Ritratti di
Famiglia
A cura di Giuseppe Daraio, articoli
già pubblicati su giornale parrocchiale Castello 7 dal 30
settembre 2001 al 11 novembre 2001.
Il Santo non è né un mestiere di pochi, né un pezzo da museo. La
santità va vista in ogni tempo come la stoffa della vita cristiana. Qui troverete
tratteggiate varie figure di santi che dimostrano invece come la santità non consista nel
fatto che l'uomo dà tutto, ma nel fatto che il signore prende tutto.
AQUILA E PRISCILLA, la famiglia cristiana è chiesa domestica
In un tempo in cui le quotazioni del sacramento del matrimonio e della
famiglia sono fortemente in ribasso, minacciate da una cultura individualistica e
relativistica, cominciamo con la testimonianza di due sposi. Il loro impegno di lavoro, la
vita famigliare cercata e vissuta ogni giorno come progetto di Dio, l'essere
"collaboratori in Cristo Gesù" dell'Apostolo Paolo ci aiutano a conoscerli come
due coniugi che perseverarono concretamente sulla via della vita e del Vangelo. La loro
casa era chiesa domestica pellegrinante, accogliente e ospitale, aperta alla novità e
all'azione di Dio, ai bisogni della comunità, alla collaborazione e alla guida di quanti
Dio si è scelto per svolgere il ministero sacerdotale in mezzo al suo popolo.
Aquila, originario del Ponto, in Asia minore, si trasferì in tempo imprecisato a Roma
dove sposò Prisca o Priscilla. Erano fabbricanti di tende costretti a continui
spostamenti per curare i loro interessi commerciali. Li incontriamo per la prima volta a
Corinto nel 51 d. C. dove si rifugiarono dopo l'espulsione da Roma di giudei e cristiani
voluta dall'imperatore Claudio. Erano già cristiani quando l'apostolo Paolo giunse a
Corinto e si fermò in casa loro dove lavorando poté guadagnarsi da vivere senza essere
di peso a nessuno. L'Apostolo, inoltre, trovò in Aquila e Priscilla due cristiani
partecipi delle sue fatiche apostoliche.
I due sposi lo accompagnarono ad Efeso e qui si stabilirono anche dopo la sua partenza
svolgendovi un'intensa attività di apostolato e istruendo, fra l'altro,"nella via
del Signore", da veri e propri catechisti, il dotto giudeo-cristiano Apollo prima che
questi, battezzato, partisse alla volta di Corinto.
I cristiani si riunivano allora nelle case per celebrare l'Eucarestia e per pregare
insieme (ecclesia domestica) e Aquila e Priscilla offrirono alla comunità la loro casa;
san Paolo, infatti, scriveva ai Corinti : "Molti saluti nel Signore vi mandano Aquila
e Priscilla, con quelli che nella loro casa si adunano, dei quali sono ospite".
I due sposi ritornarono a Roma spinti dalle esigenze del loro commercio; qui riaprirono le
porte della loro casa alla comunità cristiana ricevendo i saluti dell'Apostolo che li
ricorda per primi, chiudendo la Lettera ai Romani, con parole di gratitudine:
"Salutate Prisca e Aquila miei collaboratori in Cristo Gesù: per salvare a me la
vita, essi hanno rischiato la testa; a loro non solo io rendo grazie, ma anche tutte le
Chiese dei gentili. Salutate anche la comunità che si aduna in casa loro".
Ignoriamo le circostanze della loro morte. Essi, forse, non subirono il martirio cruento
come alcuni storici pensano ma la loro testimonianza di santità (il martire, dal greco
màrtyr, è il testimone) è molto attuale.
GIUSTINO, la verità è fuoco che consuma
Viviamo oggi in un sistema economico-sociale retto dalla concorrenza che
impone di velocizzare i tempi produttivi e di consumo; nella vita spirituale, invece,
prevale la logica del "chi saccontenta gode" contraria al Vangelo che ci
chiama a vivere in santità, a un costante cammino di conversione, a non accontentarci mai
nel conoscere e vivere la Verità. Il denaro ci interessa più della nostra stessa
felicità presente e futura. Giustino ha voluto accumulare in cielo i suoi tesori e non si
è accontentato.
Di origine latina e pagana, era nativo della colonia romana di Flavia Neapolis,
lattuale Nablus, in Samaria, di una regione nella quale si scontravano religioni
molto diverse: i samaritani, i seguaci della dea Kore-Persefone e quelli di Simone il
Mago. In queste realtà è maggiormente sentito il bisogno di dare una risposta forte al
problema della verità, nel desiderio di scoprire il senso autentico della propria vita.
Gli studenti del tempo compivano i loro studi superiori sotto la guida di un filosofo e
Giustino, schietto e appassionato, intraprese un vero e proprio pellegrinaggio fra le
diverse filosofie del tempo. Infine incontrò un vegliardo, che gli parlò dei profeti, ed
egli riconobbe la vera sapienza nella fede in Gesù Cristo: "...un fuoco si accese
immediatamente nel mio animo e fui preso da amore per i profeti e per questi uomini che
sono gli amici di Cristo...". Fu battezzato ad Efeso intorno al 130 d. C.
Trasferitosi a Roma, aprì la prima scuola cristiana attestataci per servire Cristo da
missionario-filosofo, desideroso di conquistare alla causa del Vangelo le classi colte.
Non rinnegò la filosofia greca e considerò la rivelazione cristiana come lapprodo
naturale anche per quanti provenissero dalla secolare cultura greco-romana. Essi avrebbero
potuto riconoscere nella storia del proprio pensiero i semi profetici della salvezza
futura sparsi dalla Sapienza divina. Gettava così per primo le basi del dialogo con
quella cultura. Si impegnò nel combattere lignoranza dei pagani, causa di
pregiudizi e di accuse infamanti contro i cristiani, esaltando la loro testimonianza di
carità, la mitezza e la fede coraggiosa non sopraffatta dalla violenza. Scrisse una prima
Apologia che contiene, fra laltro, la più antica descrizione della celebrazione
eucaristica e il Dialogo con Trifone importante per conoscere il metodo della catechesi
nella Chiesa delle origini.
Dopo un periodo di viaggi missionari, tornato a Roma, scrisse una seconda Apologia che
rivolse al senato per difendere alcuni cristiani arrestati e accusò di calunnia un
filosofo pagano, Crescenzio, ben ammanicato con i pubblici poteri. Venne allora arrestato
con altri sei compagni e, rifiutatosi di sacrificare agli idoli, fu con loro decapitato
nel 165 d. C. sotto gli imperatori Antonino Pio e Marco Aurelio.
CIPRIANO, una è la chiesa, uno e inseparabile l'amore
Nacque a Cartagine in Africa intorno al 210 d. C. da una ricca e nobile
famiglia e trascorse la sua giovinezza in modo molto libertino tanto che la sua
conversione, nel 245 d. C., fu salutata diversamente come uno scandalo o come un miracolo.
Volle seguire Gesù fino in fondo rinunciando ai suoi beni, che distribuì ai poveri, e
agli studi classici fino ad allora prediletti. Diventò vescovo di Cartagine nel 249 d.
C.; la sua sarebbe stata una testimonianza forte di carità e di amore della chiesa.
Da questa impariamo che è la Carità a realizzare lunità della Chiesa; il venir
meno al comandamento dellamore produce divisione (il diavolo, dal greco diabàllo,
è colui che divide). Ed ancora che, nella chiesa, ognuno è chiamato a svolgere nella
carità il ministero affidatogli, collobbedienza che Gesù ci ha insegnato.
Da uomo concreto, scampava con la fuga a un facile martirio e alla persecuzione di Decio
nel 250 d. C. Al suo ritorno trovò una chiesa in ginocchio: molti cristiani (i lapsi, i
caduti) avevano rinnegato la fede per paura. Scoppiò inoltre una terribile pestilenza che
flagellò per due anni la città di Cartagine con altre persecuzioni perché i pagani
accusarono i cristiani di esserne i responsabili. Egli sacrificò tutte le sue energie nel
prestare soccorso ai malati senza distinzione di fede e ciò fu sorprendente per gli
stessi pagani.
Dopo la peste fu al fianco di papa Cornelio nel bisogno di giungere a una riconciliazione
con i lapsi che, pentiti, chiedessero di essere ammessi nuovamente nella comunione
ecclesiale, contro il presbitero Novaziano che aprì uno scisma. Insegnò allora
lunità della chiesa universale che è unità dei cristiani innanzitutto con i
rispettivi vescovi, e poi dei vescovi con Roma quale sede principalis, fondata su Pietro
capo degli Apostoli. Uomo spiritualmente costruttivo, evitò lui stesso lo scisma quando
chiese che i lapsi venissero ribattezzati, scontrandosi con il papa Stefano I.
Nel frattempo un nuovo bagno di sangue veniva ordinato dallimperatore Valeriano nel
257 d. C. Il 14 settembre del 258 venne condotto ad Ager Sexti davanti al proconsole
Galerio Massimo. Alle domande "Sei tu Thascius Cyprianus? Tu fai da capo della gente
sacrilega? " rispondeva "Sì, sono io"; si rifiutò di sacrificare
allimperatore e venne trascinato sul patibolo. Depose la sopravveste, si prostrò in
preghiera, consegnò la dalmatica ai diaconi, attese imperturbabile il colpo del boia al
quale donava 25 monete doro, segno concreto di perdono e di carità. A noi affida
questa esortazione " Preghiamo sempre e in ogni luogo gli uni per gli altri, e
cerchiamo di alleviare le nostre sofferenze con la mutua carità ".
CECILIA, il canto della vergine
Sono sicuro di suscitare il risolino di qualche benpensante. La verginità
non è solo quella fisica come il mondo pagano pensa in modo riduttivo; non è
semplicemente la verginità del cuore, assecondando la scia di una lunga tradizione
cristiana, ricchezza fisica e spirituale da preservare. E la possibilità di
«diventare amici diletti e intimi di Gesù», un punto di arrivo e non di partenza a cui
tutti siamo chiamati. E la giovinezza di Cecilia, il canto di lei che «mentre gli
organi suonavano...cantava nel suo cuore soltanto per il Signore» (Passio Caeciliae*),
lesigenza di riconoscere continuamente nella nostra vita «loltre di Dio»,
«di affermare che "non tutto è qui", di lasciarsi guidare dallo Spirito,
giungendo primi, come Giovanni la mattina di Pasqua correndo al sepolcro" (cf. Enzo
Appella, Hoi Dodeka, pagg. 139-142).
Le notizie della vita di questa donna romana si perdono nelle pieghe della storia; quello
che noi sappiamo deriva dal racconto del suo martirio, la Passio, posteriore al 489 d. C.
Cecilia era una nobildonna romana, vissuta nel III sec. d. C., che partecipava ogni giorno
alla Messa celebrata da papa Urbano nelle catacombe di san Callisto, lungo la via Appia,
dove lattendeva una folla di poveri che lamavano per la sua grande
generosità.
La Passio racconta che fu data in sposa a Valeriano ma il giorno delle nozze, volendo
professare fino in fondo la sua verginità, elevò il suo canto damore solo per il
Signore e a sera, rimasta sola con il marito, gli disse «Nessuna mano profana può
toccarmi, perché un angelo mi protegge. Se tu mi rispetterai, egli ti amerà, come ama
me».
Il povero Valeriano, inizialmente adirato, si lasciò convincere dallamore e dalla
fede di Cecilia e finì per convertirsi e chiedere il battesimo. I due sposi furono
arrestati insieme al fratello di lui Tiburzio sotto limperatore Alessandro Severo,
furono processati e condannati alla decapitazione nel 230 d. C..
La tradizione racconta ancora che, nonostante il boia lavesse colpita con tre colpi
di ascia, ella rimase in vita, avendo chiesto al Signore di poter rivedere prima della
morte papa Urbano. E visse ancora tre giorni, aspettando la visita del papa. Privata
delluso della gola, continuò, però, a professare la sua fede in Dio facendo dei
cenni con le dita.
Le sue spoglie, insieme a quelle del marito Valeriano e di Tiburzio, riposano nella chiesa
di santa Cecilia in Trastevere a Roma, dove sorgeva la casa della martire e dove furono
traslate da papa Pasquale I nell821 d. C. dal cimitero di Callisto sulla via Appia.
Le reliquie di Cecilia furono trovate intatte in seguito alla ricognizione avvenuta il 19
ottobre 1589.
Il "divenire vergini" ci rende testimonianza visibile della presenza del Regno
di Dio in mezzo a noi.
BLANDINA, «Mia forza e mio canto è il Signore»
Forse originaria di Smirne o della Frigia ma condotta schiava a Lione,
Blandina è vissuta nel II sec. d. C.; era di corporatura fragile e di animo molto
sensibile come lo stesso nome lascia intuire.
Presso i latini il giogo della schiavitù era insopportabile; esso riduceva la persona a
semplice cosa, uno strumento da sfruttare al meglio possibile e da buttare e sostituire
appena gli eccessivi sforzi rendevano gli schiavi inutilizzabili. Alienati nel corpo e
nello spirito, non godevano di nessun diritto; marchiati sulla mano, appartenevano
esclusivamente al padrone.
La vita di Blandina, però, subì una svolta inaspettata. La sua padrona, una ricca donna
di Lione, accolse lannuncio del Vangelo e si convertì aderendo attivamente alla
vita di carità della comunità cristiana nella fede che la carità, vissuta con gli
umili, i prediletti del Padre celeste, avrebbe trasformato il mondo anche nel suo iniquo
ordine sociale.
Bisognosa di condividere la sua nuova vita, scelse proprio la sua schiava come confidente
e le parlò del Lieto Annuncio capace di trasformare completamente la vita delluomo.
Era lannuncio della libertà: «Un linguaggio mai inteso io sento: "Ho liberato
dal peso la sua spalla, le sue mani hanno deposto la cesta" (Sal 80)»: colei che
aveva potere di vita e di morte su di lei le parlava il linguaggio dellamicizia e
della confidenza. Secolari barriere sociali crollavano. Certamente fu la sua padrona ad
introdurla nella comunità cristiana dove venne a trovarsi fra i notabili della città,
Alessandro, il medico venuto dalla Frigia, il nobile Attalo ed altri, mostrando le sue
doti, la freschezza, la spontaneità e la forza del suo fervore, che la resero subito
amabile tanto da essere tenuta in gran considerazione.
Fu battezzata dal Vescovo Potino. La nuova vita non cambiò il suo lavoro domestico;
rimaneva sì alle dipendenze della sua padrona ma certamente cambiarono i loro rapporti
che si approfondirono e si riempirono di contenuti nuovi. Così i legami dei fratelli
uniti nel vincolo dello Spirito intorno allunico altare si concretizzavano in
rivoluzionari rapporti umani.
Arrivarono, però, i giorni dolorosi della Passione e del martirio. Durante lannuale
festa che riuniva a Lione le città della Gallia scoppiò un tumulto che provocò una
persecuzione violenta contro i Cristiani. Blandina venne arrestata con la sua padrona.
Creatura fragile, diede una testimonianza eroica; i carnefici la sottoposero per un intero
giorno alla tortura ma non riuscirono a piegarla. Fu esposta su un palo nuda agli sguardi
bestiali degli spettatori; fu scaraventata insieme a Potino nellarena per far da
pasto alle fiere nei giochi circensi; le fiere ebbero più compassione degli uomini
limitandosi solamente a morderla. Infine, non potendo vincerla diversamente, la
sgozzarono. Nella lettera che racconta il martirio leggiamo: «I fratelli credevano di
vedere nella loro sorella il Cristo crocefisso per essi».
LUCIA, la luminosa
Il nome di santa Lucia, da tempo immemorabile protettrice della vista, è
da mettere, in relazione con unantichissima radice indoeuropea, leuk, da cui le
diverse lingue hanno tratto nomi, verbi e aggettivi il cui significato è legato alla luce
e alla vista. Nella mentalità antica, essi sono per luomo i beni più preziosi, fra
loro strettamente legati.
Conosciamo il valore che la luce ha per i Cristiani, simbolo della luce divina che
illumina il mondo e spazza via le "tenebre dellignoranza"; essa è Cristo,
luce del mondo, che dona alluomo un nuovo senso e una nuova comprensione del mondo e
della vita illuminando le tenebre, il regno delle forze oscure, del male e del peccato.
La vista rappresenta la vita fisica e spirituale, finestra dellanima attraverso la
quale la luce divina entra nel corpo; in Matteo, infatti, 6,22-30 troviamo scritto:
"Lucerna del corpo è locchio". Il pensiero antico attribuiva alla vista
anche una funzione attiva: essa illumina le cose mostrandole al nostro intelletto che non
è capace di conoscere o di riconoscere ciò che gli occhi non illuminano, ciò su cui il
nostro sguardo si posa distratto e indifferente. E un discorso molto importante
perché una conoscenza distratta incide, poi, sulla nostra facoltà di giudizio e, di
conseguenza, il rischio di "prendere lucciole per lanterne" è molto elevato.
In un mondo globalizzato, poi, in cui la pubblicità gioca ormai una parte da leone nel
determinare il successo o linsuccesso di un prodotto o di unidea a distanza di
migliaia di chilometri, è richiesta ai Cristiani una capacità di discernimento e di
giudizio molto allenata.
La storia di questa santa è avvolta in buona parte dalla leggenda a tal punto che si
dubitava della sua stessa esistenza fino al ritrovamento nelle catacombe di Siracusa,
città nativa di Lucia, nel 1894, di una stele funeraria della fine del IV sec. con il
nome di una tale Euskia, ombrosa, quindi cieca, morta il giorno della festa della santa.
La tradizione racconta che Lucia nacque a Siracusa nel 280 d. C. da una nobile famiglia.
Bambina di cinque anni perse il padre e rimase affidata alle cure della madre Eutichia che
leducò nellamore di Cristo e del Vangelo. Offrì la sua verginità e si
consacrò al Signore nel Santuario di santAgata a Catania, chiedendo la grazia della
guarigione per la madre afflitta da una grave malattia di sangue. Ottenutala, convinse
Eutichia a utilizzare tutti i loro beni per soccorrere poveri ed ammalati. Si preparavano
tempi difficili: la paura che la penetrazione del Vangelo sfaldasse lesercito
produsse lultima e sanguinosa persecuzione indetta da Diocleziano. Denunciata,
secondo la tradizione, da un ricco spasimante respinto, venne decapitata nel 304 d. C. su
ordine del Proconsole Pascasio.
Chiedendo la sua intercessione concludiamo con le parole di una preghiera, di un Inno: Donaci,
o Padre, occhi limpidi,che vincano le torbide suggestioni del male.
IRENEO DI LIONE, «Quello che noi abbiamo visto ed udito lo
annunziamo anche a voi»
Originario della Frigia era stato discepolo di Policarpo, Vescovo di
Smirne ed amico dellApostolo Giovanni; visse a Lione dove divenne Vescovo nel 177
d.C. dopo le persecuzioni che costarono la vita a Potino e a Blandina. Si dedicò con
grande zelo alla evangelizzazione soprattutto nelle campagne della Gallia e alla lotta
contro lo gnosticismo.
Questa eresia si fondava su una concezione dualistica: una potenza divina suprema e le
potenze inferiori contrapposte. Essi insegnavano che lo spirito delluomo (pneuma),
originariamente partecipe della realtà celeste (plèroma), in seguito a un dramma cosmico
era caduto in balìa del mondo materiale soggetto alla podestà del demiurgo, prigioniero
del male. Egli può ritornare nella sua condizione originaria attraverso la conoscenza
(gnosi) della propria natura divina, rivelata agli eletti ( pneumatici , uomini
spirituali) dal redentore celeste, identificato non nel Gesù Cristo incarnato, vero Dio e
vero uomo, ma nel Cristo invisibile proveniente dallalto.
Ireneo scrisse unopera fondamentale contro gli eretici mostrandosi polemista
vigoroso, prudente ed intelligente; qui contrappone a questo mescolume pagano e cristiano,
frutto delle elucubrazioni dello spirito umano, la fedeltà alla tradizione e alla fede
trasmessa che gli meritò la santità. I fedeli di Lione erano istruiti dal suo esempio
tanto da affermare: "Noi lo stimiamo enormemente per il suo zelo nei confronti del
testamento del Cristo" (Eusebio, Historia Ecclesiastica, V, 4, 2).
Questa testimonianza è sorprendente ed è importante per noi che viviamo una fede corrosa
e indebolita, per noi che dimentichiamo che gli eventi della salvezza sono stati compiuti
da Gesù Cristo nella storia, sono storici e non frutto di dottrina umana al pari delle
teosofie oggi circolanti. E questa una preoccupazione precisa alla quale gli
Evangelisti rispondono con attenta sollecitudine ed è questa la fede della Chiesa che
"ritiene con fermezza e con la più grande costanza che i quattro...Vangeli, di cui
afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio,
durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna
salvezza..." (Dei Verbum No 19).
In Ireneo si realizza lunione tra la persona e la dottrina: fortemente radicato
nella verità non fu mai, però, un fanatico e la carità rimase la preoccupazione
fondamentale del suo apostolato; egli sapeva distinguere attentamente luomo, che
voleva, da buon Vescovo, conquistare alla verità, dalle sue idee che andavano combattute
senza tentennamenti. "Non vi è Dio senza bontà" scriveva. Ancora oggi egli è
maestro del dialogo ecumenico. |