CRITICA LETTERARIA: TRECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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La cupa arte di Jacopo Passavanti
di G. GETTO



Il critico, che ha in precedenza distinto nell'opera del Passavanti il tono dell'ottimismo escatologico (che egli chiama «scrittura dorata») da quello di tragica, rappresentazione della dannazione eterna («scrittura negra»), definisce quest'ultimo il modo tipico di espressione dell'arte del Passavanti. Le varie gradazioni della paura pervadono gli esempi più noti e più alti dello Specchio, ribadite con particolare efficacia nelle formule conclusive degli esempi.

A sfogliare l'album degli esempi di fra Jacopo Passavanti in una più abbandonata lettura sorprende la varietà di sfumature realizzate da questo poeta di sogni che è il nostro domenicano. Poeta di sogni (e sia pure in senso metaforico soltanto) è invero il Passavanti, creatore di atmosfere sempre un po' stupite e stregate, segnate appena .da un velo di mistero. Una velatura di mistero e di magía in cui però tutto è incisivo e stranamente reale, senza incanti e prolungati stupori. Cotesta sostanza avventurosa di sogno e cotesta fascia di allucinata certezza, risultano presenti come entità essenziali nel controllo di tutti gli esempi, senza distinzione della duplice ed opposta luce di cui si tinge questa lunga e diversa galleria. Della quale variazione di luce, dopo averne indicato il fondamento comune, occorrerà tenere il massimo conto, procedendo all'analisi dei toni nei quali digrada e si modifica la vasta pittura passavantiana. Perciò dopo la notizia della prima grande partizione di colore, e il calcolo relativo all'ampiezza e alla intensità nettamente superiore della scrittura negra rispetto alla dorata luce di altri esempi, sarà necessario tenere ancora e soprattutto presente come nell'interno stesso della tinta oscura dominante, ha modo di esprimersi un vasto repertorio di tonalità diverse. E in questo consiste già un'indicazione della ricchezza d'arte e di sensibilità del Passavanti. Una gamma insospettata si sprigiona dalle pagine di paura dello Specchio, dispiegandosi in una serie di gradazioni che rendono più suggestiva la consuetudine col libro. Il tema della paura che soprattutto signoreggia la fantasia dello scrittore, si iscrive in una molteplicità di scale e di registri. Ma è il valore di queste sfumature che rimane poi da accertare, ed è nell'individuazione di questi toni che consiste il compito essenziale dell'esegesi critica. Perciò si rende inevitabile, ad esaurire il nostro compito di penetrazione del definitivo significato di questa scrittura, un attento lavoro di scandaglio del territorio su cui si estende, nel suo modificarsi, il più responsabile motivo tematico.

In questa zona che si apre alla nostra indagine, i momenti più intensi sono forse rappresentati da quei luoghi in cui si genera un'atmosfera di favolosa tetraggine, con sfondi di apocalittico miracolo e di fosca superstizione, come nell'esempio del conte di Matiscona: «Un dí di Pasqua, essendo egli nel palazzo suo proprio, attorniato da molti cavalieri e donzelli e da molti onorevoli cittadini, che pasquavano con lui, di subito uno uomo isconosciuto, in su uno grande cavallo, entrò per la porta del palazzo, sanza dire alcuna cosa a persona; e venendo insino là, dov'era il conte con la sua compagnia, veggendolo tutti e udendolo, disse al conte: - Su, conte, levati e seguitami. - Il quale, tutto impaurito, tremando, si levò; e andava dietro a questo isconosciuto cavaliere, al quale niuno era ardito di dire nulla. E venendo alla porta del palazzo, comandò il cavaliere al conte che montasse in su uno cavallo che ivi era apparecchiato, e prendendolo per le redine, e traendolosi dietro, lo menava suso per l'aria, correndo alla distesa. E cosí lo tirava su in alto veggendolo tutta la gente della città, gridando il conte doloroso, con dolorosi guai...». La stilizzata visione della demoniaca cavalcata aerea è tutta avvolta in un cupo prodigioso stupore, a cui le grida aggiungono un'eco di disperata angoscia. All'effetto uditivo delle grida (un po' teatrale se si vuole, ma non si dimentichi l'oratoriale volontà che presiede a questi esempi) il Passavanti ricorre assai spesso, e sempre con positivi risultati (e, a proposito di teatralità non si dimentichi neppure la conferma che essa ottiene dalla struttura insistentemente dialogica degli esempi, coerentissima del resto con la sensibilità drammatica dello scrittore). Anche il morto scolaro di maestro Serlo sparisce «urlando con dolorosi guai». E il peccatore, di cui racconta San Gregorio che intercede un giorno di tregua dalla moltitudine di demonii apparsagli, per rapirne l'anima: « non essendo esaudito, con doloroso pianto, traendo guai, mori, e l'anima sua fu, portata da' diavoli alle pene dello inferno ». Questa indicazione fonica è simbolo estremamente rappresentativo del destino di dannazione dell'anima, e nella musicale posizione di clausola in cui di preferenza è collocata come avviene in questi esempi citati, assume una energia stilistica tutta speciale. Su questa particolarità delle clausole si osservi ancora la chiusa dell'esempio del conte: «E così, gridando, sparí dagli occhi degli uomini, e andonne ad essere sanza fine nello inferno coi demoni». L'ossessionante nero delle avventure fantastiche del Passavanti non ha mai un'intensità cosí piena come in queste clausole, in cui ritornano queste stesse parole che parlano di grida, di demonii, di pene, di eternità e di inferno, ma con ritmi ed echi sempre vitalissimi.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it