Testi dei poeti romantici

 

 

Novalis, Inni alla notte, I

Quale vivente, dotato di sensi, non ama tra tutte le meravigliose parvenze dello spazio che ampiamente lo circonda, la più gioiosa, la luce - coi suoi colori, coi raggi e con le onde; la sua soave onnipresenza di giorno che risveglia? Come la più profonda anima della vita la respira il mondo gigantesco delle insonni costellazioni, e nel suo flutto azzurro nuota danzando - la respira la pietra scintillante, che posa in eterno, la pianta sensitiva che risucchia, l'animale multiforme, selvaggio e ardente - ma più di tutti il maestoso viandante con gli occhi pieni di profondi sensi, col passo leggero, e con le labbra ricche di suoni dolcemente socchiuse. Quale regina della natura terrestre chiama ogni forza a mutamenti innumerevoli, annoda e scioglie vincoli infiniti, avvolge ogni essere terrestre con la sua immagine celeste. - La sua sola presenza manifesta il meraviglioso splendore dei reami del mondo. 

 

Da lei mi distolgo e mi volgo verso la sacra, ineffabile misteriosa notte. Lontano giace il mondo - perso in un abisso profondo - la sua dimora è squallida e deserta. Malinconia profonda fa vibrare le corde del mio petto. Voglio precipitare in gocce di rugiada e mescolarmi con la cenere. - Lontananze della memoria, desideri di gioventù, sogni dell'infanzia, brevi gioie e vane speranze di tutta la lunga vita vengono in vesti grigie, come nebbie della sera quando il sole è tramontato. In altri spazi piantò la luce le festose tende. Mai più ritornerà ai suoi figli che l'attendono con fede d'innocenti?

 

Che cosa a un tratto zampilla grondante di presagi sotto il cuore e inghiottisce la molle brezza della malinconia? Da noi derivi a tua volta piacere, o buia notte? Quale cosa tu porti sotto il manto che con forza invisibile mi penetra nell'anima? Delizioso balsamo stilla dalla tua mano, dal mazzo di papaveri. Le gravi ali dell'anima tu innalzi. Noi ci sentiamo oscuramente e ineffabilmente turbati - con gioioso spavento vedo un volto severo che su di me si china dolce e devoto, e svela tra i riccioli senza fine intrecciati la cara giovinezza della madre. Come infantile e povera mi sembra ora la luce - come grato e benedetto l'addio del giorno - Solo perché la notte distoglie e allontana da te i tuoi fedeli, tu seminasti per gli spazi immensi le sfere luminose, ad annunziare l'onnipotenza tua - il tuo ritorno - nel tempo della tua lontananza. Più divini delle stelle scintillanti ci sembrano gli occhi infiniti che in noi la notte dischiude. Vedono oltre le più pallide gemme di quelle schiere innumerevoli - non bisognosi di luce frugano nel profondo di un'anima amante - voluttà ineffabile colma uno spazio più alto. Lode alla regina del mondo, alta annunziatrice di mondi santi, custode del beato amore, che a me ti manda - tenera amata - amabile sole notturno, - ed ora veglio - sono Tuo e Mio - la notte mi annunziasti come vita - mi hai fatto uomo - consuma con l'ardore dell'anima il mio corpo, perché lieve nell'aria con te più strettamente io mi congiunga e duri eterna la notte nuziale.

 Welcher Lebendige, Sinnbegabte, liebt nicht vor allen Wundererscheinungen des verbreiteten Raums um ihn, das allerfreuliche Licht - mit seinen Farben, seinen Stralen und Wogen; seiner milden Allgegenwart, als weckender Tag. Wie des Lebens innerste Seele athmet es der rastlosen Gestirne Riesenwelt, und schwimmt tanzend in seiner blauen Flut - athmet es der funkelnde, ewigruhende Stein, die sinnige, saugende Pflanze, und das wilde, brennende, vielgestaltete Thier - vor allen aber der herrliche Fremdling mit den sinnvollen Augen, dem schwebenden Gange, und den zartgeschlossenen, tonreichen Lippen. Wie ein König der irdischen Natur ruft es jede Kraft zu zahllosen Verwandlungen, knüpft und löst unendliche Bündnisse, hängt sein himmlisches Bild jedem irdischen Wesen um. - Seine Gegenwart allein offenbart die Wunderherrlichkeit der Reiche der Welt.

 

Abwärts wend ich mich zu der heiligen, unaussprechlichen, geheimnißvollen Nacht. Fernab liegt die Welt - in eine tiefe Gruft versenkt - wüst und einsam ist ihre Stelle. In den Sayten der Brust weht tiefe Wehmuth. In Thautropfen will ich hinuntersinken und mit der Asche mich vermischen. - Fernen der Erinnerung, Wünsche der Jugend, der Kindheit Träume, des ganzen langen Lebens kurze Freuden und vergebliche Hoffnungen kommen in grauen Kleidern, wie Abendnebel nach der Sonne Untergang. In andern Räumen schlug die lustigen Gezelte das Licht auf. Sollte es nie zu seinen Kindern wiederkommen, die mit der Unschuld Glauben seiner harren?

 

Was quillt auf einmal so ahndungsvoll unterm Herzen, und verschluckt der Wehmuth weiche Luft? Hast auch du ein Gefallen an uns, dunkle Nacht? Was hältst du unter deinem Mantel, das mir unsichtbar kräftig an die Seele geht? Köstlicher Balsam träuft aus deiner Hand, aus dem Bündel Mohn. Die schweren Flügel des Gemüths hebst du empor. Dunkel und unaussprechlich fühlen wir uns bewegt - ein ernstes Antlitz seh ich froh erschrocken, das sanft und andachtsvoll sich zu mir neigt, und unter unendlich verschlungenen Locken der Mutter liebe Jugend zeigt. Wie arm und kindisch dünkt mir das Licht nun - wie erfreulich und gesegnet des Tages Abschied - Also nur darum, weil die Nacht dir abwendig macht die Dienenden, säetest du in des Raumes Weiten die leuchtenden Kugeln, zu verkünden deine Allmacht - deine Wiederkehr - in den Zeiten deiner Entfernung. Himmlischer, als jene blitzenden Sterne, dünken uns die unendlichen Augen, die die Nacht in uns geöffnet. Weiter sehn sie, als die blässesten jener zahllosen Heere - unbedürftig des Lichts durchschaun sie die Tiefen eines liebenden Gemüths - was einen höhern Raum mit unsäglicher Wollust füllt. Preis der Weltköniginn, der hohen Verkündigerinn heiliger Welten, der Pflegerinn seliger Liebe - sie sendet mir dich - zarte Geliebte - liebliche Sonne der Nacht, - nun wach ich - denn ich bin Dein und Mein - du hast die Nacht mir zum Leben verkündet - mich zum Menschen gemacht - zehre mit Geisterglut meinen Leib, daß ich luftig mit dir inniger mich mische und dann ewig die Brautnacht währt.

 

Novalis, Inni alla notte, II

Deve il mattino sempre ritornare? La potenza terrestre avrà mai fine? Consuma un vano affaccendarsi il volo celeste della notte. E mai l'offerta segreta dell'amore arderà in eterno? Fu misurato alla luce il suo tempo;ma il regno della notte è senza tempo e senza spazio. - Eterno dura il sonno. Sonno santo - non fare troppo raramente lieti i consacrati alla notte in questa terrestre quotidiana fatica.

Soltanto i folli non ti riconoscono e di te nulla sanno se non l'ombra che tu spandi su noi pietosamente nel crepuscolo della notte vera. Non ti sentono nel flutto d'oro del grappolo - nell'olio miracoloso del mandorlo, e nel latice bruno del papavero.

Non sanno che tu adombri il tenero seno della vergine e il suo grembo fai cielo - non indovinano che uscita da antiche leggende tu avanzi e schiudi i cieli, portando la chiave dei soggiorni beati, silenzioso araldo di misteri infiniti.

Muß immer der Morgen wiederkommen? Endet nie des Irdischen Gewalt? Unselige Geschäftigkeit verzehrt den himmlischen Anflug der Nacht. Wird nie der Liebe geheimes Opfer ewig brennen? Zugemessen ward dem Lichte seine Zeit; aber zeitlos und raumlos ist der Nacht Herrschaft. - Ewig ist die Dauer des Schlafs. Heiliger Schlaf - beglücke zu selten nicht der Nacht Geweihte in diesem irdischen Tagewerk. Nur die Toren verkennen dich und wissen von keinem Schlafe, als dem Schatten, den du in jener Dämmerung der wahrhaften Nacht mitleidig auf uns wirfst. Sie fühlen dich nicht in der goldnen Flut der Trauben - in des Mandelbaums Wunderöl und dem braunen Safte des Mohns. Sie wissen nicht, daß du es bist, der des zarten Mädchens Busen umschwebt und zum Himmel den Schoß macht - ahnden nicht, daß aus alten Geschichten du himmelöffnend entgegentrittst und den Schlüssel trägst zu den Wohnungen der Seligen, unendlicher Geheimnisse schweigender Bote.

 

 

Novalis, Canti spirituali, I

 

Senza di te che cosa sarei stato?

Senza di te che cosa non sarei?

Destinato a paure e smarrimenti,

solo mi sentirei nel vasto mondo.

Non amerei più nulla con certezza,

sarebbe un cupo baratro il futuro;

se nel profondo il cuore si turbasse,

a chi potrei svelare la mia pena?

 

            Solo, da amore e nostalgia consunto,

non dissimile il giorno dalla notte

mi sembrerebbe; e seguirei con caldo

pianto il corso selvaggio della vita.

Troverei nel tumulto inquietudine,

dentro la casa angoscia disperata.

Chi reggerà senza un amico in cielo,

chi reggere potrà qui sulla terra?

 

            Ora che Cristo a me si è rivelato,

io con certezza tutto gli appartengo,

come consuma rapida una chiara

vita la tenebra senza confine.

Sono con Cristo divenuto un uomo;

il destino è da lui trasfigurato,

e l'India deve fiorire gioiosa

perfino nel Nord intorno all'amato.

 

            La vita diventa un'ora d'amore,

d'amore e gioia tutto il mondo parla.

Cresce un'erba che sana ogni ferita,

palpita colmo e libero ogni cuore.

Io rimango, per tutti i suoi mille

regali, pieno d'umiltà, suo figlio;

so che sarà presente in mezzo a noi

anche se solo due fossimo insieme.

 

            Oh, andate per tutte le strade

e riportate dentro chi è smarrito,

stendete a ognuno la mano, invitatelo

lietamente a venire in mezzo a noi.

Il cielo è qui con noi sulla terra,

lo contempliamo uniti nella fede;

e a quelli che con noi sono congiunti

in un'unica fede, si apre il cielo.

 

            Un senso antico, grave del peccato

ci stava in cuore saldamente impresso;

come ciechi erravamo nella notte,

da rimorso e passione insieme accesi.

Che l'uomo degli dei fosse nemico

ci sembrava, ogni azione delittuosa;

anche se il cielo sembrava parlarci,

parlava soltanto di morte e di pena.

 

            Nel cuore, ricca fonte della vita,

stava annidato un essere malvagio;

e se si illuminava il nostro spirito,

era solo inquietudine il suo frutto.

Saldamente inchiodava i prigionieri

tremanti a terra una catena ferrea;

la spada giustiziera della morte

ci atterrì, soffocando ogni speranza.

 

            Venne un figlio dell'uomo a riscattarci,

pieno d'amore e forza, un Salvatore;

nel nostro intimo un fuoco ha suscitato

che infonde nuova vita ad ogni cosa.

Vedemmo finalmente aperto il cielo

su di noi, come nostra antica patria;

provammo l'esultanza di sentirci

congiunti a Dio, di credere e sperare.

 

            E da allora per noi sparve il peccato,

fu gioioso ogni passo sulla terra;

si regalò, sul nascere, ai fanciulli

come il dono più bello questa fede;

da lei santificata, come un sogno

felice trascorreva ormai la vita;

e, votati ad amore e gioia eterna,

si avvertì appena l'ora del distacco.

 

            Sta ancora qui nel suo splendore

meraviglioso, il Santo, l'Amato;

per la sua fedeltà, la sua corona

di spine, siamo in lacrime, commossi.

Sia benvenuto ogni uomo che passa

e che afferra con noi la sua mano

per divenire maturando, accolto

nel suo cuore, un frutto del paradiso.

Was wär ich ohne dich gewesen?
Was würd ich ohne dich nicht sein?
Zu Furcht und Ängsten auserlesen
Ständ ich in weiter Welt allein.
Nichts wüßt ich sicher, was ich liebte,
Die Zukunft wär ein dunkler Schlund;
Und wenn mein Herz sich tief betrübte,
Wem tät ich meine Sorge kund?

 

Einsam verzehrt von Lieb und Sehnen,
Erschien mir nächtlich jeder Tag;
Ich folgte nur mit heißen Tränen
Dem wilden Lauf des Lebens nach.
Ich fände Unruh im Getümmel,
Und hoffnungslosen Gram zu Haus.
Wer hielte ohne Freund im Himmel
Wer hielte da auf Erden aus?

 

Hat Christus sich mir kund gegeben,
Und bin ich seiner erst gewiß,
Wie schnell verzehrt ein lichtes Leben
Die bodenlose Finsternis.
Mit ihm bin ich erst Mensch geworden;
Das Schicksal wird verklärt durch ihn,
Und Indien muß selbst im Norden
Um den Geliebten fröhlich blühn.

 

Das Leben wird zur Liebesstunde,
Die ganze Welt sprücht Lieb und Lust.
Ein heilend Kraut wächst jeder Wunde,
Und frei und voll klopft jede Brust.
Für alle seine tausend Gaben
Bleib ich sein demutvolles Kind,
Gewiß ihn unter uns zu haben,
Wenn zwei auch nur versammelt sind.

 

O! geht hinaus auf allen Wegen,
Und holt die Irrenden herein,
Streckt jedem eure Hand entgegen,
Und ladet froh sie zu uns ein.
Der Himmel ist bei uns auf Erden,
Im Glauben schauen wir ihn an;
Die Eines Glaubens mit uns werden,
Auch denen ist er aufgetan.

 

Ein alter, schwerer Wahn von Sünde
War fest an unser Herz gebannt;
Wir irrten in der Nacht wie Blinde,
Von Reu und Lust zugleich entbrannt.
Ein jedes Werk schien uns Verbrechen,
Der Mensch ein Götterfeind zu sein,
Und schien der Himmel uns zu sprechen,
So sprach er nur von Tod und Pein.

 

Das Herz, des Lebens reiche Quelle,
Ein böses Wesen wohnte drin;
Und wards in unserm Geiste helle,
So war nur Unruh der Gewinn.
Ein eisern Band hielt an der Erde
Die bebenden Gefangnen fest;
Furcht vor des Todes Richterschwerte
Verschlang der Hoffnung Überrest.

 

Da kam ein Heiland, ein Befreier,
Ein Menschensohn, voll Lieb und Macht,
Und hat ein allbelebend Feuer
In unserm Innern angefacht.
Nun sahn wir erst den Himmel offen,
Als unser altes Vaterland,
Wir konnten glauben nun und hoffen,
Und fühlten uns mit Gott verwandt.

 

Seitdem verschwand bei uns die Sünde
Und fröhlich wurde jeder Schritt;
Man gab zum schönsten Angebinde
Den Kindern diesen Glauben mit;
Durch ihn geheiligt zog das Leben
Vorüber, wie ein selger Traum,
Und, ewger Lieb und Lust ergeben,
Bemerkte man den Abschied kaum.

 

Noch steht in wunderbarem Glanze
Der heilige Geliebte hier,
Gerührt von seinem Dornenkranze
Und seiner Treue weinen wir.
Ein jeder Mensch ist uns willkommen,
Der seine Hand mit uns ergreift,
Und in sein Herz mit aufgenommen,
Zur Frucht des Paradieses reift.

 

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Goethe, I dolori del giovane Werther

 

Il pensiero sul suicidio contro la mediocrità

(12 agosto 1771 - libro primo)

 

Alberto è certamente il miglior uomo che esista sotto la volta celeste. Ieri ho avuto con lui una discussione che non dimenticherò. Andai a casa sua per prendere congedo, giacch‚ mi è venuta la fantasia di andare cavalcando per le montagne dalle quali ora ti scrivo: andando su e giù per la camera, mi caddero sotto gli occhi alcune pistole: "Prestamele per il viaggio", gli dissi. "Volentieri, mi rispose, se vuoi prender la pena di caricarle: io le tengo lì appese solo PRO FORMA".
Ne scelsi una, ed egli continuò: "da quando la mia previdenza mi ha giocato un brutto tiro, non voglio più avere a che fare con quegli strumenti".
Ero molto curioso di sapere la storia, ed egli raccontò: "Passavo la quarta parte dell'anno presso un amico, in campagna: avevo due pistole scariche e dormivo tranquillo. Una volta, durante un piovoso pomeriggio nel quale sedevo oziando, non so come, pensai che potevamo essere assaliti, che le pistole potessero esserci necessarie e che... basta, tu sai come vanno queste cose. Dò le armi al servitore perché‚ le ripulisca e le carichi: egli si mette a scherzare con le ragazze, vuole spaventarle e, Dio sa come, il colpo parte: la bacchetta che era ancora nella canna colpisce una povera ragazza ai muscoli della mano destra e le spezza il pollice. Ho dovuto ascoltare i lamenti e pagare la cura, e da allora lascio le pistole scariche.
- Mio caro amico, a che cosa serve la previdenza? Il pericolo non si lascia mai vedere per intero! Eppure...".
Ora tu sai che io amo molto Alberto, finch‚ non arriva ai suoi EPPURE: non è cosa di per se stessa evidente che ogni regola ha le sue eccezioni? Ma quell'uomo è così scrupoloso che quando crede di aver detto qualcosa di troppo azzardato o generico, e non completamente vero, non la finisce più di limitare, modificare, di aggiungere o di sopprimere, finch‚ di quanto ha detto non rimane più niente. E in questo caso si sprofondò proprio nel TESTO... io finii col non ascoltarlo più, mi misi a fantasticare, e con gesto rapido mi appoggiai alla fronte la canna della pistola, al di sopra dell'occhio destro. "Ebbene, che significa ciò?", esclamò Alberto strappandomi l'arma di mano. "è scarica", risposi. "E se pure è scarica, che vuol dire questo?" riprese impaziente, "io non posso ammettere che un uomo sia così pazzo da uccidersi: il solo pensiero mi rivolta..."
"Ma voi uomini, esclamai, quando parlate di qualche cosa, dovete sempre dire: è pazza, è savia, è buona, è cattiva! e questo che significa? Avete voi, che dite così, indagato i moventi interni di un'azione? Sapete scoprirne con certezza le cause, e capire perché‚ è avvenuta e perché‚ doveva avvenire? Se l'aveste fatto, non sareste così pronti a giudicare".
"Mi concederai, disse Alberto, che alcune azioni rimangano degne di biasimo, da qualunque motivo siano determinate".
Glielo concessi, scrollando le spalle. Pure continuai: "Vi sono sempre dei casi eccezionali. E' vero che il furto è un delitto. Ma l'uomo che ruba per salvare s‚ e i suoi che stanno per morire di fame, merita pietà o castigo? Chi scaglierà la prima pietra contro il marito che nella sua giusta collera immola la sua donna infedele e l'indegno seduttore? contro la fanciulla che in un'ora di voluttà si perde nelle indicibili gioie dell'amore? Le stesse nostre leggi, fredde e pedanti, si lasciano commuovere e sospendono la loro punizione!"
"Questo non c'entra, replicò Alberto, perché‚ un uomo che è in balìa delle passioni perde ogni forza di ragione, ed è considerato come in preda all'ebbrezza o al delirio".
"Oh le persone ragionevoli!, esclamai sorridendo. Passione! Ebbrezza! Delirio! Voi siete così impassibili, così estranei a tutto questo, voi uomini per bene! Rimproverate il bevitore, condannate l'insensato, passate dinanzi a loro come il sacrificatore e ringraziate Dio, come il fariseo, perché‚ non vi ha fatto simili a loro! Più di una volta io sono stato ebbro, le mie passioni non sono lontane dal delirio, e di queste due cose io non mi pento perché‚ ho imparato a capire che tutti gli uomini straordinari che hanno compiuto qualcosa di grande, e che pareva impossibile, sono stati in ogni tempo ritenuti ebbri o pazzi.
Ma anche nella vita comune, è insopportabile sentir dire ogni volta che qualcuno sta per compiere un'azione libera, nobile, inattesa: quell'uomo è ubriaco, è pazzo! Vergognatevi, uomini sobri e savi!"
"Ecco le tue solite fantasie, disse Alberto, tu esageri tutto, e in questo caso hai per lo meno il torto di paragonare il suicidio di cui ora è questione, con delle grandi gesta, mentre esso non può esser considerato che come una debolezza. poiché‚ certo è più facile morire che sopportare con fermezza una vita dolorosa".
Ero sul punto di interrompere il discorso, perché‚ niente mi mette così fuori dei gangheri come vedere qualcuno armato di insignificanti luoghi comuni mentre io parlo con tutto il cuore. Pure mi contenni, perché‚ molte volte ho sentito addurre quell'argomento e me ne sono indignato: risposi dunque alquanto vivamente: "Tu lo chiami una debolezza? Ti prego, non lasciarti ingannare dall'apparenza. Puoi chiamare debole un popolo che geme sotto il giogo di un tiranno se infine, fremendo, spezza le sue catene? Un uomo che nel terrore di vedere la sua casa in preda alle fiamme sente le sue forze centuplicate, e solleva facilmente dei pesi che a mente calma potrebbe appena muovere? e uno che nel calore dell'offesa ne affronta sei, e li vince, tu lo chiami debole? E, mio caro, se lo SFORZO costituisce la forza, perché‚ lo sforzo supremo dovrebbe essere il contrario?".
Alberto mi guardò e disse: "Non te ne avere a male, ma gli esempi che tu porti non hanno nulla a vedere col nostro discorso". "Può darsi, risposi, già più volte mi hanno detto che il mio modo di ragionare è spesso privo di logica. Vediamo se possiamo in altro modo figurarci quale coraggio deve avere un uomo che si decide a gettare il fardello della vita, che è generalmente gradito. perché‚ solo in quanto noi sentiamo una cosa, possiamo parlarne con giusto criterio.
La natura umana, continuai dunque, ha i suoi limiti: essa può sopportare la gioia, la sofferenza, il dolore fino a un certo punto, e soccombe se questo è oltrepassato. Non è questione di stabilire se un uomo è debole o forte, ma di vedere se egli può sopportare la sofferenza che gli è imposta, sia morale che fisica; e a me pare tanto strano dire che un uomo è vile perché‚ si toglie la vita, come troverei assurdo dire che è tale perché‚ muore di febbre maligna".
"Che paradosso!" esclamò Alberto.
"Non tanto quanto tu pensi, ribattei. Ammetterai che noi chiamiamo mortale una malattia la quale assale la nostra costituzione naturale in modo che le sue forze sono in parte distrutte e in parte sminuite nella loro attività: sicch‚ essa non può in alcun modo aiutarci n‚ riattivare, per mezzo di alcuna risoluzione, il corso della vita. Ebbene, amico mio, applichiamo questo allo spirito. Vedi quante impressioni agiscono sull'uomo nella sua limitata sfera, quante idee penetrano in lui, finch‚ una crescente passione non gli toglie ogni serena forza di pensiero e lo trascina alla sua perdita. Invano l'uomo libero da ogni cura e in possesso della sua ragione lo guarda con pietà, invano cerca di convincerlo con la persuasione. E' come un uomo sano che pur stando al letto di un infermo non può infondergli la minima parte delle sue forze".
Ma per Alberto queste erano idee troppo generali. Gli raccontai allora di una fanciulla che da poco tempo era stata trovata morta annegata, e ripetei la sua storia. Era una buona giovane creatura, cresciuta nell'angusta cerchia delle occupazioni casalinghe, nel lavoro di tutta la settimana, e che non aveva altra prospettiva ed altro piacere oltre quello di andare a volte la domenica, con le sue compagne, a passeggiare intorno alla città, abbellita da qualche ornamento messo insieme a poco a poco; di ballare forse una volta nelle feste solenni e di chiacchierare qualche ora da una vicina con vivacità ed interesse a proposito di una disputa o di una maldicenza. L'ardore della sua giovinezza le fa provare infine degli intimi desideri accesi dalle lunsinghe degli uomini. Le sue antiche gioie le sembrano sempre più insipide, e infine incontra un uomo verso il quale è irresistibilmente spinta da un sentimento sconosciuto e su cui posano tutte le sue speranze; dimentica il mondo intero, non ode, non vede, non sente che lui, non aspira che a lui, l'Unico. E poiché‚ non è corrotta dai vuoti piaceri di un'incostante vanità, il suo desiderio va dritto allo scopo, vuole essere di lui, vuole in un eterno legame raggiungere tutta la felicità che le manca e godere tutte le gioie alle quali aspira. Ripetute promesse, che coronano tutte le sue speranze, ardite carezze che accendono il suo desiderio, dominano tutta la sua anima; lei è in preda a un oscuro sentimento che le fa pregustare ogni gioia, si esalta al massimo grado, stende infine le braccia per cingere l'oggetto dei suoi desideri... e il suo amato la abbandona. Lei si stupisce e, come insensata, le pare di essere davanti a un abisso: tutto è tenebre intorno a lei; non ha nessun avvenire, nessun conforto, nessuna speranza, perché‚ l'ha lasciata colui nel quale si sentiva vivere. Non vede il vasto mondo che si stende davanti a lei, i molti che potrebbero consolarla della perdita subìta; si sente sola, abbandonata da tutti al mondo, e cieca, oppressa nell'angustia dell'orribile miseria del suo cuore, si precipita per distruggere tutti i suoi tormenti in una morte annientatrice. Vedi, Alberto, è questa la storia di molte persone! e non ti pare proprio lo stesso caso di una malattia? La natura non trova nessuna via d'uscita dal labirinto delle forze turbate e contrarie, e l'uomo deve morire.
Guai a colui che potrà dire, vedendo un simile evento: che pazza! se avesse aspettato, se avesse lasciato agire il tempo, la sua disperazione si sarebbe placata, qualche altro si sarebbe trovato per consolarla! Sarebbe lo stesso che dire: quel pazzo, è morto di febbre! se avesse aspettato finch‚ le forze gli fossero ritornate, i succhi vitali purificati, e calmato il tumulto del suo sangue! Egli vivrebbe ancora oggi e tutto sarebbe andato bene!".
Alberto, a cui il paragone non pareva appropriato, mosse ancora qualche obiezione; e fra l'altro disse che io avevo parlato di una semplice giovinetta, ma che egli non capiva come si sarebbe potuto scusare un uomo di criterio, di mente non così limitata, e che sa cogliere un maggior numero di rapporti.
"Amico mio, esclamai, l'uomo è uomo, e quel poco d'intellligenza che egli può avere serve poco o niente quando arde la passione e l'essere umano è spinto verso i confini della sua forza. Tanto più... Ma ne parleremo un'altra volta" dissi, e presi il cappello... Il mio cuore era gonfio e ci lasciammo senza esserci compresi. Ma del resto in questo mondo è difficile che gli uomini si comprendano.

 

 

 

Il suicidio del protagonista

(pagine finali del romanzo)

Verso le undici Werther domandò al suo domestico se Alberto era ritornato. Il servo disse: sì, ho sentito condurre nella stalla il suo cavallo. Allora Werther gli diede un biglietto aperto, su cui aveva scritto:
"Volete essere così gentile da prestarmi le vostre pistole per un viaggio che penso di fare? Addio, state bene".
La buona Carlotta aveva dormito poco la notte precedente: ciò che aveva temuto si era avverato, e avverato in un modo che lei non aveva potuto n‚ temere n‚ presentire. Il suo sangue fino allora puro e tranquillo era in una febbrile agitazione; mille diversi sentimenti agitavano il suo nobile cuore. Era forse il fuoco degli abbracci di Werther che lei sentiva nel petto? Era indignazione per il suo ardire temerario? era un doloroso paragone fra il suo stato presente e i giorni d'ingenua e libera innocenza e di tranquilla fiducia in se stessa? Come avrebbe potuto andare incontro a suo marito? Come informarlo di una scena che avrebbe potuto benissimo confessare, ma che non osava confessare neppure a se stessa? Per tanto tempo avevano taciuto uno verso l'altro; doveva essere lei per prima a rompere il silenzio e in un momento così inopportuno fare al marito l'inattesa rivelazione? Già temeva che la sola notizia della visita di Werther facesse al marito una spiacevole impressione: che sarebbe avvenuto alla notizia di una simile improvvisa catastrofe? Poteva lei sperare che il marito vedesse la cosa nella sua giusta luce e non giudicasse senza prevenzione? e poteva desiderare che egli le leggesse nell'anima? E d'altronde poteva lei dissimulare verso l'uomo agli occhi del quale era stata sempre aperta e trasparente come un cristallo e al quale non aveva mai nascosto n‚ mai potrebbe nascondere nessuno dei suoi sentimenti?
Tutte queste cose la riempivano di preoccupazione e di perplessità; e sempre il suo pensiero tornava a Werther che era perduto per lei, che lei non poteva lasciare, che doveva, ahim‚, lasciare a se stesso e al quale non sarebbe rimasto più nulla dopo averla perduta.
Quanto gli era stata dolorosa, bench‚ allora non fosse riuscita a spiegarsela, la freddezza sopravvenuta tra Werther e Alberto! Due uomini intelligenti e buoni, per alcuni segreti dissensi avevano cominciato col serbare il silenzio l'uno verso l'altro; ognuno pensava alle sue ragioni e ai torti dell'altro, i loro rapporti si erano turbati e inaspriti, ed era diventato impossibile sciogliere il nodo nel momento critico da cui tutto dipendeva. Se una dolce intimità li avesse presto avvicinati, se il loro affetto e la loro indulgenza reciproca si fossero ravvivati ed avessero aperto i loro cuori, forse il nostro amico avrebbe potuto ancora essere salvato.
Aggiungiamo a tutto questo un'altra circostanza singolare. Werther, come noi sappiamo dalle sue lettere, non aveva fatto un mistero del desiderio che egli aveva di lasciare questa vita. Alberto l'aveva sempre combattuto, e qualche volta Carlotta e il marito avevano parlato di questo. Alberto, che sentiva per il suicidio una forte avversione, aveva spesso, con vivacità assai strana per il suo carattere, espresso i suoi dubbi sulla sincerità di un simile proposito, e aveva comunicato a Carlotta la sua incredulità. Lei si tranquillizzava dunque quando al suo pensiero si presentava questa triste preoccupazione, ma d'altra parte le pareva che ciò le impedisse di comunicare al marito le ansie che la tormentavano in quel momento.
Alberto ritornò, e Carlotta gli andò incontro con una vivacità un poco imbarazzata; egli non era allegro, non aveva potuto concludere il suo affare, trovando nel vicino borgomastro un uomo inflessibile e minuzioso. Le cattive strade avevano aumentato il suo malumore.
Chiese se era successo nulla di nuovo, e lei gli rispose precipitosamente che Werther era venuto la sera prima. Alberto domandò poi se erano giunte lettere, e seppe che una lettera e dei pacchi si trovavano nella sua stanza; vi andò e Carlotta rimase sola. La presenza del marito che amava e stimava le aveva prodotto in cuore una nuova impressione; il ricordo della sua nobiltà d'animo, del suo amore e della sua bontà l'avevano calmata, e sentiva un segreto desiderio di seguirlo; prese il suo lavoro e andò nella stanza di lui come soleva fare. Lo trovò occupato ad aprire i pacchi e a leggere: alcuni sembravano avergli portato notizie poco piacevoli. Lei gli fece qualche domanda alla quale Alberto rispose brevemente, mettendosi a scrivere al suo tavolino.
Passarono così un'ora l'uno vicino all'altra, e l'animo di Carlotta diventava sempre più cupo. Lei sentiva come le sarebbe stato difficile dire al marito ciò che le pesava sul cuore anche se egli si fosse trovato nelle migliori disposizioni, e cadde in una malinconìa tanto più dolorosa in quanto si sforzava di nasconderla e di inghiottire le lacrime.
L'apparizione del domestico di Werther la gettò in una grande ansia; questi porse il biglietto ad Alberto che si volse tranquillamente alla moglie, e le disse: "Dagli le pistole", e al ragazzo disse: "Augurategli buon viaggio da parte mia".
Carlotta fu colpita come dal fulmine, si alzò vacillando, senza sapere che cosa le accadesse. Lentamente si avvicinò alla parete, prese l'arma, ne tolse la polvere, esitò e avrebbe indugiato ancora a lungo se Alberto non l'avesse scossa con uno sguardo interrogativo. Diede al domestico il funesto ordigno senza poter articolare parola, e appena egli fu uscito, piegò il lavoro e andò nella sua stanza in preda a un'incertezza senza fine. Il suo cuore le faceva presagire tutti gli orrori. Talvolta era sul punto di gettarsi ai piedi del marito e di rivelargli tutto: la storia della sera precedente, la sua colpa e i suoi presentimenti. Ma poi pensava che un simile passo non avrebbe avuto alcun risultato, e che mai lei poteva sperare di indurre il marito a recarsi da Werther. La tavola era già preparata e una buona amica che era venuta soltanto per chiedere qualcosa, che voleva andar via subito... e che restò, rese sopportabile la conversazione durante il pranzo: i commensali si fecero forza, parlarono, raccontarono e si distrassero.

Il servitore tornò con le pistole da Werther che gliele prese di mano con entusiasmo quando sentì che Carlotta stessa gliele aveva date. Si fece portare pane e vino, disse al domestico di andare a tavola, e si sedette per scrivere.

"Esse sono passate per le tue mani, tu le hai pulite dalla polvere, io le bacio mille volte: tu le hai toccate; e tu, spirito del cielo, favorisci la mia risoluzione! Tu, Carlotta, mi porgi l'arma, tu, dalle cui mani io desideravo ricevere la morte, e oggi ahim‚ la ricevo. Ho interrogato il mio servitore. Tu hai tremato quando gli hai dato le armi, tu non hai pronunciato alcun addio! Ahim‚, ahim‚! nessun addio! Doveva il tuo cuore chiudersi per me a causa di quel momento che mi ha legato a te per l'eternità? Carlotta, nessun volger di secoli potrebbe cancellare quell'impressione! E io sento che tu non puoi odiare colui che arde per te".

Dopo il pasto, egli ordinò al domestico di finire i bagagli, strappò molte carte, uscì e saldò qualche piccolo debito. Ritornò a casa, poi andò di nuovo fuori città e, nonostante la pioggia, si recò nel giardino del conte, passeggiò per la campagna, ritornò al cader della notte e scrisse.

"Guglielmo, per l'ultima volta ho visto i campi e la foresta e il cielo. A te pure il mio addio! Mia cara mamma, perdonatemi! Consolala, Guglielmo! Dio vi benedica! Tutte le mie cose sono in ordine. Addio! ci rivedremo, e saremo più felici".

"Perdonami, Alberto, io ti ho male ricompensato. Ho turbato la pace della tua casa, ho fatto nascere la diffidenza tra voi. Addio! voglio metter fine a questo stato di cose. Che la mia morte possa rendervi felici! Alberto, Alberto! rendi felice quell'angelo, e la benedizione divina ti accompagnerà!".

Passò ancora gran parte della serata frugando fra le sue carte, ne strappò molte e le gettò nel fuoco; suggellò alcuni pacchi diretti a Guglielmo. Essi contenevano piccole composizioni, pensieri staccati, parecchi dei quali ho visto; verso le dieci, dopo aver ordinato che fosse riattizzato il fuoco e che gli si portasse una bottiglia di vino, mandò a letto il servitore di cui la stanza, come tutte quelle degli altri domestici, era molto lontana, sul di dietro della casa. Egli andò a letto vestito per esser pronto molto presto perché‚ il signore gli aveva detto che i cavalli sarebbero stati davanti alla porta prima delle sei.

Dopo le undici.

"Tutto è silenzio intorno a me, e la mia anima è tranquilla. Ti ringrazio, mio Dio, di concedere ai miei ultimi istanti questo calore, questa forza.
Vado alla finestra, mia cara, e vedo, vedo attraverso le nuvole agitate dal vento, alcune stelle del cielo eterno. No, voi non cadrete! Iddio vi porta nel suo cuore, come porta pure me. Vedo le prime stelle del Carro, la più cara fra tutte le costellazioni. Essa stava dinanzi a me, in alto, quando la notte uscivo dalla tua casa e varcavo la soglia della tua porta. Con quale ebbrezza la guardavo! Quante volte, alzando la mano l'ho presa come segno, come sacro simbolo della mia felicità presente... e ora... O, Carlotta, tutto mi ricorda te: non ti sento, forse, intorno a me? e non ho conservato avidamente, come un fanciullo, mille piccole cose che tu avevi toccato?
E la tua cara SILHOUETTE! Te la dò Carlotta, e ti prego di farle onore. Mille, mille volte l'ho baciata, mille volte l'ho salutata quando uscivo o quando ritornavo a casa.
Ho scritto a tuo padre un biglietto pregandolo di proteggere il mio corpo. Vi sono due tigli nel cimitero, dietro, nell'angolo che dà sulla campagna: là desidero riposare; tuo padre può, e farà questo per il suo amico: pregalo anche tu. Non voglio costringere i pii cristiani a posare il loro corpo presso quello di un povero infelice. Vorrei che mi seppelliste sulla strada, o nella valle solitaria, che il Prete e il Levita passando si facessero il segno della croce, e il Samaritano versasse una lacrima.
Mi fermo qui Carlotta. Non fremo prendendo in mano il freddo, orrendo calice nel quale berrò l'ebbrezza della morte. Tu me l'hai dato, e io non esito. Così si compiono tutti i desideri e le speranze della mia vita; così batto, freddo e rigido, alla bronzea porta della morte.
Avessi avuto almeno la gioia di morire per te! Di sacrificare la mia vita per te! Morirei con coraggio, con gioia, se sapessi di procurarti la pace, la felicità della vita. Ma a pochi eletti è concesso di versare il loro sangue per coloro che amano e di procurare con la morte una vita nuova e feconda ai loro cari.
Voglio esser sepolto con questi abiti, Carlotta, tu li hai toccati e consacrati: anche di questo ho pregato tuo padre. La mia anima si librerà sulla mia tomba. Non mi si devono frugare le tasche. Il nastro rosa pallido che avevi in petto quando ti vidi per la prima volta fra i tuoi bambini... o, baciameli tanto, e racconta loro la storia dell'infelice amico. Cari! essi si affollano intorno a me. Ah, come mi legai a te, fin da quel primo istante non potevo più lasciarti! Quel nastro deve essere sepolto con me: tu me lo regalasti il giorno del mio compleanno, e come mi fu caro! Ah non immaginavo dove mi avrebbe condotto la via che seguivo! Sii calma, ti prego, sii calma!
Sono cariche. Battono le dodici! Il mio destino si compia! Carlotta, Carlotta, addio! addio!".

Un vicino vide il lampo e sentì il colpo; ma poiché‚ dopo tutto rimase tranquillo, non ci pensò più.
La mattina alle sei il domestico entrò col lume. Trovò il suo signore a terra, vide le pistole e il sangue. Chiamò, lo scosse: nessuna risposta. Corse dal medico, da Alberto. Carlotta udì suonare il campanello e un tremito la scosse in tutte le membra. Svegliò il marito, si alzarono e il servo diede loro la notizia tremando e piangendo: Carlotta cadde svenuta ai piedi di Alberto.
Quando il medico giunse presso l'infelice, lo trovò in uno stato disperato; il polso batteva, le membra erano tutte paralizzate. Egli si era colpito alla testa, sull'occhio destro, il cervello era saltato. Per precauzione gli fu aperta una vena al braccio: il sangue uscì: respirava ancora.
Dal sangue che era sulla spalliera della poltrona si pot‚ comprendere che egli si era colpito stando seduto alla scrivania; poi era caduto e si era rotolato convulsamente intorno alla poltrona. Giaceva supino presso la finestra, svenuto; era completamente vestito, in giacca blù e in panciotto giallo.
La casa, il vicinato, la città si commossero. Giunse Alberto. Werther era stato adagiato sul letto, con la fronte bendata; il viso era di un mortale pallore e non faceva alcun movimento. Il rantolo era ancora spaventoso, ora debole, ora più forte: si attendeva la fine.
Aveva bevuto soltanto un bicchiere di vino. Il dramma di Emilia Galotti era aperto sulla sua scrivanìa.
La commozione di Alberto, il dolore di Carlotta sono inesprimibili.
Il vecchio borgomastro accorso a cavallo, alla notizia, con calde lacrime baciò il morente. I figli più grandi giunsero subito dopo di lui a piedi, s'inchinarono presso il letto esprimendo acerbo dolore, gli baciarono le mani e la bocca, e il maggiore che egli aveva sempre prediletto, non si staccò dalle sue labbra fino all'ultimo respiro, e bisognò con la forza strapparlo di lì.
A mezzogiorno Werther morì. La presenza del borgomastro e gli ordini che diede calmarono l'agitazione della folla. La sera, verso le undici, egli fu sepolto nel luogo da lui designato. Il vecchio e i figli seguirono il feretro; Alberto non ne ebbe la forza: si temeva per la vita di Carlotta. Alcuni artigiani lo trasportarono, e nessun sacerdote lo accompagnò.

 

 

 

 

La natura 'benigna'

 

(10 maggio 1771 - libro primo)

La mia anima è pervasa da una mirabile serenità, simile a queste belle mattinate di maggio che io godo con tutto il cuore. Sono solo e mi rallegro di vivere in questo luogo che sembra esser creato per anime simili alla mia. Sono così felice, mio caro, così immerso nel sentimento della mia tranquilla esistenza che la mia arte ne soffre. Non potrei disegnare nulla ora, neppure un segno potrei tracciare; eppure mai sono stato così gran pittore come in questo momento. Quando l'amata valle intorno a me si avvolge nei suoi vapori, e l'alto sole posa sulla mia foresta impenetrabilmente oscura, e solo alcuni raggi si spingono nell'interno sacrario, io mi stendo nell'erba alta presso il ruscello che scorre, e più vicino alla terra osservo mille multiformi erbette; allora sento più vicino al mio cuore brulicare tra gli steli il piccolo mondo degli innumerevoli, infiniti vermiciattoli e moscerini, e sento la presenza dell'Onnipossente che ci ha creati a sua immagine e ci tiene in una eterna gioia. Amico mio, quando dinanzi ai miei occhi si stende il crepuscolo e posa intorno a me il mondo e il cielo tutto nell'anima mia come la sembianza di donna amata, allora spesso sono preso da un angoscioso desiderio e penso: Ah, potessi tu esprimere tutto questo, trasfonderlo sulla carta così pieno e caldo come vive in te, e fosse questo lo specchio della tua anima, come la tua anima è lo specchio del Dio infinito. Ma mi sprofondo in un abisso e m'inchino alla potenza dello splendore di questa visione.

 

(16 maggio 1771 - libro primo)

Tu conosci da tempo la mia abitudine di costruire, di innalzare, a caso, in qualche luogo tranquillo una capanna e di vivere lì con ogni ristrettezza: anche qui ho trovato un posticino che mi è convenuto.
Circa a un'ora dalla città vi è un luogo chiamato Wahleim [nota dell'autore: il lettore non si dia pena di ricercare i luoghi qui nominati: si è creduto necessario di cambiare i veri nomi che si trovano nell'originale. Fine della nota]. La sua posizione presso una collina è molto interessante e, quando si esce dal villaggio e si va su per un sentiero, si ha il colpo d'occhio di tutta la valle. Una buona ostessa che, pur essendo vecchia, è piacevole e vivace, offre vino, birra e caffè; ma, quello che più importa, sono due tigli che con i loro archi coprono la piccola piazza dinanzi alla chiesa che è circondata da case di contadini, fattorie, castelli. Non potrei facilmente trovare un posticino più intimo e segreto, di modo che dall'osteria faccio portar fuori il mio tavolino e una sedia, e lì bevo il mio caffè e leggo Omero.
La prima volta che per caso capitai sotto i tigli in un bel pomeriggio, trovai il luogo solitario. Tutti erano ai campi: soltanto un fanciullo di circa quattro anni sedeva per terra e fra le gambe ne teneva un altro di forse sei mesi, stringendolo con le braccia al petto in modo da fargli una specie di seggiola; e nonostante la vivacità con la quale egli volgeva attorno i suoi occhi neri, sedeva perfettamente tranquillo. Faceva piacere a vederlo; mi sedetti su un aratro che era lì di fronte e disegnai con vero godimento la scena fraterna. Vi aggiunsi la siepe che era vicina, una porta di fienile e alcune ruote rotte, così com'erano disposte, e dopo un'ora trovai che avevo fatto un disegno ordinato e interessante senza avervi messo nulla di mio. Questo mi ha confermato nel mio proposito di attenermi per l'avvenire unicamente alla natura. Essa soltanto è infinitamente ricca, essa sola forma il grande artista. Si può dir molto in favore delle regole; all'incirca quello che si può dire in lode della società civile: un uomo formatosi secondo le regole non farà mai nulla di assurdo e di cattivo, come chi si modella sulle leggi della buona creanza non sarà mai un vicino insopportabile, n‚ potrà divenire un vero scellerato; ma tutte le regole, si dica quello che si vuole, distruggono il vero sentimento e la vera espressione della natura.
Questo è troppo - dirai tu - esse non fanno che moderare, recidere i rami esuberanti eccetera. Caro amico, devo servirmi di un paragone? E' come l'amore! Un giovane si dedica completamente a una ragazza; passa tutte le ore del giorno presso di lei, usa tutte le sue forze e le sue facoltà per mostrarle che le appartiene interamente. Viene allora un filisteo, un uomo che occupa una carica importante, e gli dice: Mio carissimo signore: amare è umano, ma voi dovete amare virilmente! Dividete le vostre ore, datene alcune al lavoro, e dedicate alla fanciulla che amate quelle che vi restano libere. Contate i vostri averi e, con quello che vi rimane dopo aver provveduto al necessario, non vi proibisco di fare a lei un regalo, ma non troppo spesso, per esempio nel suo giorno natalizio e per il suo onomastico. Se il giovane segue il consiglio, potrà diventare un uomo utile e consiglierei al Principe di dargli un impiego. Ma è finita per il suo amore, e per la sua arte se egli è artista. Oh amici miei! perché‚ il torrente del genio così raramente straripa, così raramente spumeggia in grandi flutti e scuote le vostre anime stupite? Cari amici, è perché‚ sulle due rive abitano dei tranquilli signori, di cui le casette campagnole, le aiuole di tulipani e gli orti sarebbero devastati, ed essi sanno preservarsi dal minaccioso pericolo con argini e fosse costruite in tempo.

 

 

 

 

La natura 'matrigna'

(18 agosto 1771 - libro primo)

 

Doveva proprio avvenire che ciò che forma la felicità dell'uomo fosse anche la fonte della sua miseria? Il pieno, caldo sentimento che prova il mio cuore per la viva natura mi dava tanta gioia, trasformava in un paradiso il mondo intorno a me, e deve ora trasformarsi in un insopportabile strumento di pena, in uno spirito tormentatore che mi segue dappertutto? Quando io contemplavo una volta dalla roccia che sporge sul fiume la fertile vallata, e vedevo ogni cosa intorno a me germogliare e sgorgare; quando vedevo quei monti rivestiti di folti alberi dalla base alla cima, quelle valli dagli svariati contorni che amate foreste ombreggiavano, e il mite ruscello che scorreva tra canneti mormoranti e rispecchiava le graziose nuvole che il mite vento della sera cullava nel cielo; quando sentivo gli uccelli animare intorno a me la foresta e vedevo milioni d'insetti danzare allegramente nell'ultimo ardente raggio di sole, e il suo ultimo cadente sguardo liberare dal verde involucro il ronzante scarabeo, e il brulicare della vita mi faceva attento al suolo; e il muschio, che trae dalla dura roccia il nutrimento, e la ginestra che cresce sulle aride colline sabbiose, mi rivelavano l'intima, fiorente, sacra vita della natura: tutte queste cose io abbracciavo col mio cuore ardente, mi sentivo come divinizzato in quella copia di cose belle, e le splendide forme del mondo sconfinato si muovevano ravvivando ogni cosa nel mio animo. Monti enormi mi circondavano, abissi mi stavano dinanzi, torrenti tempestosi precipitavano, fiumi scorrevano ai miei piedi, la foresta e la montagna risuonavano; io vedevo tutte queste forze misteriose agire e creare all'unisono nelle profondità della terra, e poi sulla terra e sotto il cielo brulicare le razze delle svariate creature.
Tutto, tutto si popola di mille forme diverse; e gli uomini si rinchiudono sicuri nelle loro casette e immaginano di essere signori del mondo. Povero pazzo che giudichi ogni cosa ristretta perché‚ sei così piccolo! Dalla montagna inaccessibile al deserto che nessun piede ha calcato, all'estremo dell'ignoto oceano, alita lo spirito dell'eterno creatore e si rallegra di ogni grano di polvere che lo comprende e vive! Oh quante volte avrei voluto allora sulle ali della gru che volava sul mio capo, essere trasportato alla riva del mare sconfinato, bere alla coppa spumante dell'infinito l'ardente gioia di vivere, e solo per un istante far penetrare nel mio seno ristretto una stilla della beatitudine che prova l'essere il quale tutto crea in sé e per sé.
Fratello, il solo ricordo di quelle ore mi fa bene. Lo stesso sforzo che io faccio per risvegliare in me quei sentimenti ineffabili, per esprimerli ancora eleva l'animo mio, e mi fa doppiamente sentire l'angoscia dell'ora presente.
Mi sembra che dinanzi alla mia anima sia stato tirato un sipario e lo spettacolo della vita sconfinata si cambia davanti a me nell'abisso della tomba eternamente aperta. Tu puoi dire: questo esiste! quando tutto passa, quando ogni cosa scompare con la velocità del fulmine, e così raramente conserva l'integrità del suo essere, ed è travolta nel torrente e annientata contro le rocce? Non passa un istante che non distrugga te e i tuoi, non uno in cui tu non sia, non debba essere un distruttore; la più innocente passeggiata costa la vita a mille poveri insetti, un passo distrugge gli edifici delle formiche faticosamente costruiti, e seppellisce in una tomba ingloriosa tutto un piccolo mondo. Ah non le grandi rare catastrofi del mondo mi commuovono, non le inondazioni che inghiottiscono i vostri villaggi, non i terremoti che distruggono le vostre città; mi atterrisce la forza annientarice che è nascosta nell'essenza della natura; la quale non produce nessuna cosa che non sia distrutta dalla sua vicina, o che da se stessa non si distrugga. Così io vado barcollante e tormentato fra il cielo e la terra e le forze creatrici che mi circondano: e vedo soltanto un essere mostruoso che eternamente divora e rumina.

 

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Wordsworth e Coleridge, La ballata del vecchio marinaio (1798)

 

Prima parte: scoppia la tempesta e appare l'albatros

 

«Ed ecco che sopraggiunse la burrasca, e fu tirannica e forte.

Ci colpì con le sue irresistibili ali, e, insistente, ci cacciò verso sud.

 

Ad alberi piegati, a bassa prora, come chi ha inseguito con urli e colpi pur corre a capo chino sull’orma del suo nemico, la nave correva veloce, la tempesta ruggiva forte, e ci s’inoltrava sempre piú verso il sud.

 

 

Poi vennero insieme la nebbia e la neve; si fece un freddo terribile: blocchi di ghiaccio, alti come l’albero della nave, ci galleggiavano attorno, verdi come smeraldo.

 

E traverso il turbine delle valanghe, le rupi nevose mandavano sinistri bagliori: non si vedeva più forma o di bestia — ghiaccio solo da per tutto.

 

Il ghiaccio era qui, il ghiaccio era là, il ghiaccio era tutto all’intorno: scricchiolava e muggiva, ruggiva ed urlava. come i rumori che si odono in una sincope.

 

 

Alla fine un Albatro passò per aria, e venne a noi traverso la nebbia. Come se fosse stato un’anima cristiana, lo salutammo nel nome di Dio.

 

 

Mangiò del cibo che gli demmo, benchè nuovo per lui; e ci volava e rivolava d’intorno. Il ghiaccio a un tratto si ruppe, e il pilota potè passare fra mezzo.

 

E un buon vento di sud ci soffiò alle spalle, e l’Albatro ci teneva dietro; e ogni giorno veniva  a mangiare o scherzare sul bastimento, chiamato e salutato allegramente dai marinari.

 

Tra la nebbia o tra ’l nuvolo, su l’albero o su le vele, si appollaiò per nove sere di seguito; mentre tutta la notte attraverso un bianco vapore splendeva il bianco lume di luna.»

 

«Che Dio ti salvi, o Marinaro, dal demonio che ti tormenta! — Perchè mi guardi cosí, Che cos’hai?» — «Con la mia balestra, io ammazzai l’ Albatro!

 

«And now the storm-blast came, and he
Was tyrannous and strong:
He struck with his o’ertaking wings,
And chased us south along.

 

With sloping masts and dipping prow,

As who pursued with yell and blow

Still treads the shadow of his foe,

And forward bends his head,

The ship drove fast, loud roared the blast,

And southward aye we fled.

 

And now there come both mist and snow,

And it grew wondrous cold:

And ice, mast-high, came floating by,

As green as emerald.

 

And through the drifts the snowy clifts

Did send a dismal sheen:

Nor shapes of men nor beasts we ken—

The ice was all between.

 

The ice was here, the ice was there,

The ice was all around :

It cracked and growled, and roared and howled,

Like noises in a swound!

 

At lenght did cross an Albatross,

Thorough the fog it came;
As if it had been a Christian soul,

We hailed it in God’s name.

 

It hate the food in ne’er had eat,

And round and round it flew.

The ice did split with a thunder-fit;

The heilmsman steered us through!

And a good south wind sprung up behind;

The Albatross did follow,

And every day, for food or play,

Came to the mariners’ hollo!

 

In mist or cloud, on mast or shroud,

It perched for vespers nine;
Whiles all the night, through the fog-smoke white,

Glimmered the white moon-shine.»

 

«God save thee, ancient Mariner!

From the fiends, that plague thee thus!—

Why look’st thou so?» —With my cross-bow

I shot the Albatross

 

 

 

Seconda parte: il vecchio marinaio uccide l'albatros

 

A un tratto, il vento cessò, e cadder le vele; fu una desolazione ineffabile: si parlava soltanto per rompere il silenzio del mare.

 

 

Solitario in un soffocante cielo di rame, il sole sanguigno, non più grande della luna, si vedeva a mezzogiorno pender diritto sull’albero maestro.

 

 

Per giorni e giorni di seguito, restammo come impietriti, non un alito, non un moto; inerti come una nave dipinta sopra un oceano dipinto.

 

 

Acqua, acqua da tutte le parti; e l’intavolato della nave si contraeva per l’eccessivo calore; acqua, acqua da tutte le parti; e non una goccia da bere!

 

Il mare stesso si putrefece. O Cristo! che ciò potesse davvero accadere? Sì; delle cose viscose strisciavano trascinandosi su le gambe sopra un mare glutinoso.

 

Attorno, attorno, turbinosi, innumerevoli fuochi fatui danzavano la notte: l’acqua, come l’olio nella caldaia d’una strega, bolliva verde, blu, bianca.

 

 

E alcuni, in sogno, ebbero conferma dello spirito che ci colpiva così: a nove braccia di profondità, ci aveva seguiti dalla regione della nebbia e della neve.

 

E ogni lingua, per l’estrema sete, era seccata fino alla radice; non si poteva più articolare parola, quasi fossimo soffocati dalla fuliggine.

 

Ohimè! che sguardi terribili mi gettavano, giovani e vecchi! In luogo di croce, mi fu appeso al collo l’Albatro che avevo ucciso.

Down dropt the breeze, the sails dropt down

’Twas sad as sad could be;

And we did speak only to break

The silence of the sea!

 

All in hot and copper sky,

The bloody Sun, at noon,

Right up above the mast did stand,

No bigger than the Moon.

 

Day after day, day after day,

We stuck, nor breath nor motion;

As idle as a painted ship

Upon a painted ocean.

 

Water, water, everywhere,

And all the boards did shrick;

Water, water, everywhere,

Nor any drop to drink.

The very deep did rot: O Christ!

That ever this should be!

Yes, slimy things did crawl with legs

Upon the slimy sea.

About, about, in reel and rout

The death-fires danced at night;

The water, like a witch’s oils,

Burnt green, and blue, and white.

 

And some in dreams assured were

Of the spirit that plagued us so;

Nine fathom deep he had followed us

from the land of mist and snow.

 

And every tongue, through utter drought,

Was withered at the root;

We could not speak, no more than if

We had been chocked with soot.

 

Ah! well a day! what evil looks

Had I from old and young!

Instead of the cross, tha Albatross

About my neck was hung.

 

 

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Percy Bysshe Shelley, Ode al vento occidentale

 

I

0 wild West Wind, thou breath of Autumn's being,
Thou, from whose unseen presence the leaves dead
Are driven, like ghosts from an enchanter fleeing,

Yellow, and black, and pale, and hectic red,
Pestilence-stricken multitudes: 0 thou,
Who chariotest to their dark wintry bed

The wingèd seeds, where they lie cold and low,
Each like a corpse within its grave,until
Thine azure sister of the Spring shall blow

Her clarion o'er the dreaming earth, and fill
(Driving sweet buds like flocks to feed in air)
With living hues and odours plain and hill:

Wild Spirit, which art moving everywhere;
Destroyer and Preserver; hear, 0 hear!

 
II

Thou on whose stream, 'mid the steep sky's commotion,
Loose clouds like Earth's decaying leaves are shed,
Shook from the tangled boughs of Heaven and Ocean,

Angels of rain and lightning: there are spread
On the blue surface of thine airy surge,
Like the bright hair uplifted from the head

Of some fierce Maenad, even from the dim verge
Of the horizon to the zenith's height,
The locks of the approaching storm. Thou dirge

Of the dying year, to which this closing night
Will be the dome of a vast sepulchre
Vaulted with all thy congregated might

Of vapours, from whose solid atmosphere
Black rain, and fire, and hail will burst: 0 hear!

 
III

Thou who didst waken from his summer dreams
The blue Mediterranean, where he lay,
Lulled by the coil of his crystalline streams,

Beside a pumice isle in Baiae's bay,
And saw in sleep old palaces and towers
Quivering within the wave's intenser day,

All overgrown with azure moss and flowers
So sweet, the sense faints picturing them! Thou
For whose path the Atlantic's level powers

Cleave themselves into chasms, while far below
The sea-blooms and the oozy woods which wear
The sapless foliage of the ocean, know

Thy voice, and suddenly grow grey with fear,
And tremble and despoil themselves: 0 hear!

 
IV

If I were a dead leaf thou mightest bear;
If I were a swift cloud to fly with thee;
A wave to pant beneath thy power, and share

The impulse of thy strength, only less free
Than thou, 0 Uncontrollable! If even
I were as in my boyhood, and could be

The comrade of thy wanderings over Heaven,
As then, when to outstrip thy skiey speed
Scarce seemed a vision; I would ne'er have striven

As thus with thee in prayer in my sore need.
Oh! lift me as a wave, a leaf, a cloud!
I fall upon the thorns of life! I bleed!

A heavy weight of hours has chained and bowed
One too like thee: tameless, and swift, and proud.

 
V

Make me thy lyre, even as the forest is:
What if my leaves are falling like its own!
The tumult of thy mighty harmonies

Will take from both a deep, autumnal tone,
Sweet though in sadness. Be thou, Spirit fierce,
My spirit! Be thou me, impetuous one!

Drive my dead thoughts over the universe
Like withered leaves to quicken a new birth!
And, by the incantation of this verse,

Scatter, as from an unextinguished hearth
Ashes and sparks, my words among mankind!
Be through my lips to unawakened Earth

The trumpet of a prophecy! 0 Wind,
If Winter comes, can Spring be far behind?

 

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