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Numero 1

 

 

ARTE, STORIA ED AUSPICI:

“I FRUTTI DEL BUON GOVERNO”

 

 

Siamo nell’anno del signore 1774, quando muore senza eredi l’ultimo dei Protonobilissimo, il principe di Muro Giovan Battista IV, tra il gaudio dei muresi per i motivi che verrò esponendo.

 

Sconsolata invece la moglie Irene Pignatelli, non sappiamo se più per la morte del marito o perché, non avendo eredi diretti, il feudo fu devoluto al demanio regio quello stesso anno.

Per ben 80 anni il simbolo stesso dei principi, il Palazzo posto nella principale piazza del paese, quasi a ricordare, con la sua mole, la presenza costante della loro influenza sui popolani del tempo, rimase vuoto e forse di tanto in tanto visitato dai Governatori regi e principeschi o dai loro fiduciari (c’è da precisare che il 3/10/1797 Ferdinando IV donò il feudo al principe Antonio Maria Pignatelli di Belmonte).

 

Nell’anno 1854, parola del caro Luigi Maggiulli, il Cav. Achille Tamborrino acquista il Palazzo Protonobilissimo dall’ultimo erede dei principi della terra di Muro, D. Francesca Paolina Pignatelli.

Probabilmente, Donna Francesca ed i suoi avi, non erano mai venuti a visitare Muro, poiché era solo un piccolo possedimento di cotanta proprietà di cui essi erano dotati. Infatti, differenza abissale tra i Protonobilissimo e i Pignatelli di Belmonte era che i primi, a differenza dei secondi, amministravano i loro feudi da Muro, quasi fosse la piccola capitale del loro Principato.

 

Spicchiamo un salto temporale di una trentina d’anni. Questa volta ci troviamo a Maglie, nel palazzo del Senator Comm. Achille Tamborrino insieme all’esimio Prof. Cosimo De’ Giorgi, che riferisce di aver visto, in questa sontuosa dimora, alcune tele del pittore murese Liborio Riccio.

Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Ora qui è lecito avere dei dubbi: cosa ci fanno delle tele del sacerdote don Liborio nel palazzo del Tamborrino?

 

Diede una parziale risposta al quesito l’Antonaci menzionando le sole tele delle stagioni conservate in casa Tamborrino a Maglie. Il de Bernart, oltre alle tele delle Stagioni, menziona anche quelle delle Virtù: Giustizia, Carità, Pace, Abbondanza. In realtà le “virtù” che il de Bernart menziona, sembrano essere tre, non quattro, e di queste, l’Amore verso Dio è confusa con la Pace (tra l’altro l’Amore verso Dio è presente anche nella chiesa matrice di Muro con gli stessi attributi iconografici). L’ultima, l’Abbondanza, non credo possa essere annoverata pienamente tra le virtù.

 

Cerchiamo ora di approfondire l’argomento con deduzioni verosimili: proprio per i motivi che prima ho descritto, la nobil donna, estranea all’ambiente murese, vendette oltre al palazzo anche annessi e connessi, pertanto il Tamborrino - che faceva parte di quella ricca borghesia di metà ottocento, che era disponibile ad accaparrarsi quanto il mercato gli offriva, acquistando, spesso, vuoi da una nobiltà decadente, vuoi beni dei soppressi ordini religiosi, cercando con ciò d’elevarsi di rango tramite questa nuova forma di Collezionismo di Rappresentanza” - non divenne solo proprietario della dimora principesca, ma di sicuro anche dei principeschi arredi e delle tele sopra mentovate.

 

Il segno, che può fornire una risposta definitiva al quesito prima sollevato e che mi fa pensare che il ciclo allegorico riccesco provenga da Muro e sia una precisa commissione del principe al pittore, riguarda non tanto le Stagioni, che hanno un chiaro intento decorativo, quanto le Virtù.

Presumibilmente realizzato verso la fine degli anni 60 del ‘700 fa parte di quella moda, che era invalsa tra le famiglie nobili, di rinnovare le proprie dimore per motivi di prestigio. Immaginiamolo nel gran salone di rappresentanza, del piano nobile del palazzo, bellamente attorniato dal resto degli altrettanto begli arredi, con il principe che riceve qualche suo illustre ospite.

Le Virtù potremmo definirle l’allegoria de i frutti del buon governo che mediante questo il principe poteva dare ai propri sudditi. Cosa non rara per uomini di potere, possedere dei cicli allegorici di questo genere.  

Descrivo l’allegoria per come l’ho potuta sciogliere ed interpretare:

  • Cominciamo con la Giustizia: è d’origine naturale, viene acquisita dalla persona e fa parte delle virtù di governo.

  • La Carità verso il prossimo: è d’origine sovrannaturale, e fa parte delle virtù pubbliche.

  • L’Amore verso Dio: deve prevalere sull’amore concupiscente e sugli interessi propri.

  • Per ultima l’Abbondanza, vale a dire i frutti del buon governo: essa può manifestarsi se le tre virtù sono state attuate degnamente.

Ahilui, queste virtù il Protonobilissimo, a quanto pare, non le ebbe mai, tanto che Re Ferdinando IV lo fece chiamare a Napoli, per giusto reclamo d’abusi che l’Università murese aveva presentato al monarca.  

Stessa sorte capitò al ben più ampio e maestoso ciclo della “Gerusalemme Liberata” del Finoglia (1590-1645), appartenuto agli Acquavia d’Aragona di Conversano. Venduto intorno al 1930, dopo non poche vicissitudini riacquistato dal Comune di Conversano nel 1974, ora fa bella mostra di sé nel castello di quella città per la quale era stato realizzato.  

Purtroppo quest’opera riccesca di pregevole fattura, è solo conosciuta dagli studiosi del settore e per questo ho voluto approfittare di questo nuovo mezzo di comunicazione, cui porgo i migliori auguri, per renderla nota e far incuriosire i lettori sulla storia della stessa.  

Concludo con una domanda, sperando in una risposta: cosa ne pensano i muresi, se almeno il ciclo allegorico delle “Virtù e delle Stagioni” del Riccio, (pensare anche al resto degli arredi credo sia quasi utopistico) avesse la stessa sorte di quello di Conversano e ritornasse al palazzo del Principe, prossima sede dell’Amministrazione Comunale?

Fateci sapere! Vi ringrazio per la pazienza.

 

Santo Patella

 

 

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