Nella prima rappresentazione, messa in scena dalla «Compagnia Umoristica I De
Filippo», il dramma, in dialetto napoletano, era un atto unico (corrispondente
all'attuale secondo atto); nel 1932 l'autore aggiunse l'attuale primo atto e nel
'34 l'attuale terzo atto. In questa stesura ampliata uscì nel numero 397-98
della rivista «Il Dramma» (1943); venne poi incluso nella raccolta Cantata dei
giorni pari (con modifiche nell'edizione '79). In volume singolo apparve nel
1964.
Nel primo atto, ambientato il giorno dell'antivigilia di Natale, nella povera
camera da letto di Luca Cupiello, il sipario si alza sul risveglio del
capofamiglia, Luca, a cui la moglie Concetta ricorda che sono già le nove del
mattino. Anche il figlio, Tommasino detto Nennillo, sia pure a malincuore, è
costretto ad alzarsi. I due personaggi, padre e figlio, sono caratterizzati fin
dalle prime battute: il padre è maniacalmente preso dalla costruzione del
presepio, mentre il figlio, fannullone ed egoista, lo contraddice per puro
dispetto. Lo scontro tra i due è reso dal ricorrente battibecco, espresso con
una battuta leggendaria: «Nun te piace? Nun ti piace 'o presebbio?» «Nun me
piace» (si cita dall'edizione '59. poi modificata). In casa Cupiello è ospite
pagante il fratello di Luca, Pasqualino, che, alzandosi anche lui, ma dopo
un'influenza durata una settimana, non trova più le scarpe e il cappotto, di cui
si è impossessato Nennillo. Alle sue rimostranze, Nennillo ammette il furto e il
padre, esasperato, lo caccia di casa, manifestando però anche insofferenza per
il fratello. Solo la madre difende il figlio, assorbito dalla colazione
mattutina e poco disposto a chiedere scusa allo zio. A questo punto entra in
scena Ninuccia, la figlia sposata dei Cupiello, che rivela alla madre
l'intenzione di lasciare il marito, geloso, Nicola, per un altro uomo. Lo
svenimento di Concetta e l'arrivo di Nicola sembrano per il momento accomodare
le cose, mentre tra padre e figlio scoppia una nuova lite, causata
dall'osservazione scherzosa di Luca al genero, con la quale, nel tentativo di
riappacificare gli sposi, dice che sarebbe stato meglio se Nicola avesse sposato
Nennillo. Al rifiuto seccato dell'assurda ipotesi da parte di Nennillo, il padre
sconsolato dice: «È inutile. Quello mi deve contraddire pure con le cose
impossibili!»; e torna al suo presepio, che la figlia in un gesto d'ira ha
rovesciato.
Il secondo atto si apre sulla sala da pranzo dei Cupiello il giorno della
vigilia di Natale, mentre fervono i preparativi della cena. Nennillo presenta
alla madre l'amico Vittorio, senza sapere che si tratta dell'uomo amato dalla
sorella e che anche il marito Nicola conosce. Dopo l'ennesima lite tra
Pasqualino e il nipote, che gli ha rubato cinque lire, peraltro rubate dallo zio
al fratello, Concetta tenta in ogni modo di allontanare Vittorio da casa, prima
che arrivino la figlia e il genero. S'intromette Luca, che, tutto preso
dall'evento familiare della cena e dal presepio che finalmente troneggia nella
sala, all'oscuro di tutto, invita il giovane a restare. Ai complimenti ironici
di Vittorio, che gli chiede se il presepio sia tutto opera sua, risponde con
ingenuità e foga infantile: «Tutto, tutto. E contrastato in famiglia. Qua non mi
capiscono... Io faccio il presepio perché quando avevo i figli piccoli, lo
facevo... Sapete, era un'allegrezza... E anche adesso che sono grandi, io ogni
anno debbo farlo... Mi sembra di avere sempre i figli miei piccoli... Sapete...
anche per religione. È bello fare il presepio... E l'ho fatto senza l'aiuto di
nessuno».
Segue una ricostruzione delle vicende familiari in cui ogni difficoltà, ogni
asprezza viene taciuta o minimizzata, perché a Natale la famiglia deve riunirsi
secondo la tradizione (ma alla parola «riuniamo», che Luca significativamente
non riesce a pronunciare, è legato uno dei tanti momenti di comicità
irrefrenabile). La cerimonia prevede, ogni anno, una piccola e scherzosa
processione per recare doni a Concetta. Nella lettera che Nennillo scrive per
augurare a tutti buon Natale, manca però un accenno all'odiato zio, che, offeso,
costringe il nipote ad aggiungerlo nei voti di lunga vita. L'arrivo di Ninuccia
con il marito fa precipitare la situazione: Nicola ha un violento alterco con il
rivale che sfida a raggiungerlo in strada, mentre Concetta sviene per la seconda
volta e gli ignari Luca, Pasqualino e Nennillo fanno la loro comparsa con i doni
cantando Tu scendi dalle stelle.
Tre giorni dopo, il terzo atto ha come scena ancora la camera da letto dei
coniugi Cupiello, dove Luca giace gravemente malato. La scoperta dei rapporti
tra la figlia e il genero lo ha sconvolto. Un gruppo di vicine e vicini di casa
lo attornia come per una veglia funebre, interrotta solo dal rito del caffè. Il
malato mormora di quando in quando il nome del genero, che dopo la scenata ha
abbandonato la moglie. Nennillo e lo zio al solito litigano, mentre Concetta e
la figlia assistono il malato. All'arrivo del dottore, Ninuccia gli chiede come
stia il padre. Il medico pronuncia una sorta di discorso funebre, che è anche un
ritratto veritiero di Luca: «Cara Ninuccia, io ti conosco da bambina... non ti
posso ingannare. Luca Cupiello è stato sempre un grande bambino che considerava
il mondo un enorme giocattolo... quando ha capito che con questo giocattolo si
doveva scherzare non più da bambino ma da uomo... non ha potuto. L'uomo Luca
Cupiello non c'è. E il bambino aveva vissuto già troppo». Arriva anche Vittorio,
che si sente colpevole di tutto quello che è accaduto. In un soprassalto di
coscienza, benché offuscata, Luca lo scambia per il genero e, prendendo la sua
mano e quella della figlia, vuole che si riconcilino. In quel momento entra
Nicola, che a stento viene trascinato via in preda alla collera per ciò che,
equivocando, ha visto. Alla fine Luca chiama presso di sé il figlio e gli
chiede: «Tommasi', te piace o' presebbio?»; e il figlio, in preda alla
commozione, finalmente risponde di si.
Al centro della commedia, una delle più amate di Eduardo, c'è il personaggio di
Luca Cupiello, che incarna, con una sorta di follia, l'estraneità alle miserie,
e dunque alla realtà, familiari. Il presepio, attorno al quale si accanisce con
tanta cieca ostinazione, è solo la forma tangibile del suo rifiuto ad accettare
il tempo che passa, la mutevolezza dei sentimenti e la fatale degradazione di
ogni cosa. Aggrappato al Natale come a una indistruttibile certezza, fatta di
rituali inalterati, di cordialità e di buoni sentimenti, egli oppone
all'evidenza degli egoismi e delle ragioni altrui, il suo egoismo, che non
ammette, come in un cerimoniale inflessibile, la minima infrazione, La commedia
è solo apparentemente un Kammerspiel giocato sul registro sentimentale. In
questo, che è uno dei testi eduardiani più vicini alla poetica di Pirandello,
ogni personaggio recita la parte obbligata della propria ossessione. E se la
parte del protagonista è la più scoperta e dunque vulnerabile, ciò accade per
ritrarre meglio quelle degli altri: la scioperataggine del figlio, il
parassitismo del fratello, il desiderio incurante degli amanti, il perbenismo
offeso del genero. Unica eccezione è quella di Concetta, costretta, lei sì da
una dolente e umanissima pietà, a dividersi sulle opposte sponde della realtà e
del delirio.
Memorabile l'edizione televisiva andata in onda, su Rai Uno, nel dicembre del
1977, con la regia dell'autore; sceneggiatura di Raimonda Gaetani; interpreti
Eduardo (Luca), Pupella Maggio (Concetta), Luca De Filippo (Tommasino). Lini
Sastri (Ninuccia). Luigi Uzzo (Nicolino), Gino Maringola (Pasqualino), Marzio
Onorato (Vittorio Elia).
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