CRITICA LETTERARIA: TRECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Un narratore popolare: Andrea da Barberino






 


Un narratore popolare: Andrea da Barberino
di A. MATTAINI



Queste pagine descrivono l'arte semplice, limpida, lineare di Andrea da Barberino, ponendo in particolare rilievo l'abilità del narratore inesauribile. Ma l'autrice indica nel ciclo dei Reali di Francia anche un valore storico non secondario: quello di aver diffuso in Italia quella materia cavalleresca destinata a passare dalle prime elaborazioni popolari alla grande poesia del Pulci, del Boiardo e dell'Ariosto.

La narrazione è sempre condotta con semplicità, con linearità, con candore. A tanta varietà di vicende, a casi così complessi dominati spesso dall'incostante giuoco della Fortuna il narratore tiene pazientemente dietro con ordine, con chiarezza, con meticolosità e serietà estreme. Ma, a tratti, nelle descrizioni delle scene di battaglia, lo stile si fa robusto ed incisivo, il ritmo della narrazione diventa serrato ed incalzante, l'immagine è fissata con potenza icastica. Di solito spontaneo, il romanziere sa a volte assumere atteggiamenti solenni e pose classiche; nelle ambasciate, nelle arringhe, nei serrati interrogatori,

nelle tempestose assemblee la sua intonazione ha un ampio respiro; in alcune epistole la passione amorosa si accende di disperati accenti espressivi. Ma non è questo il tono costante della narrazione; nelle parti migliori essa si svolge con la freschezza e l'incanto delle cose giovani e nuove.

La passione amorosa è ritratta nel suo nascere con estrema riguardosità, intessuta di sguardi furtivi e pudichi, di pallori e rossori, di sospiri e palpiti invano repressi. Più approfondita l'analisi del sentimento in Fioredalisa che, innamorata di Rinaldino, soffre per la lontananza dell'amato, e deperisce tanto nell'aspetto da destare le preoccupazioni della madre, che ne parla con il marito, ed invano tenta di distrarla dalle sue cupe malinconie con giuochi e diletti e compagnie della sua età, che non fanno che ottenere l'effetto opposto, quello cioè di rincrudire il dolore della fanciulla; e in Lionida, promessa sposa ad Aiolfo, che già conosce il morso tormentoso della gelosia. Sono situazioni e toni che si ritrovano nelle pagine del Boccaccio.

Lo stesso romanziere, talvolta, narrando assume la veste del sermoneggiatore, e introduce nel suo dire detti proverbiali, sentenze e massime, soprattutto severe nei riguardi delle donne e degli ecclesiastici, secondo una tradizione medievale fra satirica e comica popolareggiante ben nota. Ma questo atteggiamento è meno consono alla sua natura; più sua è certa sottile vena umoristica, che scorre sotto la narrazione, abilmente intessuta con la stessa trama romanzesca e solo qua e là scopertamente affiorante: si può scorgerla, ad esempio, fusa nella leggiadria dell'idillio fra Rosana ed Aiolfo che, aprendosi stupito alla vita, scambia per creatura celeste una fanciulla peccatrice, e più apertamente nel rimpianto dei monaci della badia, della quale è fatto abate Rinovardo, per i tempi felici in cui la vita era meglio. goduta. È che Andrea da Barberino è aperto a tutte le forme della vita letteraria del suo tempo, che in sé accoglie e rivive: di volta in volta cronista, predicatore sillogizzante, novellatore, e sempre artista.

Il romanziere è sempre affettuosamente presente alla sua narrazione, accompagna i suoi personaggi e si intenerisce alla loro sorte, ma senza mai imporre la sua presenza. Modestamente si riserva solo qualche spiraglio, attraverso il quale poter fugacemente affacciarsi sulla scena per parlare al suo pubblico e suggerire una considerazione.

Di tanto in tanto sfoggia qualche espressione francese che dia colore d'esotico al suo dettato; oppure foggia bizzarre etimologie, divertendosi per il primo al giuoco; ma per lo più il suo stile è piano, discorsivo, fluente, con una sua sobria eleganza ed una sua franca cordialità; non mai trascurato, anche quando è più spontaneo, e sempre estremamente rispettoso verso il suo pubblico, del quale non sollecita, ma comunque attende l'approvazione ed il plauso.

La sua lingua è vivamente toscana, raramente intrisa di crudi francesismi, anche se nella trattazione di una materia siffatta non era facile resistere alle suggestioni linguistiche delle fonti, dirette o indirette, francesi: e ciò non solo contribuisce non poco a dare carattere di italianità ad una materia, per la maggior parte attinta a fonti non toscane, bensì dà la misura anche delle qualità dello scrittore. È una lingua che si piega duttile ad assecondare le esigenze dello scrittore: «comica», cioè realistica e plebea nella descrizione degli orrori del campo di battaglia, «aulica», cioè raffinata e cortese nella rappresentazione della serena vita di corte, « mediana » nella riduzione a dimensioni borghesi di tanti aspetti della vita degli eroi, nella raffigurazione di un incantato mondo di fiaba, che è presente un po' dovunque fra le pagine dei suoi romanzi.

Ma la grandiosità dell'edificio che Andrea da Barberino ha saputo progettare ed innalzare, e la sapienza con cui ha saputo in esso congegnare le singole parti, distribuendole secondo un piano proporzionato ed armonico, rivelano in lui la perizia di un architetto sicuro. In questa costruzione il vecchio e il nuovo felicemente coesistono in un connubio che ha validità per ogni tempo. Di sul vecchio tronco della esausta epopea francese, il romanziere toscano ha il grande . merito di aver saputo far germogliare un virgulto fresco e vitale, dal quale non tarderanno ad aver linfa le splendide opere del Pulci, del Boiardo e dell'Ariosto.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it