Il Petrarca
umanista di
G.
BILLANOVICH
Il critico mette in evidenza la posizione centrale e determinante che ha il Petrarca in una delle più profonde e decisive rivoluzioni culturali: inizia con lui, con la sua appassionata opera di filologo e di organizzatore della cultura, il rinnovamento umanistico da cui ha avuto origine la civiltà moderna.
Ma il Petrarca filologo e maestro di spirito fu grande e influente quanto il Petrarca poeta. Il Petrarca esercitò tra il Tre e il Cinquecento un'influenza cosí vasta e cosí energica sulla cultura e sulla spiritualità europea, che gli stessi eruditi che hanno una familiarità maggiore con le sue vicende e le sue opere e con il periodo nel quale egli visse stentano ancora a immaginarne tutta l'ampiezza e la profondità. Se non fosse sopraggiunto Francesco Petrarca, a nutrirla, a rinforzarla, a guidarla, la rivoluzione che gli italiani iniziarono nella cultura occidentale durante il Trecento sarebbe stata più lenta e molto piú debole; e perciò sarebbe stato molto più ristretto e più labile il canone di cultura e d'arte che subito dopo nella loro grande età, tra il Quattrocento e il Cinquecento, essi imposero all'Europa, e che noi posteri lontani usiamo chiamare Umanesimo e Rinascimento. Cioè se non fosse esistito il Petrarca, noi vivremmo oggi in una società molto diversa: perché per esempio scriveremmo e leggeremmo ancora con l'alfabeto della scrittura gotica, anzi che in umanistica - benché, naturalmente, il Petrarca abbia scritto solo in gotica -; e forse non vedremmo alzate nei cieli d'Italia e d'Europa le cupole di Santa Maria del
Fiore e di San Pietro. Se si accetta di ridare corso e dignità a un vecchio termine, estendendolo dalla poesia in volgare alla filologia e anche alla spiritualità, il petrarchismo fu nel cinquantennio centrale del Trecento - diciamo dal 1330 al 1380 - il sinonimo esatto di ciò che noi intendiamo per Umanesimo; e in questo secolo e nel successivo esso fu inferiore so o ai movimenti massimi dell'agostinismo, dell'aristotelismo, del platonismo.
Lo strumento con cui il Petrarca educò più efficacemente se stesso, i suoi contemporanei e i posteri immediati, fu la sua biblioteca; un immenso bacino di raccolta e di distribuzione. Già nel Trecento gli intellettuali più aristocratici, chierici secolari o notai, reclutati dal grande stratega Petrarca, convertirono molti vecchi tesori nella nuova moneta: i libri delle biblioteche ecclesiastiche in libri delle loro biblioteche e delle loro scuole; prima i lettori e poi i maestri contaminarono i vari rami delle tradizioni e insistettero a correggere le lezioni.
Il Petrarca si educò a Avignone, sede dei papi e perciò capitale della cristianità, e si spostò tra l'una e l'altra delle due nazioni allora alla testa d'Europa, Francia e Italia; allungò le sue mani robuste fino a riprendere le eredità di grandi eruditi remoti e a raggiungere qualcuna delle biblioteche più illustri; formò e divulgò uno stile nuovo nel costruire i codici, nel correggere i testi e nel postillarli. Fino dalla giovinezza, o forse dall'adolescenza,
nutrì la sua intelligenza e raffinò la sua penna tanto con la riflessione morale quanto con l'esercitazione filologica. Sforzandosi di ricomporre le grandi opere classiche, talora con un'addizione amorosa di frammenti, e correggendole a fondo con la collazione e con la congettura, il grammatico precocissimo perfezionò la sua felice intonazione retorica, e crebbe come il poeta più elegante e più fermo di tutta la letteratura italiana. |