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La giovinezza (1928/1954) La rivoluzione cubana. (1955/1959) Il ministro, l'uomo di Stato. (1960/1964) > I primi incarichi. Il ministro Guevara. L'addio a Cuba. Il ritorno all'azione, la morte. (1965/1967) |
Quando Guevara assume l'incarico di ministro, ha pieni poteri su tutto
l'apparato industriale: scorte di petrolio, miniere, meccanizzazione del lavoro
agricolo. La sua scelta è quella di favorire gli investimenti nei settori della
chimica e dell'elettronica. Dopo il 3 gennaio del 1961, data in cui gli Stati
Uniti decidono di interrompere le relazioni diplomatiche con Cuba, il "Che"
sottoscrive gli accordi di scambio con l'Unione Sovietica e gli altri paesi
socialisti. Secondo la testimonianza del professore di matematica Salvador
Vilaseca (ambasciatore dell'Avana a Roma negli anni Settanta), che lo accompagna
nei primi viaggi all'estero, Guevara gli chiede di impartirgli lezioni di
algebra superiore, geometria analitica, calcolo differenziale e integrale fin
dal primo incarico di presidente del Banco nacional ("Quelle lezioni durarono
cinque anni, fino al marzo del 1965. Facevamo lezione due volte alla settimana,
secondo una rigida disciplina"). Il "comandante del fronte occidentale" della
rivoluzione deve trasformarsi rapidamente in economista e in ministro
consapevole delle sue scelte: promuove nel suo ministero un seminario sul
"Capitale" di Carlo Marx e studia i problemi di organizzazione del lavoro e di
politica economica. Le discussioni con i funzionari del ministero dell'industria
diventano una fucina di proposte e di riflessioni di carattere teorico.
Nel 1962 il piano approvato dal ministro dell'Industria prevede il raddoppio -
entro il 1965 - della produzione di elettricità, cemento, acciaio in
collaborazione con gli investimenti e i tecnici specializzati che arrivano dalla
Repubblica democratica tedesca e dalla Polonia. L'obiettivo è
l'industrializzazione a tappe forzate dell'isola: per organizzare la
mobilitazione popolare durante le giornate festive del sabato o fuori dai
consueti orari di lavoro, vengono costituite anche le Brigate del lavoro
volontario. Quelle Brigate - secondo il "Che" - hanno un carattere pedagogico,
oltre che costituire una risorsa in più per raggiungere gli obiettivi economici
che sono stati fissati con la sua supervisione. Lui è il primo a dare l'esempio,
lavorando nei campi e nelle industrie nei giorni festivi.
Ma la doccia fredda giunge nel 1963. Guevara intuisce che il meccanismo della
centralizzazione non favorisce i piani produttivi di settore. Sferra un duro
attacco ai primi segnali di
burocratismo che si stanno insinuando
nell'organizzazione economica e politica della rivoluzione e cerca di modificare
il sistema di pianificazione. I dati economici del 1963 mettono sotto accusa
proprio l'operato del ministero dell'industria: dal 1961 in poi gli investimenti
nel settore industriale erano stati pari a 850 milioni di dollari l'anno, ma con
scarsi risultati; gli investimenti crescevano, mentre la produzione calava.
Sottostima dell'agricoltura tradizionale e della canna da zucchero,
impreparazione dei tecnici cubani a seguire le nuove direttive, mancanza di
quadri amministrativi (gran parte dei funzionari statali avevano abbandonato
Cuba dopo il 1959), riconversione del commercio estero in direzione dei paesi
socialisti contribuiscono a far impazzire il quadro delle compatibilità
economiche. I sogni economici di Guevara su una rapida industrializzazione del
paese sfumano rapidamente e l'isola inizia ad adottare la "libreta", il rigido
sistema di razionamento individuale dei beni di prima necessità. Si tratta di
uno shock per l'intera popolazione e per chi guida la rivoluzione.
In quel cruciale 1963 si apre una discussione infuocata al vertice del governo.
Vi contribuiscono anche due economisti europei, presenti a L'Avana come
consulenti: Ernest Mandel e Charles Bettelheim. Il primo sostiene le posizioni
di Guevara, il secondo è d'accordo con quanti chiedono una rapida correzione di
rotta (soprattutto Carlos Rafael Rodríguez, dirigente del Partito socialista
popolare e raffinato intellettuale, in quel momento responsabile delle politiche
agricole). La sterzata si verifica il 19 agosto 1963: un documento del governo
stabilisce che l'agricoltura e la canna da zucchero devono tornare il fulcro
dell'economia dell'isola; i processi di industrializzazione dovranno essere
realizzati nel corso dei dieci anni seguenti e a ritmi meno frenetici. Guevara
viene criticato per aver introdotto un sistema eccessivamente rigido di
pianificazione all'interno dell'organizzazione dell'industria di Stato.
Si contrappongono due ipotesi: quella del "Che", favorevole a un "bilancio
unificato" del settore industriale, e quella del "calcolo economico" adottato in
agricoltura dall'Istituto nazionale per la riforma agraria. Finisce per
prevalere la seconda. Schematizzando quel confronto, le imprese centralizzate
che fanno capo alle direttive del ministro dell'industria ricevono un
finanziamento finalizzato non alla redditività ma al raggiungimento degli
obiettivi del piano di settore o della singola attività produttiva, mentre
quelle che non fanno riferimento al ministero dell'industria godono di
un'autonomia contabile e di una personalità giuridica. Guevara è nel mirino
delle critiche per aver favorito la prima soluzione.
Il ministro dell'industria replica agli attacchi negando che in una società in
transizione sia applicabile la "legge del valore" o quella del "calcolo
economico": sostiene che in un'economia che si avvia verso una forma di
organizzazione socialista non ci si può appellare alle leggi del mercato, perché
ogni operazione produttiva, ogni scambio tra un settore statale e l'altro devono
richiamarsi a una politica di piano. Legge del valore e pianificazione -
argomenta Guevara - non possono coesistere. La discussione cubana di quel
periodo ruota intorno all'interpretazione più autentica del pensiero di Carlo
Marx, secondo il quale il valore di scambio di una merce è determinato dalla
quantità
di lavoro in esso incorporato: ogni aumento della quantità di lavoro
necessario per la sua produzione deve aumentarne il valore; viceversa, ogni
diminuzione deve a sua volta diminuirne il valore. Si intuisce come questa
querelle teorica e pratica abbia nella fase che sta vivendo Cuba una grande
importanza per una società in transizione. Si tratta di decidere i parametri di
produttività, redditività, valore delle merci, politica dei prezzi e dei salari.
Il ministero dell'industria, in conseguenza di quell'acceso dibattito che è un
vero e proprio scontro tra due linee politiche e di indirizzo economico, perde
il totale controllo delle attività produttive. Castro cerca di mantenersi
neutrale in quel contrasto che vede Carlos Rafael Rodríguez contrapporsi a
Guevara e alla fine vincere il braccio di ferro sulle scelte economiche. Ma è
ora che si precisa la posizione politica del "Che", che inizia a individuare
nella soggettività individuale e nella "coscienza rivoluzionaria" una variabile
esterna all'economia. Di qui il dibattito sugli incentivi "materiali" o "morali"
che la rivoluzione deve adottare per far crescere la produzione e la
partecipazione al lavoro.
Il ministro dell'industria è convinto che la risorsa più importante a cui il
processo di transizione a Cuba può attingere sia un coinvolgimento pieno delle
individualità nelle scelte politiche ed economiche. Non nega l'utilitità degli
incentivi "materiali" (a più lavoro devono corrispondere più salario e più
possibilità di acquisto di beni), accusa però chi li idolatra di puntare solo al
consumo come fattore di mobilitazione collettiva. "Lottiamo contro la miseria,
ma al tempo stesso contro l'alienazione. Se il comunismo non si occupa dei fatti
di coscienza, potrà essere un metodo di distribuzione ma non sarà mai una morale
rivoluzionaria", ama ripetere in quel periodo. Queste posizioni, oltre che
rappresentare il livello teorico più alto raggiunto da Guevara, ripropongono una
discussione sui paesi del "socialismo reale" dell'Est europeo: se ci si limita
ad intervenire sulle forme di distribuzione e di accumulazione economica dice il
ministro, saranno inevitabili involuzione burocratica e inefficienza e si creerà
una frattura tra consenso sociale e gestione del potere politico. L'esperienza
del ministro dell'industria dell'Avana rimette al centro della sua riflessione
la critica del lavoro, della produzione, dell'alienazione individuale e
collettiva con una buona dose di modernità e di anticipo rispetto alla crisi
successiva del socialismo made in Mosca. E' l'"uomo nuovo" quello che interessa
a Guevara.
Quella repentina svolta in politica economica che viene adottata da Cuba
costituisce la prima sconfitta politica del "Che". Deve prendere atto che un
paese sottosviluppato non può eliminare i suoi handicap attraverso un processo
forzato di industrializzazione. I rapporti con l'Unione Sovietica e i suoi
satelliti diventano inevitabili per sopravvivere anche al "blocco economico" che
nel 1962 viene decretato in modo unilaterale dal governo di Washington. Subisce
così una battuta d'arresto la via della possibile indipendenza economica, primo
passo per quella politica, che è stata teorizzata da Guevara.
Il ministro dell'industria replica a questa cocente sconfitta misurandosi a
tutto campo con i problemi dell'economia e negando che solo le leggi economiche
debbano dare il passo della costruzione di una nuova società. Ecco che prendono
quota le sue teorie sulla "coscienza rivoluzionaria" come risorsa indispensabile
per piegare le costrizioni dell'economia, sugli "incentivi morali" da preferire
a quelli materiali per evitare che sia solo la promessa di maggiori consumi a
costituire la leva della mobilitazione collettiva. Il "Che" precisa la sua
posizione, che poi lo porterà in rotta di collisione con il modello sovietico:
il socialismo non può limitarsi a cambiare le forme di distribuzione e di
accumulazione economica; la politica deve intervenire laddove l'economia è solo
freddo calcolo. Nei seminari che si svolgono nel suo ministero e che lo vedono
protagonista pronuncia due frasi clou che servono a comprendere il suo pensiero
di quel periodo: "Lottiamo contro la miseria, ma al tempo stesso contro
l'alienazione", "Se il comunismo non si occupa dei fatti di coscienza, potrà
essere un metodo di distribuzione ma non sarà mai una morale rivoluzionaria".
Prende corpo una "teoria sociale" della rivoluzione, che alcuni studiosi di Guevara hanno definito "umanista": "l'uomo nuovo", non le leggi dell'economia e
del mercato, è al centro delle sue preoccupazioni nella correzione della
malattia economicista che ha minato tutte le esperienze post-rivoluzionarie. Su
impulso del ministro dell'industria si sviluppano ulteriormente le Brigate di
lavoro volontario, che intervengono sul fabbisogno di abitazioni, sulla
costruzione dei servizi sociali, sulla produzione dei singoli comparti
economici. Attraverso la predilezione della politica sull'economia il "Che"
cerca di ottenere la più vasta adesione sociale ai programmi del suo ministero e
a quelli del governo.
Grande assente dal dibattito sull'economia in questa fase è Fidel Castro. Sulla
base dei documenti dell'epoca è difficile formulare un'ipotesi su quale fosse la
soluzione più gradita al "comandante en jefe". E' probabile che abbia deciso di
non scendere in campo con il peso della sua autorità per non contribuire alla
sconfitta del suo amico Guevara. Ma per chi conosce l'ossessione con cui Castro
ha sempre indirizzato tutte le scelte economiche di Cuba risulta difficile
pensare che non avesse una propria idea sul cammino da intraprendere. Quando -
nel corso del 1964 - si decide a L'Avana di spezzettare il ministero
dell'industria in più ministeri (quello dell'industria dello zucchero, quello
dell'industria alimentare) depotenziandone ruolo e obiettivi, Castro deve
quantomeno aver avallato, se non favorito, quella scelta.
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