Fu scritto nel giro di pochi giorni in seguito alla lettura di un fatto di
cronaca avvenuto a Napoli nel 1946. Le circostanze che spinsero l'autore a
scrivere quest'opera furono, quindi, da un lato casuali e dall'altro legate alle
sorti di un altro lavoro: Filumena Marturano, infatti, avrebbe dovuto
rappresentare la cosiddetta "copertura" nel caso di un insuccesso di Questi
fantasmi! Il 7 novembre del 1946, il dramma venne messo in scena al Teatro
Politeama di Napoli, dalla Compagnia «Il Teatro di Eduardo con Titina De
Filippo».
La storia è la rappresentazione realistica del dramma di una famiglia della
media borghesia napoletana, al cui interno, però, si muove il personaggio
centrale di Filumena Marturano, una ex prostituta proveniente da un basso di San
Liborio, un quartiere dove - dice in prima persona la protagonista - le case
sono «Nire, affumecate... addò a stagione nun se respira p' 'o calore pecché a
gente è assaie, e 'e vierno 'o friddo fa sbattere 'e diente... Addò nun ce sta
luce manco a miezjuorno... lo parlo napoletano, scusate... Dove non c'è luce
nemmeno a mezzogiorno...». Proprio per uscire da quella miseria un giorno
Filumena decise di seguire Domenico Soriano, uno dei tanti signorotti che la
frequentavano. Ma la sua scelta non ha soltanto motivazioni economiche: ella,
infatti, a differenza delle sue compagne di sventura, non ha voluto rinunciare a
essere madre e, con tenace fervore, dopo trent'anni passati con Domenico
Soriano, mira a legittimare la sua unione con lui per il bene dei suoi tre
figli, Michele, Riccardo e Umberto, allevati a loro insaputa e a insaputa dello
stesso amante, che addirittura ne ignora l'esistenza. Il tema della maternità
costituisce pertanto il nucleo narratìvo dì tutta la vicenda, la quale,
allacciandosi del resto alle ragioni autobiografiche e civili dell'autore
(Eduardo era figlio illegittimo di Eduardo Scarpetta), Sl armonizza con il
motivo più generico del riscatto della persona umana: «Guagliù, vuie site
uommene! Stateme a sentì [...]. Ccà sta 'a ggente: 'o munno, 'O munno cu' tutt'
'e llegge e cu' tutt' 'e diritte... 'O munno ca se difende c' 'a carta e c' 'a
penna. Domenico Soriano e l'avvocato [...]. E ccà ce sto io: Filumena Marturano,
chella ca 'a leggia soia è ca nun sape chiàngere. Pecché 'a ggente, Domenico
Soriano, me l'ha ditto sempe: "Avesse visto maie na lacrema dint' a chill'uocchie!".
E io senza chiangere... 'o vvedite?! ll'uocchie mieie so' asciutte comm'
all'esca».
Per raggiungere il suo scopo Filumena si era finta agonizzante e aveva costretto
Domenico a sposarla in articulo mortis. Il primo atto si apre proprio in seguito
a questo tiro ai danni dell'amante, il quale è pronto a utilizzare tutti i mezzi
legali per cancellare lo stato di fatto che aveva sempre rifiutato. La parte
centrale della storia si snoda nel secondo atto, momento in cui Filumena, messa
alle strette dagli impedimenti legali tirati in ballo da Domenico, mostra a
quest'ultimo i suoi figli e gli rivela che uno dei tre è suo. Attraverso questa
inaspettata rivelazione, Filumena riesce a convincere l'uomo, che oramai era sul
punto di abbandonarla, a rimanerle accanto. Il suo istinto materno, però - non
volendo che l'affetto del padre si concentri su uno soltanto dei figli, a
scapito degli altri - le consiglia di non rivelare chi sia il vero figlio di
Domenico.
Il terzo atto rappresenta il "buon fine" che Filumena ha raggiunto: Domenico, il
cui duro carattere va ingentilendosi per il nascere in lui di quel mai vissuto
affetto paterno, si convince che Filumena - divenuta finalmente sua moglie - ha
ragione nel serbare il proprio segreto.
Il dramma racchiude in sé, come tutte le opere di Eduardo, la presenza di altri
generi che si intrecciano fra loro. Alla commedia si mescola, infatti, una
potenziale tragedia e a questa, con interventi inaspettati quanto calcolati, si
sommano i generi della farsa o della novella burlesca. Gli stessi monologhi
della protagonista esprimono, attraverso l'intensa suggestione delle loro
immagini, oltre che la concretezza poetica del dialetto (che in quest'opera
costituisce spesso l'espressione della memoria), anche il senso esistenziale e
quasi mistico del sentire materno. Con l'essenzialità narrativa di quest'opera,
che l'autore definirà «la più cara delle mie creature», si assiste a un vero e
proprio equilibrio di forme e contenuti.
L'opera, tra quelle di Eduardo, è divenuta la più rappresentata fuori d'Italia,
Nel 1951 l'autore ne diresse il film omonimo; sceneggiatura di Eduardo stesso e
Piero Tellini; interpreti Titina De Filippo, Eduardo, Tina Pica, Carlo Pennetti,
Aldo Gìuffrè. La sua messa in scena televisiva fu invece trasmessa dalla Rai il
5 febbraio 1962, con la regia e la sceneggiatura di Eduardo e di Stefano De
Stefani; interpreti Regina Bianchi, Eduardo, Enzo Petito, Nina De Padova ed
Elena Tilena. Due anni dopo venne prodotta la seconda versione cinematografica,
con il titolo Matrimonio all'italiana, per la regia di Vittorio De Sica e la
sceneggiatura di Renato Castellani, Tonino Guerra, Leo Benvenuti, Piero De
Bernardi; interpreti Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Aldo Puglisi, Tecla
Scarano, Marilù Tolo. Nel 1998 è stata pubblicata una versione a fumetti.
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