Pavese ebbe una spiccata vocazione
all'autoanalisi; e non solo a riflettere sui
propri sentimenti e atteggiamenti, a giudicarsi
(con un rigore e con un accanimento che spesso si
risolvono in morbosa autoflagellazione), ma anche
a chiarire i motivi di fondo del proprio operare
artistico, a elaborare teorizzazioni e principi di
poetica.
Di questa costante riflessione riportiamo alcune
testimonianze tratte da Il mestiere di vivere,
dalle Lettere e dai Saggi.
Il Mestiere di vivere, come risulta anche dai
frammenti che abbiamo riportato, non è
circoscritto alla dimensione esistenziale di
Pavese, non è - vogliamo dire - soltanto la
registrazione delle sue esperienze sentimentali e
affettive, ma è anche "un giornale di bordo" nel
quale egli dà conto del farsi della sua cultura,
delle ricerche di stile che via via sperimenta
nella narrativa, del maturare di alcuni suoi
principi di poetica (cfr. le riflessioni sul
mito). Per questa molteplicità di aspetti, si
tratta quindi di un libro complesso e, per la
comprensione di Pavese, fondamentale. Una delle
letture più notevoli del Diario resta ancora
quella che ne fece Sergio Solmi subito dopo la
pubblicazione della prima edizione del 1952 (ora
in Scrittori negli anni, li Saggiatore, Milano,
1963; una sola illuminante citazione: «Il Diario
di Pavese, anziché, come è stato detto, una
preparazione alla morte, va letto come una lunga
strenua difesa contro la morte»).
Per l'adozione e l'applicazione di metodologie
psicanalitiche il Diario costituisce, ovviamente,
un testo fondamentale. Si vedano in questo senso:
D. Fernandez, L'échec de Pavese, Paris 1967; E.
Gioanola, Cesare Pavese. La poetica dell'essere,
Milano 1973; N. Bonifazi, L'alibi del realismo,
Firenze 1972.
Dopo questi testi ci sembra interessante riportare
alcuni brani che illustrano caratteristiche e
comportamenti dell'uomo Cesare Pavese. Sono tratti
da Lessico famigliare (1963) di Natalia Ginzburg,
una rievocazione ora commossa ora ironica degli
ambienti della cultura e dell'antifascismo
torinesi durante gli anni Trenta e Quaranta.
A chiarimento di alcuni accenni che ricorrono in
queste righe basterà ricordare che: Leone è Leone
Ginzburg, marito della narratrice, traduttore e
slavista, uno tra i primi ispiratori e
collaboratori della casa editrice Einaudi « la
piccola casa editrice di una volta», morto nel
1944 nel carcere romano dì Regina Coeli per le
sevizie subite; l'editore è Giulio Einaudi; Balbo
è Felice Balbo, anche lui del gruppo fondatore
della Einaudi e studioso di problemi
politico-filosofici (L'uomo senza miti, 1945; Il
laboratorio dell'uomo, 1946). |