CRITICA LETTERARIA: PETRARCA

 

Luigi De Bellis

 
 
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La poesia del Petrarca: tempo e memoria
di A. NOFERI



All'interno dell'aspirazione all'ordine e alla disciplina formale propria del Petrarca, la tensione drammatica è suscitata dalla coscienza del tempo: il «tempo passato», che la memoria recupera, e la fuga irrimediabile del presente. La presenza della «memoria» nella poesia petrarchesca non è un elemento puramente psicologico, ma il tramite attraverso il quale il poeta entra in rapporto con il suo mondo e lo rappresenta.

Posta come termine fondamentale della sua «inquietudine» una aspirazione alla stabilità e fermezza di forme pure (che sarà bellezza, riposo, felicità), l'elemento più costante che muove la dialettica del contrasto è il tempo, quel tempo divorante e disperante (tempo umano, scandito in ritorni e stagioni, e universale tempo cosmico che travolge in sé qualunque vicenda): il motivo più presente di ogni apertura petrarchesca, «leitmotiv» davvero di quasi tutta la sua arte. Cosí il problema sarà quello di un accordo (e sembrerebbe irraggiungibile) tra il senso pungente di un «passato» (tempo misurato, cioè) che resta naturalmente il solo margine per una possibile felicità umana, ed il senso di un tempo che consuma ogni attimo di vita, ogni limite di misura, distrugge in una velocità assoluta e indifferente ogni possibilità di epoche riconosciute, di qua dalla morte, che sarà forse il solo punto fermo, la sola certezza offerta alla vana corsa dell'esistenza terrena.

La salvezza, la soluzione è offerta dalla «memoria»: una capacità davvero di fermare il tempo intorno a certi punti vivi, riscattarli, in una diversa esistenza, ormai assoluti e sicuri.

A questo punto, per Petrarca, sarà facile un accostamento estremo tra i termini di «memoria» e di «poesia»: approssimazioni alla stabilità ed eternità, per via di ritorni ed approfondimenti fino ad una trasposizione di certi valori su piani diversi in un mondo di esistenze libere ed innocenti. Appunto da questa vicinanza, ed in fondo interscambiabilità dei termini nasce il modo della piú sicura arte petrarchesca; e «memoria» non sarà una accezione puramente personale, o, peggio, un contenuto psicologico, ma fatto di stile, anzi la scoperta di un procedimento che potrà poi estendersi in diramazioni infinite.

Solo che vi sono anche quei gradi ed approssimazioni diverse, e nei punti più lontani, una memoria potrà valere allora o come recupero puntuale, atto di salvezza intorno a cose o momenti felici sottratti alla rovina del tempo (ma sempre lontana ogni elegia, in una fermezza di risultati); o come reinvenzione dal principio, ricostruzione di realtà diverse in un diverso tempo, intangibile questo e fermo (dunque quasi atemporale) fuori da ogni vicenda cronologica, in una sorta di incantato delirio.

Nessuna elegia, quindi nessun abbandono di linguaggio: il procedimento della memoria segna soltanto l'estremo di una parola tutta controllata e motivata, una parola semplificata, alleggerita da ogni peso, direi una parola smorzata, taciuta, capace di racchiudere in sé gli spazi di lontananze incalcolabili e farli echeggiare pur entro le chiuse forme immobili di costruzioni perfette. Ma in questo tono le sfumature potranno essere. infinite: da certe scansioni un poco piatte ed insistenti, come termine primo ed inferiore, ad una sorta di « pianissimo » tutto rattenuto di straordinaria intensità, un «parlato» che in certi andamenti discorsivi cela una forza prodigiosa di effetti; ad un modo infine più teso, fervido, pieno di barbagli, delirante appunta, come gridato, ma gridato tacendo.

Un vero e proprio «rimpianto del tempo perduto» non trova posto in Petrarca. O ferma disperazione o recupero totale, assoluto di quel tempo; ed allora la coscienza della realtà avverrà come netto contrapposto, senza compromessi, e se quella coscienza, prima, vorremo ricercare, ne troveremo la traccia solo in quel sapore di «delirio», che della realtà sa di essere fuori, e più in alto. Su questi contrapposti, equilibri e contrasti di piani e prospettive diverse, si articola gran parte della più alta poesia delle Rime. Passato e presente (poi facilmente estensibile ai termini di illusione e realtà in genere): come due voci diverse, che si legano, affiorano, scompaiono, si intrecciano nella composizione con timbri e tono distinti, l'una a dar valore all'altra in un chiaroscuro che sostiene, anzi, è esso stesso, la forma lirica della creazione. Ecco, cosí, certi equilibri nelle parti; e talvolta, invece, uno sviluppo estremo dell'una voce e poi d'improvviso l'inserirsi dell'altra a profondare subito spazi più vasti, vertiginosi; e talvolta un intrecciarsi fitto, più o meno scoperto, spesso anzi segreto e allusivo nella continua vibrazione della composizione verbale, sulla pagina.

Nascono a questo modo non solo le variazioni sul tema della memoria, ma, per facile estensione, quelle sul tema del píù vero, fantastico « delirio » petrarchesco (le visioni di Laura) che si sviluppa da quella memoria stessa per accentuazione di una libera inventività, nello stesso gioco magico di chiaroscuri di tempi e spazi, capaci di tradurre infine in reali ragioni di stile la lontana dicotomia etica del Petrarca moralista.

Nelle Rime in morte certe apparizioni e visioni tornano, ma con meno acuta e vivida atmosfera di miracolo (un che di illuso che l'amarezza di poi doveva cancellare) e con passaggi più piani e graduati. Quello stacco, quegli effetti di prospettive sono abbandonati per un trattamento più fuso e compatto del tema, ad acquistare, direi, una maggiore fiducia di accostamenti e di affetti. Certi contrasti sono appena accennati, certi abissi si aprono e si chiudono in scorci lontani - «da sí lontano a' sospir miei risponde» - mentre prevale una uguale tessitura armonica, sopra un logico e sottile sviluppo del tema.

Memoria, dunque, che trapassa in «delirio», e, ad un certo punto, finisce per negare se stessa. Nata da un sentimento del tempo patito si avvicina ad una posizione «fuori del tempo»: un tempo contemplato; ed il poeta, levato in quella consapevolezza di legge immobile, guarda o inventa le vicende della favola umana da una lontananza ferma e intatta: una assoluta «meditazione».

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it