Riscritto a più riprese nel 1960 e poi lasciato nel cassetto, è stato pubblicato
per la prima volta nell'aprile del 1963, due mesi dopo la morte di Fenoglio, in
un volume che, sotto il titolo di Un giorno di fuoco, comprendeva anche undici
prose brevi di argomento resistenziale e contadino, di cui sei già ordinate
dall'autore per la pubblicazione (il romanzo, reperito da Lorenzo Mondo, fu in
effetti aggiunto alla raccolta soltanto in extremis).
Nel novembre del 1944, il giovane partigiano Milton, uscito in pattuglia con il
compagno Ivan, si imbatte apparentemente per caso nella villa di Fulvia, la
ragazza di Torino che ha amato in silenzio negli anni prima della guerra.
Nonostante la zona sia poco sicura per i partigiani, Milton è preso dai ricordi.
Davanti ai suoi occhi scorrono in disordine le immagini delle loro conversazioni
in giardino, delle lettere e delle traduzioni che lui le inviava e del loro
primo incontro, favorito da Giorgio Clerici, il suo migliore amico (capitolo 1).
Le meditazioni di Milton sono interrotte dal sopraggiungere della custode della
villa, che lo riconosce subito e acconsente a farlo entrare in casa, affinché
possa rivedere quella che Milton chiama significativamente «la nostra stanza». I
luoghi, resi spettrali dall'assenza degli abitanti, risvegliano memorie sopite
da lungo tempo. Ogni oggetto sembra avere una storia da raccontare: i volumi
della libreria, il divano, i dischi (in particolare Over the Rainbow, la «loro»
canzone). La conversazione procede stentata finché una battuta casuale della
custode innesca una serie di domande sempre più allarmate di Milton, che viene
così a scoprire l'amore di Giorgio e Fulvia. Sconvolto dalle parole della donna,
che vanificano in un colpo tutte le sue speranze, Milton si incammina verso il
presidio partigiano di Treiso (capitolo 2).
Rientrato a Treiso in tutta fretta, Milton si reca immediatamente a rapporto da
Leo, il comandante del distaccamento. Ma il vero obiettivo della visita di
Milton è un altro: vuole ottenere mezza giornata di permesso per recarsi a
Mango, dove Giorgio è partigiano. Le parole della custode (che ha ipotizzato la
relazione con Fulvia dai silenzi e da certi strani comportamenti di lei) non gli
bastano e vuole una risposta inequivoca dall'amico: «La verità. Una partita di
verità tra me e lui. Dovrà dirmelo, da moribondo a moribondo» (capitolo 3).
Milton si mette in cammino di buon'ora per raggiungere Giorgio, ma a Mango viene
a sapere che, uscito in ricognizione con altri quattro partigiani (Jack,
Sceriffo, Meo e Cobra), lo si attende da un momento all'altro. La nebbia è
sempre più fitta e, quando i compagni di Giorgio riemergono finalmente dal «mare
di latte», lui non è con loro, Nessuno però si preoccupa, anche perché Giorgio,
che proviene da una delle famiglie più in vista di Alba, non ama il contatto con
la gente del popolo e sfrutta ogni occasione per stare da solo e magari
procurarsi a pagamento delle provviste speciali dai contadini (capitolo 4).
Parlando con Sceriffo, Milton scopre che Giorgio e Jack si sono accapigliati per
il modo poco accurato con cui quest'ultimo faceva la guardia e che anche per
questo motivo deve aver preferito rimanere indietro nella nebbia. Ma il tempo
passa, e di Giorgio ancora non c'è traccia (capitolo 5).
Milton è sempre più inquieto. Finalmente arriva la conferma di quanto temuto:
Giorgio, perdutosi nella nebbia, è stato sorpreso da una pattuglia fascista e un
contadino lo ha visto mentre veniva portato verso Alba su un carro, «come un
trofeo». Ormai è troppo tardi per intercettare il gruppo prima che giunga in
città e l'unica speranza di salvare Giorgio (e dunque di conoscere la «verità»)
è in un tempestivo scambio di prigionieri. Ma, poiché a Mango non ce ne sono, a
Milton non rimane che recarsi alla vicina divisione dei garibaldini, nella
speranza che gliene possano "prestare" uno (capitolo 6).
Milton avanza faticosamente nel fango, sapendo che la vita di Giorgio è legata
alla velocità con cui saprà trovare un "cambio" adeguato. Giunto al campo dei
garibaldini, escono fuori le rivalità che turbano già i rapporti tra le diverse
formazioni antifasciste. Purtroppo neanche i "rossi" hanno prigionieri: l'ultimo
- racconta Paco, un ex badogliano passato con i comunisti - è stato fucilato
proprio il giorno prima. Ma Milton non si perde d'animo e parte in direzione di
Caneli, nell'intento di catturare lui stesso un soldato repubblichino (capitolo
7).
La notte, alle dieci, Milton trova riparo presso una vecchia contadina, non
distante da Santo Stefano e Canelli. La conversazione tocca tutti i grandi temi
della guerra partigiana: la fine delle ostilità, la necessità di perdonare, la
sofferenza delle madri. Milton ripensa alla battaglia di Verduno in cui un gran
numero di fascisti perse la vita, ma in particolare ai quattro prigionieri
disarmati che Hombre ha dovuto eliminare nella fuga. Nonostante la stanchezza (è
in marcia dalle cinque del mattino), decide di non fermarsi a dormire dalla
vecchia e, messosi in borghese, riparte alla volta di Canelli, «mugolando Over
the Rainbow» (capitolo 8).
È mattina e Milton, ormai febbricitante, si rimette in cammino. Dalle colline
sopra Canelli, può osservare finalmente la divisione San Marco, ma ci sono poche
possibilità che un soldato si inoltri spericolatamente da solo nel bosco.
Proprio mentre è impegnato nell'aggiramento di Canelli, un gruppo di contadini
lo raggiunge e gli pone ancora una volta le consuete domande sulla fine delle
ostilità. Finalmente l'incontro casuale con una vecchia contadina lo mette sulle
tracce di un sergente fascista in visita all'amante (capitolo 9).
L'agguato riesce: come programmato, Milton cattura il sergente prendendolo alle
spalle e comincia a condurlo verso Alba, dove intende combinare il sospirato
scambio. Ma il giovane fascista ha paura e alla prima occasione propizia tenta
la fuga; incapace di trattenerlo, Milton è costretto ad abbatterlo con due colpi
nella schiena (capitolo 10).
Avvilito dalla pioggia, dal vento e dal fango, ma soprattutto dal fallimento del
proprio piano, Milton raggiunge il presidio di Trezzo. I partigiani si
raccontano vecchie storie di guerra e Milton difende Giorgio (della cui sorte in
Alba ancora non si sa nulla) dall'accusa di essere stato poco coraggioso,
raccontando un episodio della loro vita assieme. Nel delirio che precede un
sonno tormentato, Milton, ormai privo di risorse per salvare il suo amico,
decide di tornare dalla custode, con l'intento di farsi «ripetere tutto per filo
e per segno» e la segreta speranza assurda ma più forte di ogni argomento
razionale - di aver frainteso le sue parole (capitolo 11).
L'azione si è spostata ad Alba, lontano da Milton. Siamo nella caserma di
Canelli, dove l'uccisione del sergente ha messo in moto uno spietato meccanismo
di violenza. Il comandante della divisione ha ordinato di vendicare il caduto
fucilando immediatamente i prigionieri nemici disponibili, Bellini e Riccio, due
ragazzi di quattordici anni, catturati tre mesi prima mentre facevano da
staffette per i partigiani. Nonostante i tentennamenti di alcuni ufficiali,
l'ordine viene eseguito (capitolo 12).
Proprio mentre l'esecuzione si compie, Milton giunge nuovamente in vista della
villa di Fulvia. È assorto nei suoi pensieri, insensibile alla pioggia e al
vento, e non si accorge di quanto gli avviene attorno. Improvvisamente, e con
grande ritardo, Milton scopre di avere davanti a sé una cinquantina di soldati
fascisti. La fuga è disperata, tra le pallottole che gli piombano addosso da
tutte le direzioni e un corpo trasfigurato che sembra non rispondere più alle
normali leggi della fisica. Sfuggito al fuoco fascista, Milton continua a
correre, fino all'enigmatica conclusione in cui gran parte dei lettori ha visto
la sua morte (ma non Maria Corti, che si richiama a una scaletta del romanzo in
cui si allude alla liberazione di Giorgio): «come entrò sotto gli alberi, questi
parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò». L'interpretazione
del finale rimane certo aperta, anche se sembra assai ragionevole il punto di
vista di Dante Isella, che si chiede: «Ma il tormentoso interrogativo di Milton,
la sua ricerca della verità, non sono forse, dobbiamo chiederci, un
interrogativo e una ricerca che non possono ottenere risposta?» (capitolo 13).
Con la pubblicazione di Una questione privata, la critica ha finalmente
abbandonato le cautele con cui aveva accolto i precedenti libri di Fenoglio,
inaugurando quella "caccia all'inedito" che sarà coronata dall'uscita di Il
partigiano Johnny. La perfezione di quello che può essere considerato il
capolavoro di Fenoglio è forse soprattutto nella sua capacità di far coincidere
destino individuale e storia collettiva, moventi ideali e «questione privata».
Come scrisse a caldo Italo Calvino, «fu il più solitario di tutti che riuscì a
fare il romanzo che tutti avevamo sognato. Una questione privata è costruito con
la geometrica tensione d'un romanzo di follia amorosa e cavallereschi
inseguimenti come l'Orlando Furioso, e nello stesso tempo c'è la Resistenza
proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come non era mai stata scritta. Ed è
un libro assurdo, misterioso, in cui ciò che si insegue, si insegue per
inseguire altro, e quest'altro per inseguire altro ancora e non si arriva al
vero perché».
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