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Numero 1

 

 

IL CORAGGIO DI CAMBIARE

 

 

Dal 16 al 18 Novembre si è svolto a Pesaro il 2° Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra. E’ questo, secondo me, un buon spunto di riflessione per capire cosa può aver significato per un simpatizzante quel congresso e cosa, soprattutto, potrà portare di nuovo nella vita politica nazionale e, perché no, anche locale. La mia si aggiunge alle numerose altre riflessioni che negli ultimi giorni hanno riempito la stampa nazionale e non sarà sicuramente, è meglio dirlo subito, alla loro altezza, perché chi scrive qui non ha né l’esperienza politica, né la cognizione specifica di chi ha scritto prima di me sull’argomento.

 

Numerosissime le questioni emerse a Pesaro, che meriterebbero attenzione, ma le principali, secondo me, sono le seguenti:

  • Il congresso è stato un appuntamento vero, nel quale si sono scontrati due modi di intendere il ruolo dei DS nel Paese, e non un semplice appuntamento formale, in cui legittimare l’elezione di un segretario e di un presidente.

  • Pesaro ha sancito, se ancora c’è ne fosse bisogno, che il Partito ha bisogno di un respiro internazionale e di qui la necessità di costruire effettivamente una forza riformista europea.

  • Obiettivo per i DS non può che essere il governo del Paese e questo obiettivo si raggiunge solo facendo parte di una coalizione come l’Ulivo

In Italia, da tempo, hanno preso piede movimenti giovanili no-global ed una forza di Sinistra non può ignorarli.

 

Fin qui un arido elenco puntato di argomenti, tutte cose sacrosante, ma cerchiamo ora di rifletterci su. 

I DS hanno una storia alle spalle così grande che mi meraviglierei se questa appartenesse a persone tutte omologate sul pensiero di un solo leader, persone disposte a seguire il “capo” in tutto e per tutto: non sto mica parlando di un Partito nato via fax dalla Tunisia. I passaggi dei discorsi congressuali del segretario Fassino e di Giovanni Berlinguer (per fare solo due nomi) spero abbiano chiarito quale sia lo spessore necessario per far parte del gruppo dirigente del partito.

 

Già, tutte persone capaci. Ma allora mi chiedo: perché si è scesi nel consenso elettorale ad un misero 16%? Troppi questi dirigenti? Troppo ingombrante Massimo D’Alema?

 

Certamente una forza politica che vuol governare deve contare sui migliori uomini che concorrono alla causa comune. Allora il problema è capire se c’è una causa comune. Il picchettio leggero ma continuo ai diritti dei lavoratori, la riforma della Scuola Pubblica per privilegiare quella privata, gli attacchi alla Magistratura, una volta difesa con i cappi in Parlamento dai deputati di Destra, oggi messa in discussione per difendere interessi privati: bastano questi fenomeni (ben inteso, solo alcuni fra quelli da ricordare) a costituire una causa comune? E’ più importante opporsi a queste riforme del Centro-Destra oppure continuare a discutere se per D’Alema è opportuna la poltrona da Presidente del Partito, il banco in ultima fila in Parlamento o altro? (come se D’Alema dovunque lo si metta, in barca, al mare, al ristorante o in Parlamento non resti sempre se stesso: arrogante, tagliente, leader).

 

Allora sorge in me un dubbio: non sarà che l’elettorato diessino non parla più la stessa lingua del suo gruppo dirigente? Parlo di elettorato e non di tesserati al Partito, perché con questi ultimi al massimo si può, tranne in poche isole felici, vincere e diventare amministratore in un condominio.

 

Il popolo di Sinistra si esalta ascoltando il discorso tenuto a Pesaro da Giuliano Amato, si inorgoglisce perché i suoi deputati hanno appoggiato in Parlamento il primo Governo Amato, quello che ha posto le fondamenta per l’entrata dell’Italia in Europa. Lo stesso popolo, però, si mostra freddo e distaccato quando a prevalere nelle sezioni sono i burocrati e i funzionari di Partito, che ormai dovrebbero appartenere solo alla memoria e che invece, spinti da vento favorevole, possono diventare segretari provinciali senza, tuttavia, avere il carisma di un leader.

Questa, secondo me, è la vera sfida da affrontare: dare la certezza che gli interessi del cittadino elettore abbiano precedenza su ogni interesse personale del politico. Vinta questa sfida, con un buon consenso, si potranno trovare tutti gli appellativi che si vuole per il Partito: socialdemocratico, riformista, europeo e altro ancora. Si eviterà così di parlare sempre di “svolta”, anche perché a furia di svoltare ci si rigira sempre su se stessi. Penso che lo slogan “o cambiare o morire” di Fassino volesse significare anche questo.

 

Altre due questioni mi stanno a cuore. La prima può essere così sintetizzata.

Quando abbiamo a che fare con un politico che della battaglia al clientelismo e al cattivo utilizzo di denaro pubblico ha fatto una propria ragione di vita, un politico alla Frisullo per intenderci, è giusto fargli mancare il nostro appoggio pieno? Non sarà che siamo convinti che questo sia il migliore dei mondi possibili e ci siamo rassegnati a nuotare in acque così torbide? La mia è un’opinione personale e sarei lieto di venire smentito dai miei concittadini.

 

La seconda questione riguarda i rapporti all’interno dell’Ulivo. Dobbiamo rischiare di non poter più diventare neanche amministratori di condominio per intraprendere, DS in testa, una collaborazione seria? Che si lavori insieme, fosse anche per il mio sogno personale di sentire i nomi degli onorevoli Sinisi e Casciaro agli onori della gloria in qualche adunanza pubblica. Per quanto riguarda il movimento no-global attendo di leggere, magari su questo giornale, un articolo sull’argomento. Sarà quella l’occasione per un confronto sulla possibilità, se esiste, di un dialogo fra una simile forza spontanea di dissenso e movimenti politici “tradizionali”.

 

Ultimissima cosa. Chiedo scusa ai lettori per non aver adoperato nell’articolo termini tipo post-neo- comunista e vetero-marxista, così tornati di moda nella nostra città da un anno a questa parte. Mi sembravano fuori luogo. Tutto qui.

 

 

Massimiliano Calò

 

 

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