruisce la sua vita. Certo, rimaneva in piedi l’istituto della schiavitù  e S. Paolo raccomandava ai servi di essere fedeli ai propri padroni[3] ma una rivoluzione si realizzava: uomini prima divisi da distanze abissali, padroni e servi, si ritrovarono uniti nel vincolo della comunione fraterna, intorno all’altare, per condividere la stessa Eucaristia, godendo degli stessi favori spirituali. Era una cosa inconcepibile.

Il Cristo ci libera dalla schiavitù del peccato e del male e ci libera dalla condanna più grave: la necessità di dover morire. Grande promessa, grande speranza: la Gerusalemme celeste.
La liturgia battesimale con i riti di esorcismo e l’unzione crismale sottolinea questo passaggio dalla schiavitù alla dignità stessa del Figlio di Dio, nel nuovo popolo dell’alleanza.

I pagani “ cadevano in crisi “ dinanzi alla testimonianza della comunità cristiana. I cristiani si chiamavano santi, nome che esprime prima di tutto la trasformazione morale operata in loro dal Battesimo, la vita nuova in Cristo[4]. E’ testimonianza di carità autentica. Gli esempi non finirebbero mai; ne ricordiamo almeno uno; siamo agli inizi del 300 d.C.; Diocleziano sferra l’ultima grande persecuzione; l’impero è nel frattempo colpito ad Oriente da terribili carestie e pestilenze e dalla guerra. Fra grandi tribolazioni i cristiani si fecero carico dei bisogni spirituali e materiali di tutti, a partire da quelli dei pagani persecutori[5]. La carità è il cuore pulsante del Corpo mistico; solo essa permette ai cristiani di accettare il martirio e i supplizi più crudeli nel nome di Cristo. S.Clemente, infatti, afferma che quando i cristiani mancano di carità bestemmiano il nome di Dio[6].
Tralasciamo altri motivi di minore importanza; ricordiamo, però, che, con l’affermazione del Cristianesimo come religione dell’impero, non mancarono uomini che entrarono nella comunità col recondito desiderio di far carriera.

 

·     Le esigenze della conversione al Cristianesimo.

I neofiti dovevano rinunciare al passato. Il battezzato ha sepolto con Cristo l’uomo vecchio e risuscitando con Lui è creatura nuova. E’ un bambino: “ Come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale “[7]. Questo comporta la rinuncia al peccato e all’idolatria, l’attaccamento al Cristo, la sua sequela. Una rinuncia totale e tutti, Padri ed Apologisti, sono concordi, dal più appassionato, S.Ignazio di Antiochia, al più calmo, S.Policarpo di Smirne. L’imperatore obbliga i Cristiani al rituale sacrificio in suo onore e in onore della dea Roma ed essi preferiscono morire: essi appartengono solo a Cristo che li ha acquistati a prezzo del suo sangue. Nei primi tre secoli ogni cristiano è un potenziale condannato a morte; e i catecumeni sanno che Gesù ci chiede una scelta totale che comprende anche il sacrificio della vita.

I pagani devono accettare un’altra esigenza: aderire a dogmi misteriosi senza alcuna riserva. La Chiesa, nel Papa e nei Vescovi, successori di Pietro e degli Apostoli, è depositaria di quanto, grazie alla Spirito, ha compreso della Rivelazione che Gesù Cristo ha realizzato in parole ed opere. La Chiesa, madre e maestra, spiega e trasmette i contenuti della fede ai suoi figli pur nel rispetto delle loro tappe formative, umane e spirituali. I pagani che approdavano alla Chiesa dovevano fare uno sforzo che noi non immaginiamo neppure per aderire al suo insegnamento.

La cultura pagana non credeva alla creazione: greci e romani pensavano ad un universo che dovesse durare per sempre. Ammettere un inizio ed una fine equivaleva a negare la bontà di Dio. Semplicemente incredibile era l’incarnazione perché assolutamente senza senso, secondo il loro punto di vista: un dio che entra nella storia, che si sottopone al mutamento proprio della natura umana, viene meno alla sua perfezione che consiste nell’immutabilità. La dottrina della Risurrezione e delle realtà ultime li metteva a dura prova: si rischiava di suscitare il riso o una reazione violenta come quella che subì S.Paolo sull’Aeropago[8].

Altra importante esigenza era lo sforzo verso la santità. Col Battesimo siamo uomini nuovi e questa novità di vita deve trasparire nei nostri comportamenti: la purezza di costumi che i cristiani generosamente si impegnano a vivere. “ Noi viviamo assieme, preghiamo per i nostri nemici, cerchiamo di guadagnare i nostri persecutori ingiusti, affinché quelli che seguiranno i precetti sublimi del Cristo possano sperare la nostra ricompensa da Dio, Signore del mondo “[9]. Nella predicazione di Giovanni il Battista, nell’annuncio di Gesù, ripetuto dalla Chiesa, la conversione ha inizio con la penitenza: riconoscimento dei nostri peccati e proposito di vivere in santità. La Chiesa è molto attenta alla vita morale dei suoi figli e, su richiamo di Tertulliano e di S.Ippolito, che sono i più rigoristi, la Chiesa fra II e III sec., si irrigidisce nel richiedere ai neofiti un reale cambiamento morale; diventa molto severa a tal punto da sottoporre i catecumeni a verifiche ed esami per riconoscerne i progressi prima di ammetterli al Battesimo. Nonostante questo, paradossalmente, il livello morale si abbassa. E’ curioso ritrovare già allora comportamenti di cui ancora ci lamentiamo. Ad es. Origene si lamenta del fatto che molti cristiani si nascondano dietro ai pilastri della Chiesa per chiacchierare a loro agio ed occuparsi di affari profani[10]. In questo scenario si abbatte la persecuzione di Decio. Per sottrarvisi molti cristiani rinnegano la fede ( apostasia ). Terminata la tempesta i lapsi, i caduti, chiedono di essere ammessi alla riconciliazione e ne scaturisce una discussione vivace fra chi non vuole riammetterli alla comunione e chi vuole usare misericordia dinanzi a un sincero pentimento. Prevale il perdono sul rigorismo morale di un presbitero come Novaziano: i peccatori umilmente pentiti hanno un valore più grande degli ipocriti orgogliosi. Il dissidio si ricompone e i cristiani imparano una grande lezione: il Battesimo li rende santi ma essi sperimentano ogni giorno la loro fragilità e il bisogno della grazia santificante per vivere una conversione che non riguarda un momento ma che abbraccia la vita intera.

Anche i filosofi, soprattutto pitagorici e stoici, davano precetti morali ai loro discepoli ma la differenza è sostanziale; presso di loro questa esigenza nasceva dalla volontà di obbedire alle leggi di natura, opera di una intelligenza suprema, presso i cristiani, dal bisogno di vivere la legge dell’amore nell’imitazione di Gesù, in un progetto di salvezza che scaturisce dall’amore del Padre.
Ammesso alla comunione, cominciavano per il cristiano serie difficoltà.

 

·     Gli ostacoli alla conversione cristiana.

Il convertito veniva estromesso dalle tradizioni religiose. La mentalità religiosa pagana era molto conservatrice; le tradizioni degli avi, il complesso del mos maiorum, era fondamento di vita ordinata: garanzia di continuità di fronte al rischio delle res novae, delle pericolose novità. Per cui antichità diventa sinonimo di eccellenza, di verità, di giustizia. Era una regola valida anche per i filosofi scettici, di una critica erosiva verso le tradizioni religiose ma ben lungi dal negarle[11]. E solo l’antichità delle loro tradizioni spinse i Romani ad un atteggiamento di tolleranza verso i turbolenti Ebrei, finché questo fu possibile. Quale diritto, però, potevano accampare i Cristiani? Uomini senza storia, nati ieri, seguaci di un ribelle che aveva subito la pena infamante riservata agli schiavi, ai sovversivi. Ed allora si diffuse sul loro conto il nomignolo derisorio tertium genus, “ terza razza”. Isolato dalle tradizioni religiose patrie, il cristiano veniva provato nella fede.

La conversione comportava la rottura dei legami familiari. Gesù stesso chiede a quanti vogliono seguirlo di abbandonare tutto e gli Apostoli ne sono il primo esempio[12]. Non è solo il problema relativo agli ostacoli che la famiglia può sollevare lungo la strada della conversione ma anche la necessità di riconoscere che il vincolo dello Spirito non annulla ma supera i legami di sangue e di impegnarsi a vivere questa dimensione.

Perpetua sta per essere condotta dal magistrato che la condannerà alla pena capitale; la donna aspetta un bambino. Si presenta in carcere il padre e comincia a supplicarla di aver pietà di lui, del suo bambino, della sua famiglia risparmiando ai suoi cari il dramma con le temute conseguenze sociali da parte dei pubblici poteri. La donna soffre pietosamente davanti alle canizie del padre supplice ma sa che non potrà negare a Gesù la suprema testimonianza. Ed accetta il martirio[13]. La Chiesa abbonda di donne e proprio loro, componente più debole della società antica, pagano la conversione con le sevizie dei loro mariti, nel chiuso delle mura domestiche. La situazione si complica perché rigoristi come Tertulliano mettono in guardia le donne dai rischi di idolatria in cui possono cadere vivendo con un marito pagano, in un ambiente che non ricorda loro l’appartenenza a Gesù. E si arriva persino a negare la possibilità di celebrare matrimoni misti[14]. Si poteva costringere, però, una moltitudine di donne cristiane a rimanere vergini? Ed allora, di fronte alle posizioni rigoriste, prevale l’ottimismo fiducioso di Clemente Alessandrino[15]: le spose cristiane faranno di tutto per avvicinare i loro mariti alla fede in Gesù; esse dovranno obbedire in tutto ai loro mariti tranne in ciò che riguarda la fede e la salvezza. E sì una via irta di ostacoli, una via che provoca il martirio spirituale e, a volte, quello fisico ma è via di eroismo come dimostrerà l’esempio di S.Monica.

Ostacoli non diversi riguardavano la conversione di figli di genitori pagani e viceversa. Fra i primi ricordiamo S. Martino ( IV sec. ) che abbandona la casa paterna dopo la conversione e si arruola nell’esercito. Al suo ritorno in Pannonia, dopo alcuni anni, riesce a liberare la madre dall’errore del paganesimo ma non il padre che rimane irremovibile[16]. E si realizzano le parole del Salvatore: “ Sono venuto a separare il figlio dal padre “.

A spezzare ogni illusione di facilità intervenivano gli ostacoli sociali. I cristiani vivono ai margini della società: l’opinione pubblica li condanna ed il solo nome “ cristiano ” era capace di suscitare un odio irrazionale anche presso gli uomini colti. Essi erano accusati dei delitti più vergognosi ( incesto, antropofagia etc...) e venivano creduti responsabili di tutti i mali di questo mondo ( pestilenze, carestie etc...). Bastava un niente perché la folla cominciasse a gridare “ Al leone i cristiani! “ dando inizio ad una feroce caccia all’uomo che non risparmiava neppure i corpi dei defunti. A nulla servono le parole di Apologisti e Padri che ricordano come questi eventi capitassero già prima della nascita del Cristianesimo. La società li ostracizza ed essi devono difendere la loro appartenenza a Cristo. Come fare? Abbiamo la testimonianza di cristiani  che continuano  a partecipare lealmente alla vita sociale evitando solo l’idolatria; altri, invece, si separano da tutti gli altri uomini per realizzare un ideale di sequela e per condividere un’esperienza di comunità cristiana nella quale il Regno di Dio si renda più visibile in mezzo agli uomini. La posizione non è univoca neppure presso i singoli autori. Tertulliano, che è fra i più rigorosi e che scrive ben tre opere      ( De idolatria; De spectaculis; De corona militis ) per sostenere l’esigenza di una separazione netta dal mondo, sognando una città nel deserto abitata da soli cristiani,  parla altrove della collaborazione sociale dei cristiani senza esprimere giudizi negativi[17]. Le posizioni rigoriste di un Tertulliano possono apparire esagerate ma esse scaturiscono dalla radicalità e integralità della chiamata evangelica. D’altra parte non si può disconoscere la validità delle esigenze pratiche della vita che coinvolgono anche i cristiani: guadagnarsi il pane quotidiano, pensare al futuro dei figli, conservare le relazioni coi vicini. Di fronte ai bisogni reali i cristiani non si sottraggono: molti di essi cominciano ad essere presenti nelle istituzioni. Il Cristianesimo si diffonde in tutte le classi sociali e i cristiani non vengono meno alle loro responsabilità; ciò si ha soprattutto fra la metà del III sec. e gli inizi del IV sec., fra le persecuzioni di Decio e quelle di Diocleziano quando i poteri pubblici, pur rimanendo in vigore le antiche leggi, assumono, comunque, un atteggiamento di tolleranza. Per la scarsità delle testimonianze, però, non sappiamo come i cristiani riuscissero a conciliare l’integralità con l’impegno sociale, politico e militare schivando l’idolatria ma molti conclusero eroicamente la loro vita con il martirio. Nell’esercito le difficoltà erano maggiori; molti cristiani prestarono il loro servizio, grazie alla tolleranza dei capi. Questi non chiedevano conto della loro fede ai propri sottoposti e i cristiani adempivano alle esigenze del servizio evitando atti di idolatria. Ricordiamo a proposito gli esempi di S.Marino e S.Giulio che non esitarono ad optare per il martirio quando furono costretti a scegliere fra la spada e la fede accanto al quasi coevo esempio di S.Massimiliano e di altri che rifiutarono di prestare il servizio militare. Quello che all’uomo appare una contraddizione si ricompone nella imperscrutabile azione provvidenziale di Dio. Il cristiano porta la sua energia, i suoi valori, la sua intelligenza nella costruzione della città degli uomini ma non ha paura della solitudine, dell’emarginazione quando ciò gli è impedito. Lo Spirito Santo ci colma di doni differenti e chiama ciascuno di noi a una vocazione santa; sapienziale è la posizione di chi riconosce nella diversità l’unità anche se la novità implica necessariamente delle rotture che ai nostri occhi limitati possono apparire insanabili. C’è un progetto unitario che impariamo a leggere solo in filigrana nella piena fiducia in Dio riconoscendo che Egli “ è un Dio verace e senza malizia “[18]. Gli spiriti logici e intransigenti come Tertulliano, S.Ippolito, Origene ed altri che sono stati protagonisti, con le loro opere e con le loro scelte, di una dialettica molto vivace nella Chiesa hanno rappresentato l’esigenza di una comunità cristiana costantemente bisognosa di conversione e di rinnovamento di fronte alle esigenze di integralità e di autenticità che Gesù richiede a coloro che si pongono alla sua sequela.  La Chiesa fa memoria di questa esigenza nell’incalzante esortazione espressa dalla Liturgia durante la Settimana Santa  “ Convertere, convertere ad Dominum Deum tuum “[19]. Per dono di Dio alcuni uomini accolgono radicalmente questo invito alla conversione ed intraprendono una via completamente nuova con la scelta di una nuova direzione di marcia; intorno a loro il Signore fa sorgere nuove comunità. E’ l’esperienza di Abramo [20]; è l’esperienza di un uomo che è vissuto poco dopo l’età nella quale ci muoviamo: S. Antonio Abate, padre del monachesimo orientale, primo dei padri del deserto. Rampollo di una nobile famiglia, partendo da una delle città più ricche del mondo antico, Alessandria, la nuova Atene, egli si fece pellegrino ed intraprese un viaggio che lo portò nel deserto rifiutando polemicamente lo stile di vita dei cristiani del suo tempo, di comunità cristiane come quella retta da Nepos, Vescovo di Arsinoe, che aspettava un millenario regno del Messia che avrebbe consentito agli uomini di godere delle gioie del mondo, secondo la speculazione tipica di gente abituata al benessere, sulla base di una erronea interpretazione di un passo dell’Apocalisse. Questi uomini “ incomprensibili “, spiriti che la povertà umana non esita a bollare come estremisti, scoprirono un tesoro che avrebbe arricchito la Chiesa intera. Grazie a loro la Chiesa poté uscire vittoriosa dalle numerose dispute cristologiche che a breve l’avrebbero divisa, con il fiorire di numerose eresie. Fu proprio uno dei discepoli di S.Antonio, Atanasio, che, divenuto Patriarca di Alessandria, sconfisse le tesi di Ario al concilio di Nicea. L’esperienza del deserto ebbe un peso notevole nella formazione di Atanasio; egli acquistò la tempra necessaria con la quale resistette a ben cinque esili che lo tennero lontano ben diciassette anni e mezzo; abituato dalla vita austera del deserto a vincere le battaglie dello spirito contro le apparenze ingannevoli e a discernere gli spiriti provenienti da Dio da quelli estranei[21]. Veramente il nostro “ è un Dio verace e senza malizia “. 


[1]  Gustave Bardy, La conversione al cristianesimo, nei primi secoli, Aubier Editions Montaigne, Paris 1947; edizione italiana presso la Jaca Book, Milano 1975 (I) 

[2] De Trinitate I, 2-10

[3] Col 3, 22

[4] I Cor 6,9-11

[5] Eusebio, Historia Ecclesiastica IX, 8, 13, 14.

[6] Clemente, Seconda lettera ai Corinzi, XIII, 3/4

[7] I Pt 2,2

[8] At 17, 31-32

[9] Giustino, Apologia XIV, 2-3

[10] In homiliam XII, 2

[11] Cicerone, De natura deorum I, 22; III, 2

[12] Mt 10, 19-22.34-38; Lc 14, 26

[13] Passio Perpetuae et Felicitatis V/VI

[14] Tertulliano Ad uxorem II, 3; Cipriano, Testimonia II, 62; cfr De lapsis 6.

[15] Stromata IV, 19, 123

[16] Sulpicio Severo, Vita S.Martini, VI

[17] Apologeticum 37,4

[18] Dt 32,  4

[19] “ Convertiti, convertiti al Signore Dio tuo “

[20] Gn 12, 1

[21] Sull’intero argomento cfr Paul Josef Cordes,” Non estinguere lo Spirito “, ed. paoline, 1992

 

 

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