Ernesto Guevara

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 La giovinezza (1928/1954)
 La rivoluzione cubana. (1955/1959) > La spedizione verso Cuba.
                                                               La Rivoluzione.
                                                               Le prime opere del Che.
 Il ministro, l'uomo di Stato. (1960/1964)
 Il ritorno all'azione, la morte. (1965/1967)
Guevara si ritaglia un ruolo particolare nell'accelerazione degli eventi. Più di altri, avverte che lo scontro che divide l'isola e lo stesso Movimento 26 luglio ha bisogno di "memoria" e "teoria". La memoria può venire dalla puntuale ricostruzione di tutto ciò che spiega la vittoria della rivoluzione cubana e conferma la scelta della guerriglia come metodo di lotta, formazione di un gruppo dirigente e primo embrione di un nuovo Stato. La teoria può scaturire dall'analisi delle ragioni strutturali che hanno permesso la vittoria della rivoluzione. Il "Che" - esonerato in Argentina dal servizio militare a causa dell'asma congenita - diventa così il primo "storico" di ciò che è accaduto nell'isola dal 1956 al 1959 e il primo moderno teorico militare dell'America Latina. Per lui, in quel momento, fare politica significa ripensare ruolo e percorso della rivoluzione per affidare ai "barbudos" (in questo modo venivano chiamati i guerriglieri dalle lunghe barbe cresciute sulla Sierra) un'indiscussa centralità nella nuova situazione di Cuba. La guerra di guerriglia", primo libro compiuto di Guevara, viene dato alle stampe nel 1960. Il volume è dedicato a Camilo Cienfuegos ("che avrebbe dovuto leggerlo e correggerlo"), scomparso in mare con il suo aereo nell'ottobre 1959 di ritorno da una missione a Camaguey, dove ha cercato di ottenere la resa di Huberto Matos, uno dei comandanti della rivoluzione che accusava Castro di lavorare in combutta con i comunisti. Guevara lo ha scritto a tempo di record. Ha potuto farlo in virtù dell'abitudine ad annotare tutto ciò che gli accade nei suoi diari. Ha usato lo stesso metodo nei suo viaggi giovanili in America Latina, lo ha ripetuto sulla Sierra Maestra, lo replicherà in Congo (1965) e poi nell'ultima spedizione in Bolivia (1966-1967). Ed è probabile che tra i suoi inediti che giacciono a L'Avana ci siano i diari dell'esperienza di presidente del Banco nacional de Cuba e di ministro dell'industria, oltre che gli "appunti" sulle sue letture economiche e filosofiche. I punti teorici su cui ruota "La guerra di guerriglia" sono tre e dichiarati sin dalla prima pagina: le forze popolari possono vincere una guerra contro l'esercito; non si deve sempre aspettare che si creino tutte le condizioni favorevoli alla rivoluzione, perché il "fuoco" dell'insurrezione può crearle; nell'America sottosviluppata la lotta armata deve partire dalle campagne. I riferimenti ideali sono la Cina di Mao e l'Indocina di Ho Chi Minh. Lo sforzo - si tratta quasi di un manuale - è quello di fornire utili cognizioni di strategia militare a chi decidesse di replicare quanto accaduto a Cuba. Segue, in successione, l'analisi socio-politica della figura del "guerrigliero e riformatore sociale". Prende così forma la sua teoria della guerriglia. Il "Che" fissa sulla carta alcune caratteristiche della propria esperienza: la rivoluzione cubana ha vinto senza un partito, senza una base sociale determinata, e sarebbe paradossalmente antimarxista se fosse giudicata con i parametri del marxismo ortodosso. Per Guevara l'Esercito ribelle diventa la base del nuovo potere rivoluzionario, il soggetto organizzato che sostituisce il "partito" e stabilisce la continuità con gli obiettivi iniziali della guerriglia. In alcuni discorsi tenuti nelle prime settimane della rivoluzione vittoriosa raccomanda di non sciogliere né la rete guerrigliera né la struttura dell'esercito. Negli scritti successivi non dedica particolare attenzione ai temi dell'organizzazione politica del movimento rivoluzionario. Per lui la scelta guerrigliera è la risorsa da cui attingere una volta esaurite "tutte" le occasioni di tradizionale lotta politica (nel 1963, nel suo "Guerra di guerriglia: un metodo", la lotta armata è già delineata senza alternative). Nel 1961, quando pubblica un articolo dal titolo "Cuba: eccezione storica o avanguardia nella lotta al colonialismo?", scoppia la polemica proprio sulla possibilità o meno di estendere ad altri paesi la rivoluzione dei "barbudos" (si discute anche della contrapposizione tra "città e campagna", che segna una prima divisione tra chi ha combattuto sulla Sierra e chi nella rete clandestina: la polemica era nata già durante la guerriglia sulla Sierra Maestra). Guevara indica nella rivoluzione cubana un modello da seguire: la lotta deve partire dalle campagne. In queste prime fasi della "rivoluzione al potere" è Guevara ad assumere il ruolo di colui che acuisce il dibattito e chiede una scelta netta tra opzioni politiche differenti. Castro si limita - almeno in apparenza - a seguirne la scia. Mentre avanza il confronto, il "Che" scrive e riflette sulla ricerca di una strategia rivoluzionaria almeno continentale, se non terzomondista. Con "Rivoluzione nella rivoluzione?" di Regis Debray del 1967 il guevarismo verrà portato all'estremo: la guerriglia va estesa ovunque; chi vuol fare la rivoluzione deve seguire l'esempio cubano e escludere ogni alleanza con le borghesie nazionali che sono il punto di riferimento dei partiti comunisti filosovietici. In appendice a "La guerra di guerriglia" c'è un interessante capitolo dedicato all'analisi della situazione cubana a un anno dall'ingresso vittorioso dei "barbudos" a L'Avana. Il "Che" non esclude possibili tentativi d'invasione da parte degli Stati Uniti (che si verificheranno puntualmente). Accenna alla priorità del "lavoro collettivo" (non siamo ancora al "lavoro volontario", su cui insiste nel corso del suo successivo incarico di ministro). Affida le chances della rivoluzione all'esercito, ritenuto il baluardo che può affrontare gli imprevisti politici e militari. Passaggi della guerra rivoluzionaria" (1963), altro importante scritto del "Che", serve invece a dare memoria alla rivoluzione ormai consolidatasi al potere. Si tratta della raccolta di frammenti, note di diario e articoli scritti in epoche successive fin dal dicembre 1959: ricostruiscono passo dopo passo tutte le vicende che dallo sbarco del Granma conducono alla decisiva battaglia di Santa Clara. Il "Che", nel "Prologo", sprona a fare altrettanto. A condizione che chi scrive non dia troppo spazio al ruolo personale svolto nella guerriglia o descriva cose che non ha visto e non ha fatto (anzi, deve liberarsi dalla retorica come cerca di fare lui stesso, non dando troppo rilievo al suo ruolo di "comandante del fronte occidentale"). Questi testi "storici", dallo stile di un reportage a puntate, restano incisivi e ben scritti, dettati come sono da un'esperienza vissuta sul campo. E sono pure la dimostrazione di come tra Guevara e Castro ci sia in quella fase una divisione di attitudini tra uso della scrittura, voglia del racconto e della teoria (in cui primeggia il primo) e uso della parola, del comizio e del mezzo televisivo (in cui il secondo non ha rivali). Ma "La guerra di guerriglia" e "Passaggi della guerra rivoluzionaria" risentono del loro contesto e di finalità immediatamente politiche, pur costituendo il primo approdo di un pensiero compiuto da parte del "Che": non sono la sistemazione organica di una teoria. I primi anni di permanenza a Cuba sono per Guevara una miscela impressionante di attivismo frenetico e di riflessione politica su ciò che bisogna fare sull'isola e in tutto il resto dell'America Latina. Ernesto Guevara non è solo un guerrigliero e un uomo d'azione. Negli anni vissuti a L'Avana (1959-1965) ricopre gli incarichi di responsabile dell'Istituto nazionale per la riforma agraria (Inra), di presidente del Banco nacional de Cuba e di ministro dell'industria, oltre che di instancabile diplomatico in viaggio per il mondo con il compito di allacciare relazioni tra la rivoluzione dei "barbudos" e la realtà internazionale. Il "Che" partecipa intensamente - dalla posizione di uomo di governo - alla prima fase della transizione cubana, quando alla cacciata del dittatore Fulgencio Batista seguono nuove politiche sociali, economiche e statali. Solo alla fine di questo percorso decide di riabbracciare la via della guerriglia, prima in Congo (1965) e poi in Bolivia. Tutto ciò rende la personalità di Guevara complessa e sfuggente ad ogni giudizio definitivo. Chi fa prevalere il "mito" sull'indagine biografica e sulla lettura dei suoi scritti, finisce per avvalorare l'immagine di un "Che" inossidabile nelle proprie certezze, capace di sviluppare teorie e scelte pratiche in perfetta linea di continuità e in una sorta di evoluzione permamente. Il "mito", in questi casi, viene descritto in evoluzione coerente fin dagli anni della giovinezza. Le cose non stanno affatto così. Guevara muta giudizi, rivede le sue scelte, si fa guidare dalla bussola degli eventi che costringono a verificare nella pratica quanto si era teorizzato a tavolino. Anzi, le sue elaborazioni più convincenti sono proprio le annotazioni sia dell'uomo di governo che deve indirizzare la costruzione di una nuova società che del diplomatico che scopre "dal vivo" cosa siano Unione Sovietica, "socialismo reale" e alcune esperienze di emancipazione politica in altri paesi del Terzo Mondo. Il suo pensiero e la sua vita sono un naturale "work in progress", come dovrebbe essere per ognuno.
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