La trilogia comprende Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere
inesistente, già pubblicati da Einaudi in volumi separati, rispettivamente nel
1952, nel 1957 e nel 1959. Nella prima edizione complessiva Il cavaliere
inesistente si trova al primo posto, seguito da Il visconte dimezzato e da Il
barone rampante. Nell'ottava edizione del 1967 i romanzi compaiono secondo
l'ordine cronologico di composizione.
È l'autore stesso a spiegare il significato dell'opera nelle pagine introduttive
alla versione inglese. La storia, scrive Calvino, nasce da un'«immagine» che
evoca e produce significati e, in particolare, «temi morali»: «nel Visconte
storie di incompletezza, di parzialità, di mancata realizzazione d'una pienezza
umana; nel Barone storie di isolamento, di distanza, di difficoltà di rapporto
col prossimo; nel Cavaliere storie di formalismi vuoti e di concretezza del
vivere, di presa di coscienza di essere al mondo e autocostruzione d'un destino,
oppure di indifferenziazione dal tutto». La forma allegorica in cui sono
espressi questi «temi morali» non ha una funzione estraniante dalla realtà
storica; infatti, nel Visconte l'autore allude all'«insoddisfazione per le
divisioni di campi della guerra fredda che passavano anche attraverso noi
stessi»; nel Barone al «problema dell'impegno politico dell'intellettuale in un
momento di caduta delle illusioni»; nel Cavaliere «alla critica dell'organization
man in una società di massa».
Il visconte dimezzato. Composto nel 1951, dopo I giovani del Po - romanzo
che doveva riflettere l'impegno sociale e politico dello scrittore, ma che egli
considerò un fallimento -.
In dieci capitoli si narra la storia del visconte Medardo di Terralba che,
durante la guerra dell'imperatore d'Austria contro i Turchi, viene dimezzato da
una palla di cannone, con la conseguenza che, in lui, si dividono nettamente
anche il male e il bene: due principi che, normalmente mescolati, vanno a
costituire l'identità morale di ciascun individuo. Dal visconte nascono,
infatti, due creature mostruose: il Gramo e il Buono. Il primo, tornato a
Terralba, dimezza con la spada tutti gli esseri viventi che incontra, mentre il
secondo si erge a inflessibile censore dei propri simili. L'amore per la
contadina Pamela li porta a scontrarsi in un duello e, colpendosi a vicenda,
riaprono la ferita che un tempo li aveva separati. Il medico di Terralba può
così ricomporre in unità il Buono e il Gramo. Come conclude il narratore, nipote
del protagonista, Medardo torna a essere «uomo intero, né cattivo né buono, un
miscuglio di cattiveria e bontà. Ma aveva l'esperienza dell'una e dell'altra
metà riprese insieme, perciò doveva essere ben saggio».
Il barone rampante. Composto tra il dicembre 1956 e il febbraio 1957,
apparve nella collana «I Coralli». Calvino stesso ne ha curato due edizioni
ridotte, destinate rispettivamente ai «Libri per ragazzi» e alle «Letture per la
scuola media». In quest'ultima l'autore si cela, da curatore, sotto lo
pseudonimo-anagramma di Tonio Cavilla.
La storia - ambientata nel paese immaginario di Ombrosa - ha per protagonista
Cosimo Piovasco di Rondò, che abbandona le rigide regole della sua aristocratica
famiglia per trascorrere una vita solitaria e randagia sugli alberi. A partire
da questo gesto di ribellione si dipana tutta la vicenda esistenziale di Cosimo,
che il fratello racconta facendo emergere da un lato la sua inclinazione ad
allontanarsi dal mondo dei terrestri e, dall'altro, il suo desiderio di
condividere, seppur da lontano, le vicende tristi e allegre della gente comune:
così si fa amico del brigante Gian dei Bughi, che diventa, dietro l'esempio di
Cosimo, un grande lettore e non si sottrae alle avventure galanti (vive,
infatti, una breve, ma intensa storia d'amore con Ursula, la nobile spagnola
che, esule nella terra di Ombrosa insieme con la sua famiglia, è costretta ad
abitare sugli alberi). Il barone non resta indifferente nemmeno agli avvenimenti
storici che attraversano la sua epoca: si interessa, perciò, alle conseguenze
politiche della Rivoluzione francese e scrive un Progetto di costituzione di uno
Stato ideale sopra gli alberi, per il quale chiede l'assenso di Diderot. Né
rinuncia all'amore della bella Viola (figlia dei marchesi di Ondariva) che,
ribelle e capricciosa fanciulla prima, volubile e raffinata donna poi, riempie
di gioia e di affanni la vita di Cosimo.
Il barone muore, suggellando coerentemente un'esistenza trascorsa sugli alberi:
ormai malato, egli si aggrappa alla fune di una mongolfiera che, un giorno,
solca il cielo di Ondariva e scompare per sempre.
Il cavaliere inesistente. La stesura risale al 1959 e fu pubblicato nello
stesso anno.
La storia è ambienta nell'epoca di Carlo Magno ed è narrata da suor Teodora,
personificazione del dilemma dello scrittore, sempre sospeso tra letteratura e
vita. I personaggi dell'intricata vicenda sono: Agilulfo, paladino del re, il
cavaliere senza corpo, fatto solo della sua bianca e splendente armatura, per il
quale nulla ha senso se non assolvere minuziosamente i compiti della vita
militare; Rambaldo di Rossiglione, giovane appena arruolato nelle file
dell'esercito di Carlo Magno e armato solo della sua spada; Torrismondo,
anch'egli paladino, e Bradamante, la guerriera inquieta innamorata di Agilulfo.
I destini dei personaggi si incrociano durante un banchetto, quando Torrismondo
rivela di essere nato da Sofronia, la figlia del re di Scozia che Agilulfo ha
salvato dalla violenza di due briganti. Grazie a quest'azione coraggiosa egli ha
meritato il titolo di paladino, un onore concesso soltanto a chi soccorre una
vergine. Agilulfo decide, dunque, di partire alla ricerca di Sofronia, seguito
da Bradamante e da Rambaldo. Egli riesce a rintracciarla in Marocco, dove è
stata condotta prigioniera dai saraceni ed è stata costretta a sposare il
sovrano. Da lei Agilulfo viene a sapere che solo per un inganno Torrismondo si
crede suo figlio e che, nel momento dell'aggressione, era effettivamente
vergine. Proprio mentre sta per consumare la prima notte di nozze, Sofronia è
nuovamente soccorsa dal coraggioso Agilulfo che la libera dai saraceni.
Intanto, prendendo un'altra strada, è partito anche Torismondo che, credendosi
figlio illegittimo, teme di perdere a sua volta il titolo di cavaliere. Per caso
e senza sapere chi sia, incontra al suo ritorno Sofronia, se ne innamora e giace
con lei. Agilulfo li scopre e, poiché realmente la principessa non è più
vergine, pensa di dover rinunciare al titolo di paladino e fugge disperato nel
bosco. Sarà Rambaldo a ritrovare i pezzi sparsi della sua corazza e a
rivestirsene. Bradamante, scambiandolo per Agilulfo, si concede a lui; ma,
scoperto l'inganno, si allontana sdegnata in sella al suo cavallo.
Nel XII e ultimo capitolo suor Teodora rivela al lettore che Bradamante è lei
stessa, rifugiatasi in convento dopo la delusione amorosa; in quel momento si
ode la voce di Rambaldo che l'ha seguita fin lì. Bradamante-suor Teodora decide
allora di liberarsi degli abiti monacali, per indossare di nuovo quelli di
guerriera e seguire Rambaldo.
I romanzi della trilogia ebbero un notevole successo di pubblico e di critica.
Furono accolti con diffidenza dalla cultura di sinistra, che rimproverava a
Calvino la "virata" verso il genere fantastico, dopo il suo esordio con il
romanzo neorealista Il sentiero dei nidi di ragno (1946). Pieno consenso
espressero, invece, Emilio Cecchi e Carlo Bo. Il primo individuò, in particolare
nel Visconte dimezzato, «una vena nordica, gotica palese in Calvino già dai
primi racconti, dove pigliava aspetti "espressionistici" alla tedesca, mescolati
di inevitabili formalismi americani»; mentre «staccandosi da sollecitazioni
storiche e sociali più vicine e imperiose, e investendosi in motivi di libera
fantasia, nel Visconte l'arte s'è più fruttuosamente ricongiunta alle proprie
tradizioni».
Come tutta l'opera di Calvino, la trilogia è stata tradotta in molte lingue. Dal
Visconte il regista Bruno Gillet ha ricavato un'opera buffa in un atto e due
quadri (1958), per la quale Calvino ha scritto due arie. Del Barone rampante il
regista Armando Pugliese ha elaborato una versione teatrale che è stata messa in
scena dal Gruppo Teatro Libero di Roma. Del 1970 è il film di Pino Zac Il
cavaliere inesistente, con Hanna Ruzickova (suor Teodora-Bradamante e Sofronia)
e Stefano Oppedisano (Torrismondo e Rambaldo).
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