Luigi
De Bellis

 


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Pier Paolo Pasolini



PETROLIO: Romanzo


Il capolavoro incompiuto del Pasolini narratore, la cui prima ideazione risale alla primavera del 1972 e su cui l'autore lavorò fino alla morte, uscì postumo, per le cure di Aurelio Roncaglia, Maria Careri e Graziella Chiarcossi.

Pasolini aveva pensato anche a un titolo alternativo, Vas, con riferimento a San Paolo, vas electionis (Atti degli Apostoli 9, 15), espressione ripresa da Dante, «Vas d'elezione» (Inferno II, 28; «gran vasello / de lo Spirito Santo» è ancora Paolo in Paradiso XXI, 127-128), a proposito del viaggio del santo nell'aldilà. Roncaglia propone un ulteriore possibile rimando dantesco, «natural vasello» (Purgatorio XXV, 45), che è metafora per l'utero femminile che riceve il seme maschile, ottenendo così dalle due citazioni una «ambigua sovrapposizione di "Grazia" e di "Sesso"». La decisione fra i due titoli probabilmente non fu presa definitivamente da Pasolini; Petrolio gli venne suggerito originariamente da «un articoletto, credo dell'Unità», nel '72, come l'autore confessa in un appunto. Non è da escludere anche un volontario calembour sul nome dello scrittore latino Petronio, giacché, come indica Pasolini stesso in una pagina prefatoria al romanzo, questo doveva risultare «un Satyricon moderno».

Di Petrolio, che sarebbe dovuto diventare un «grosso Romanzo di 2000 pagine», come preannunciava nel '74 Pasolini in un'intervista, sono rimaste 522 pagine, scandite in «Appunti» con numerazione progressiva, a configurare «un torso; anzi una serie discontinua di frammenti, quali più quali meno estesi, talora appena briciole, schemi telegrafici, addirittura titoli nudi» (Roncaglia). Il protagonista del romanzo è Carlo, un ingegnere della borghesia torinese, nato nel 1932, laureatosi a Bologna nel '56; lavora All'ENI, è un «cattolico di sinistra», è brillante, è un «padrone». Il personaggio è però sdoppiato; Carlo secondo è inferiore, è umile, non possiede niente, è «servo», è «buono», come può esserlo un cane, anche se incarna, contraddittoriamente e paradossalmente, la parte "negativa": infatti il primo è Carlo di Polis, angelico e sociale, il secondo è Carlo di Tetis, diabolico e sessuale (Tetis vale nell'antico greco per «sesso», come spiega Pasolini in Empirismo eretico). Le due metà del personaggio sembrano avere vicende separate, ma in realtà si scambiano spesso i ruoli ed è difficile distinguerli; sono un'unica persona, in sostanza, emblema della contraddittorietà insolubile e sempre assunta come tale da Pasolini, tesi e antitesi conviventi senza sintesi.

Carlo, di ritorno a Torino, ha rapporti sessuali con la madre, le sorelle, la nonna, le serve. Fa carriera nell'ENI in un universo politico-economico losco, sporco e delittuoso, l'universo nero del Potere, dove dominano famiglie di faccendieri come i Troya, detentori di un autentico impero. Compie un viaggio in Oriente, sulla falsariga degli Argonauti secondo il poema di Apollonio Rodio.
Con l'«Appunto 51» abbiamo un «Primo momento basilare del poema» (Petrolio è spesso definito «poema» dall'autore): Carlo, guardandosi allo specchio, si accorge di essere diventato una donna. Nel lungo «Appunto 55», «Il pratone della Casilina», Carlo, in un paesaggio di periferia romana inebriante e assoluto, riassuntivo di tutto il cosmo, consuma un rapporto orale con venti ragazzi, in un rituale di sesso passivo ossessivamente descritto nel dettaglio, con la ripetitività e la sacralità del rito, appunto. Una seconda esperienza passiva di Carlo (più propriamente dell'altro Carlo) si realizza con il cameriere Carmelo, incarnazione reale della figura onirica e visionaria di Salvatore Dulcimascolo, sorta di dio maschio in un'allegoria medievaleggiante ambientata in un giardino. Carlo è amorosamente sottomesso a Carmelo, strumento del suo piacere in un rapporto completo che fa della passività e dell'essere posseduto l'atto supremo di realizzazione. Se allora è stabilito che il possesso è male, «l'essere posseduti è ciò che è più lontano dal Male, o meglio, è l'unica esperienza possibile del Bene, come Grazia, vita allo stato puro, cosmico». Così la trasformazione in donna, anzi, le due trasformazioni dei due Cardi, preludono all'elezione, alla scelta: l'eroe Carlo può essere posseduto, ricevere nel proprio corpo la Grazia (lo sperma), negare il possesso ponendosi agli antipodi di esso, risultando l'Eletto per l'esperienza suprema, la passività. E insomma, veramente, vaso d'elezione, in tutti i sensi possibili.

Dopo la visione del giardino medievale, una nuova, complessa visione, in forma di "stazioni" fra il teatrale e il cinematografico; protagonista è un giovane proletario, il Merda, e attraverso le numerose tappe si illustra allegoricamente la crisi italiana secondo Pasolini, in particolare la degradazione della gioventù. L'andamento è di sapore prettamente dantesco (si pensi soprattutto agli ultimi canti purgatoriali), secondo un modulo di imitazione, attualizzazione e parodia (parodia "seria") reperibile anche nell'inconclusa Divina Mimesis, del '75. La prima parte del romanzo termina con una nutrita serie di «Appunti» in cui vari narratori, presenti a un ricevimento ufficiale in occasione della festa della Repubblica (ci sono tutti i notabili e i politici più in vista del tempo), raccontano storie variamente allegoriche. Della seconda parte ci sono rimasti pochi materiali, i cui nuclei principali sono una grande festa, ispirata a Dostoevskij (I dèmoni); una passeggiata di Carlo nella campagna e poi nella «nuova periferia» della città (il titolo della sezione, «I Godoari», è tratto dal nome di un popolo barbarico presente in un racconto di Anna Banti, La villa romana); una manifestazione fascista. La lettura complessiva della frammentaria seconda parte è piuttosto ardua e accidentata; domina sempre il motivo principe dell'ultimo Pasolini, la denuncia della trasformazione-involuzione dell'Italia contemporanea.

Nella lettera accompagnatoria del manoscritto di Petrolio ad Alberto Moravia, Pasolini insiste sull'aspetto metanarrativo e sostanzialmente antinarrativo del "poema": «È un romanzo, ma non è scritto come sono scritti i romanzi veri: la sua lingua è quella che si adopera per la saggistica, per certi articoli giornalistici, per le recensioni, per le lettere private o anche per la poesia: rari sono i passi che si possono chiamare decisamente narrativi. Ho reso il romanzo oggetto non solo per il lettore ma anche per me: ho messo tale oggetto tra il lettore e me, e ne ho discusso insieme (come si può fare da soli, scrivendo)». La lingua del "poema" è dunque ora lucidamente raziocinante, saggistica, ora lirica, ora apparentemente elementare, ora elaboratissima; erano previsti inserti in greco o neo-greco e persino in giapponese. Il lettore vive con l'autore il «farsi» del "romanzo", in una «forma-progetto» (come scrive Carla Benedetti), dove la potenzialità dell'appunto schematico ha quasi la stessa valenza di quanto è attualizzato, scritto per esteso. Ciò non significa che Pasolini avrebbe lasciato il testo esattamente nelle condizioni frantumate in cui ci è rimasto (cioè un quarto del previsto). Si intende dire che, comunque, anche una volta licenziato dall'autore, avrebbe mantenuto la sua struttura magmatica, straniante e disorientante: «Il mio non è un romanzo "a schidionata", ma "a brulichio" e quindi è comprensibile che il lettore resti un po' disorientato». L'opera avrebbe dovuto toccare ogni estremo possibile della forma, fino al materico «illeggibile» delle pagine in greco o giapponese: «la mia decisione è quella non di scrivere una storia, ma di costruire una forma: forma consistente semplicemente in "qualcosa di scritto"». Ma non manca la fiducia nella parola significante, concettualmente o poeticamente. Come non mancano gli abbandoni alla "storia", testimoniati, per esempio, dai molteplici racconti nel racconto, secondo il modello delle Mille e una notte. L'atteggiamento totalizzante apparenta Petrolio al grande modello della Commedia dantesca, da cui deriva anche la volontà satirica e di denuncia acre della politica contemporanea più losca, degli intrecci con l'affarismo più bieco. Il nucleo ideologico dell'opera è politico-sessuale, il tema centrale è il Potere e il Male; la degradazione dell'essere posseduti carnalmente diventa così, paradossalmente, santificante, probabilmente salvifica, se mai Pasolini ha creduto a una salvezza nei suoi ultimi anni. L'impianto allegorico, poi, si nutre di suggestioni medievali vivissime e si appoggia a strutture mitologiche (gli Argonauti, Tiresia maschio e femmina ecc.), avvicinandosi parzialmente anche all'altro grande paradigma moderno, l'Ulisse di Joyce (di cui però Pasolini sembra rifiutare «la scrittura», come si legge in un appunto-elenco riprodotto nell'edizione einaudiana). Da Sterne, l'autore del Tristram Shandy, provengono invece la convinzione che ogni digressione è progressione, e quindi l'andamento costantemente divagante, proliferante, accumulante del testo. Petrolio è un romanzo-poema-saggio di fortissimo impatto, fra le opere più originali della letteratura del Novecento: l'assassinio dell'autore ci ha impedito di vederne la facies definitiva. Che comunque si sarebbe presentata «sotto forma di edizione critica di un testo inedito», come voleva Pasolini: finzione filologica che la morte ha trasformato in atto filologico reale, l'edizione postuma.

 

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