CRITICA LETTERARIA: DANTE

 

Luigi De Bellis

 
 
  HOME PAGE

Giudizi e testimonianze attraverso i secoli

La tradizione agiografica e la "Vita Nuova"

L'esperienza delle "Rime"

Il "Convivio"

La coscienza della lingua nel "De vulgari Eloquentia"

Il "Monarchia" di Dante

La "fedeltà" di Dante

Dante, poeta del Medioevo

La cultura del tempo di Dante

Introduzione alla poesia della "Commedia"

Struttura e poesia nella "Commedia"

L'interpretazione "figurale" della "Commedia"

La "complessità" della "Commedia"

Il "duplice" viaggio di Dante

Universalità ed evidenza della poesia dantesca: la lingua e l'allegoria

La realtà terrena della "Commedia"

Cronaca e storia nella "Commedia"

Il "Paradiso" come epica della grazia

L'ultima pagina della "Commedia"

 


L'ultima pagina della "Commedia"
di M. FUBINI



L'analisi delle ultime terzine della Commedia permette al critico di indicare per quali gradi si attua poeticamente la suprema esperienza mistica e intellettuale di Dante.

                    Cosí la mente mia, tutta sospesa, 
                    mirava fissa, immobile e attenta, 
                    e sempre di mirar faciesi accesa.
                    A quella luce cotal si diventa, 
                    che volgersi da lei per altro aspetto 
                    è impossibil che mai si consenta;
                    però che 'l ben, ch'è del volere obietto, 
                    tutto s'accoglie in lei; e fuor di quella 
                    è defettivo ciò ch'è lì perfetto.


È qui il vertice dell'esperienza del poeta-pellegrino: in questa assorta contemplazione in cui l'anima si appaga e da cui non potrebbe distogliersi, e a dirne la beatitudine gli soccorre un vero e proprio sillogismo, un ragionamento, tradotto e compendiato, di San Tommaso, che viene a far parte integrante del passo, divenuto cosa poetica anch'esso per virtù di ritmo, conclusione necessaria di quel periodo poetico. Si riconosceranno in questo contemplante quanti hanno speculato le dolcissime verità: né parrà strano che così, non diversa da una assorta meditazione di altissimi veri, si sia configurata al poeta nostro la visione divina, come non parrà strana e poco conveniente al momento e al soggetto la similitudine del geometra, che ci aveva dapprima lasciato dubbiosi. Anche quella similitudine è conforme all'ardore di tutto vedere, di tutto comprendere da cui Dante è preso, a quella mancanza di abbandono, per cui la sua persona ci sta dinanzi sino agli ultimi versi simile a quella che ha fitto lo sguardo nelle tenebre infernali, negli aspetti diversi dei regni dell'Oltretomba, per divenire esperta dei vizi e del valore, simile a quella che nella Commedia e nel Convivio abbiamo veduta intesa alla ricerca e all'apprendimento del vero. Ogni verità aveva per lui un valore religioso, era, per quanto insufficiente ad appagare il nostro desiderio che soltanto dalla verità ultima può essere appagato, un passo verso quella verità: perciò nel geometra giunto a uno di quei limiti che la scienza trova a un certo punto dinanzi a sé, e ricercante il principio che gli permetta di misurare il cerchio, egli ha potuto vedere, senza timore di essere irriverente, un'immagine di se medesimo, che cerca invano di intendere come la nostra natura si unisca con la divina. Non è tutta l'anima del geometra nella sua ricerca?

                 Qual è 'l geometra che tutto s'affige 
                 per misurar lo cerchio, e non ritrova, 
                 pensando, quel principio ond'elli indige...


Alla fine soltanto scompare la persona del poeta: quando per un nuovo miracolo, senza che le forze sue più vi abbiano parte, si compie il suo desiderio e vien meno ad un tempo la profonda visione.

                 Ma non eran da ciò le proprie penne: 
                 se non che la mia mente fu percossa 
                 da un fulgore in che sua voglia venne. 
                 A l'alta fantasia qui mancò possa..
.

Dio solo campeggia ora, e col suo nome, come doveva, termina il poema: Dio, alla cui volontà si conforma ormai la volontà del poeta, sì che non gli può essere dolorosa la rinuncia. Ma nemmeno qui l'individuo si sprofonda e si annulla nella divinità. Non in un abisso di amore si sente il lettore portato col suo poeta, bensì levando gli occhi dal libro contempla dal suo banco l'universo tutto, in cui ogni essere è mosso dall'amore di Dio: l'universo che aveva col poeta trasceso e che ora gli sta di nuovo dinanzi con le sue piú alte creature e prima fra tutte «il padre d'ogni mortal vita», «il ministro maggior della natura», il Sole.

                Ma già volgeva il mio disio e 'l velle, 
                sì come rota ch'igualmente è mossa, 
                l'amor che move il sole e l'altre stelle.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it