Nel dicembre del 1946 Einaudi pubblicò il romanzo dietro il parere favorevole di
Cesare Pavese che, nella sua "lettura", ne sottolineava non solo i pregi ma
anche i difetti («grande stonatura il capitolo del commissario Kim», che
risponde a «un'esigenza intellettualistica»), affermando, però, che era
«senz'altro da stampare» nella collana dei «Narratori contemporanei» (poi
trasformata, nel 1947, nei «Coralli»). La seconda edizione, riveduta e corretta,
uscì per la «Piccola Biblioteca Scientifico-letteraria» (Torino, Einaudi, 1954),
con una «Nota» anonima, ma sicuramente di Calvino; la terza edizione fu
pubblicata nei «Coralli», con una prefazione dell'autore e ulteriori varianti.
In entrambi i casi Calvino non esplicitò le modifiche apportate al testo: ne
parlerà solo nel 1983, durante una conversazione con gli studenti di Pesaro, in
quella occasione definirà il romanzo «un libro molto giovanile» e così motiverà
le correzioni: «c'era ne Il sentiero dei nidi ragno, tra le varie cose, una
specie di nevrosi dentro, nella quale a un certo punto non mi riconoscevo più;
allora ho cercato di attenuare delle cose esasperate e certamente anche brutte,
anche se erano attribuite ai pensieri dei personaggi e non al mio».
Il sentiero dei nidi ragno (dodici capitoli non titolati) è, infatti, la storia
di Pin, un bambino che ha una sorella prostituta ed è abituato a vivere in mezzo
agli ubriaconi dell'osteria, ai quali combina scherzi terribili. Pin vorrebbe
frequentare una banda di ragazzi suoi coetanei per spiegare loro dove si trova
"il nido dei ragni», un posto noto solo a lui e al quale gli adulti non si
interessano. I ragazzi però non sono amici di Pin, anche se lo cercano quando
devono chiedere spiegazioni «su cose che succedono tra le donne e gli uomini».
Un giorno uno dell'osteria, Miscèl Francese, chiede a Pin di rubare al marinaio
tedesco, abituale cliente della sorella, la sua pistola. A Pin sembra un'ottima
occasione per far parte a pieno titolo della cerchia dei grandi e ottenerne il
rispetto: s'intrufola nottetempo nella camera della sorella e ruba la pistola.
Mentre si allontana verso il bosco per nascondere l'arma, viene sorpreso dalle
pattuglie tedesche, partite in perlustrazione dopo l'allarme dato dal marinaio,
e viene arrestato. In prigione conosce il leggendario Lupo Rosso, un ragazzino
di cui si narrano le imprese più temerarie: Pin gli racconta la storia della
pistola e insieme progettano la fuga. Scopo di entrambi è raggiungere la P38
rubata e nascosta da Pin, ma i due si perdono di vista nel bosco. Appena il
ragazzo si è rimesso in cammino per ritornare dalle sue parti, incontra un uomo
grande e buono (il Cugino), che scoprirà essere un partigiano della brigata del
Dritto. Insieme raggiungono l'accampamento e nel tragitto incontrano nuovamente
Lupo Rosso, che racconta di aver scoperto una pattuglia tedesca e di essere
corso avanti per avvertire gli altri.
Nell'accampamento Pin conosce gli uomini più diversi: il Dritto, capo della
brigata, un disilluso in rotta con il comitato che gli ha affidato una compagnia
di persone sulle quali non si può fare «grande assegnamento»; il Cugino, che si
è unito ai partigiani dopo avere ammazzato l'amante della moglie; Mancino, il
cuoco, e sua moglie Giglia.
A causa del tradimento di un compagno, una colonna di tedeschi si sta dirigendo
proprio verso l'accampamento del Dritto e dei suoi: a comunicare la notizia sono
il commissario Kim e il comandante Ferriera. A Kim l'autore assegna il compito
di spiegare quale sia la spinta profonda della lotta di Resistenza, e cioè
un'ansia di riscatto umano da tutte le umiliazioni: «per l'operaio dal suo
sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese
dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione». Gli uomini del Dritto
sono, appunto, «i paria» che la guerra dovrebbe riuscire a redimere.
Proprio durante l'incursione dei tedeschi, Giglia e il Dritto si lasciano andare
a una passione covata da tempo e di cui Pin è spettatore. Deluso anche da quei
nuovi amici che sembravano lottare per grandi ideali, egli si allontana
solitario e furioso nel bosco. Qui rincontrerà il Cugino, l'unico che mostrerà
di interessarsi al suo luogo segreto, al «nido dei ragni»: e s'incammineranno
insieme, «l'omone e il bambino, nella notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi
per mano».
Calvino stesso, nella prefazione all'edizione del 1964, colloca il romanzo nella
temperie del «neorealismo», che egli non considera una «scuola», ma «un insieme
di voci» nato dall'impulso di narrare, ciascuna, storie di Resistenza,
ambientate nei paesaggi noti della terra natia. Per l'autore questa terra è la
Liguria, in particolare la Riviera di Ponente, che si può narrare solo nel
momento in cui «lo scenario quotidiano» della vita diventa «interamente
straordinario e romanzesco». A quasi vent'anni di distanza, il romanzo mostra
chiaramente i suoi difetti, soprattutto per la «smania di innestare la
discussione ideologica nel racconto», che è racconto di «rappresentazione
immediata, oggettiva, come linguaggio e come immagini». Calvino si riferisce al
capitolo IX, già criticato da Pavese, perché tutto dedicato alle riflessioni del
commissario Kim.
Il libro ottenne un buon successo di pubblico e una discreta attenzione da parte
della critica: fra gli altri, lo recensirono positivamente Franco Fortini e
Giansiro Ferrata, mentre Elio Vittorini lo giudicò un tentativo non riuscito di
fondere genere narrativo e saggistico.
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