Il governo spiega ai lettori del Barbiere la legge sugli uffici stampa nella P. A.

Ecco perche' nei suoi uffici stampa
lo Stato vuole giornalisti iscritti all'Ordine

di Raffaele Cananzi, 
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri


 

11 Gennaio 2001

Intervengo volentieri sul vostro giornale on line per contribuire a fare chiarezza sullo spirito della legge sulla comunicazione istituzionale approvata dal Parlamento nel giugno scorso, non potendomi sottrarre ad alcune indispensabili precisazioni su quanto detto dal Presidente di un’associazione italiana degli operatori delle relazioni pubbliche Muzi Falconi, che si è purtroppo lasciato andare ad inaccettabili considerazioni sulla mia persona che, per correttezza, ritengo debbano rimanere estranee ad ogni dibattito “politico”. 

LA LEGGE
che ho contribuito a far approvare, insieme ai colleghi parlamentari Di Bisceglie e Frattini, insieme all’altro sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Vannino Chiti, e con il concorso di una maggioranza tra forze politiche di schieramenti diversi, è un atto normativo semplice e chiaro negli intenti e nelle motivazioni. 

Nel quadro generale della riforma della Pubblica Amministrazione portata avanti dal Ministro Bassanini, per ciò che attiene la comunicazione e l'informazione degli uffici pubblici sia all'interno dell'amministrazione, sia all’esterno, e cioè quella rivolta direttamente ai cittadini e quella invece –sempre rivolta ai cittadini- ma mediata attraverso gli organi di informazione, in Parlamento si è sentita forte la necessità di puntare ad una maggiore trasparenza e imparzialità, ed imprimere una rinnovata efficacia al processo di creazione-comunicazione-fruizione delle informazioni dall’ente pubblico al cittadino. 

Oggi trovare su Internet leggi e circolari della P.A. è sicuramente una delle manifestazioni evidenti di questa rivoluzione nel rapporto tra cittadino e amministrazione. 

Ma la comunicazione avviene anche e soprattutto attraverso i canali classici dell’informazione: come appunto i mass-media, oppure attraverso il rapporto diretto, chiamiamolo di sportello per semplificazione, tra il cittadino e l’ufficio pubblico. La legge 150 prevede che le pubbliche amministrazioni, centrali e periferiche, ma anche gli enti locali che vorranno dotarsene, dovranno istituire alcuni uffici chiamati delle relazioni con il pubblico (Urp), dove personale adeguatamente qualificato risponderà con informazioni certe e verificate, cortesia e competenza, alle richieste che proverranno dai cittadini-utenti. E’ una sfida? Diciamo di sì. 

Se cercheremo di impiegare in quello che è il biglietto da visita di un’amministrazione, le relazioni con il pubblico, personale selezionato e motivato per scelta e non per costrizione a trattare con il pubblico, in futuro potremo augurarci di dire addio alle spallucce infastidite di qualche impiegato annoiato dal rapporto con l’utenza che né per vocazione, né per abito mentale è abituato a sostenere. 

Con un concetto che qualcuno può ritenere retorico, non per me che ho lavorato una intera vita nella PA come avvocato
dello stato, l’amministrazione deve diventare sempre più “casa di vetro”, o per cercare di dirla da comunicatore “un grande fratello" osservato da milioni di cittadini: nelle pieghe, negli errori, nelle tante cose buone che ogni giorno produce. In questi uffici, in base al regolamento che come governo stiamo approntando, saranno destinati esperti in relazioni pubbliche formati nelle Università o nelle scuole superiori della Pa con master o corsi di perfezionamento. E’ sicuramente una novità, un’innovazione positiva quanto alla qualità e alla formazione del personale. 


GLI UFFICI STAMPA. 
Un altro aspetto particolarmente importante della comunicazione nella Pa è quello della informazione agli organi di stampa e quindi al cittadino come fruitore finale del messaggio. Se il messaggio ha origine dalla Pa in modo chiaro, imparziale, verificato, esatto, arriverà ai mass-media e poi al cittadino nello stesso modo. Tranne ovviamente casi di possibile manipolazione che si espongono al diritto-dovere di rettifica. 

La legge 150 per favorire questa imparzialità e trasparenza, ma anche una verifica con gli strumenti più adatti nell’acquisizione delle informazioni dalla Pa, ha previsto che negli uffici stampa della Pa, che sia chiaro non è un ente privato dove la propagazione delle notizie risponde al solo criterio dell’interesse dell’azienda, possa accedervi, ovviamente per i compiti propri di questa attività, personale giornalistico regolarmente iscritto all’albo nazionale. 

Non vi è nulla di scandaloso: se negli uffici legali della Pa di norma vi sono avvocati, negli uffici stampa andranno i giornalisti. 

Finora vi veniva  collocato personale impiegatizio, spesso distaccato, in alcuni casi senza una specifica competenza nelle materie dell’informazione e della comunicazione. Il legislatore ha rinvenuto nell’iscrizione all’ordine dei giornalisti –così come sarebbe potuto avvenire in casi diversi per l’ordine degli ingegneri o dei veterinari- quei requisiti indispensabili a contribuire ad una maggiore garanzia di imparzialità, di trasparenza e di conoscenze professionali nel processo di acquisizione e poi di comunicazione, cioè di divulgazione delle notizie dall’amministrazione ai mass-media, e quindi a tutti i cittadini. Soprattutto a garanzia del cittadino, non del giornalista

Il dovere di vigilanza dell’ordine dei giornalisti sui propri iscritti è una tutela in più che l’imparzialità, la verifica delle notizie, la trasparenza nei confronti dei destinatari delle stesse sia rispettata. 

Sono a conoscenza delle critiche che piovono sull’ordine dei giornalisti come su tutti gli altri ordini che raggruppano categorie professionali; in nome di un liberismo totale alcuni ben ne vedrebbero la cancellazione: non la penso, né il governo la pensa così. Vi è un disegno di legge per la riforma degli ordini professionali, e non certo per la cancellazione, che sta portando avanti bene il ministro della Giustizia. 

Per quel
che riguarda i giornalisti è in dirittura d’arrivo una riforma dell’accesso alla professione giornalistica, raccordata con il ministero dell’Università: una laurea ad hoc in giornalismo più un percorso di formazione sul campo, poi l’esame di stato per l’idoneità. La condivido pienamente: un buon giornalista vale e varrà quanto un buon medico o un buon avvocato, ed in una solida democrazia ne abbiamo davvero bisogno. 

Il personale che oggi nella Pa svolge già questi compiti di addetto agli uffici stampa, non ha nulla da temere, rimarrà al proprio posto; dovrà solo, se eventualmente non in possesso del requisito di iscrizione all’ordine dei giornalisti, frequentare un corso di riqualificazione presso una delle scuole superiori della Pa o presso altre strutture riconosciute. 

Per quel che riguarda l’accesso nella Pa non è cambiato nulla, per tutte le figure dirigenziali, e quindi anche negli uffici stampa, è prevista la laurea come requisito culturale. Anche in questo caso non vi è alcun “favor” nei confronti dei giornalisti. 

PRECISAZIONI.

I giornalisti iscritti all’ordine, in possesso degli altri requisiti culturali previsti, potranno accedere negli uffici stampa della Pa; negli uffici delle relazioni con il pubblico (Urp) potrà accedere invece personale specificamente formato nelle relazioni pubbliche. 

E’ vero, nella Finanziaria c’è stata la presentazione di un emendamento a nome del governo, e di cui non ero a conoscenza, che avrebbe consentito anche a coloro che esercitano attività di comunicazione, e cioè operatori delle relazioni con il pubblico, di entrare negli uffici stampa della Pa.

In contrasto con quanto previsto dalla legge 150 all’art. 9 questa modifica avrebbe consentito a questi operatori, raggruppati in associazioni a carattere privatistico, di essere annessi all’elenco speciale previsto dalla legge istitutiva dell’ordine dei giornalisti nel 1963, e dedicato esclusivamente a coloro che temporaneamente esercitano le funzioni di direttori responsabili di testate a carattere tematico, ad esempio scientifico. 

Un modo attraverso il quale dei non giornalisti sarebbero “temporaneamente”  diventati iscritti all’ordine dei giornalisti; sempre con lo stesso emendamento si prevedeva una modifica all’art. 9 della legge 150 per consentire anche agli operatori delle relazioni pubbliche di entrare negli uffici stampa della Pa, lo stesso emendamento prevedeva poi una modifica della legge 416/80 sull’editoria per permettere a questi operatori di entrare nell’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi).

La Presidenza del Senato ha giudicato inammissibile per materia questo emendamento; non ne ho approfondito i motivi, posso immaginare che tra la legge di bilancio dello stato (Finanziaria) e un emendamento che incideva sulla legge istitutiva dell’ordine dei giornalisti, e su altre leggi concernenti l’informazione e l’editoria in generale, c’erano, forse, non molti punti di contatto.

Sui rapporti di
“fraterna amicizia” che - secondo Muzi Falconi- mi legherebbero al Presidente del Senato è preferibile glissare: i meccanismi istituzionali in Parlamento sono così delicati e costituzionalmente importanti da metterci fortunatamente al riparo da certe banalità

Sulla presunta impossibilità dei cittadini comunitari a poter esercitare la stessa attività lavorativa anche in Italia ribadisco quanto già detto: il cittadino comunitario giornalista potrà concorrere, come tutti i giornalisti italiani in possesso dei titoli richiesti, ad entrare negli uffici stampa della Pa.
 
Il cittadino comunitario che esercita la professione di giornalista ma non è iscritto all’Ordine dei giornalisti perché inesistente nel Paese di origine, e che intende entrare in un ufficio stampa della Pa italiana si provvede con quanto in linea generale dispone l’art. 37 del decreto legislativo n. 29 del 1993 al comma 3: “Nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all’equiparazione dei titoli di studio e professionali si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta dei ministri competenti. 

Con eguale procedura si stabilisce l’equivalenza tra i titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell’ammissione al concorso e della nomina”. Il cittadino comunitario, esperto invece in relazioni pubbliche, ed in possesso dei titoli culturali richiesti ed equipollenti, potrà ambire ad entrare negli uffici per le relazioni con il pubblico (Urp) della Pa previsti dalla legge 150 e dal regolamento di prossima approvazione.  

On. Avv. Raffaele Cananzi , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri


12 Gennaio 2001

Gli chiedo scusa per le 'inaccettabili considerazioni sulla mia persona' e provo, a beneficio dei tuoi lettori, a precisare alcuni punti.
1.
Non sono presidente di 'una associazione di operatori di relazioni pubbliche'. Sono presidente della Ferpi, l'unica associazione degli operatori delle relazioni pubbliche, fondata nel 1970, forte di 1000 soci fra dirigenti di organizzazioni pubbliche e private, di associazioni, di società di consulenza e di liberi professionisti, che rappresenta il nostro Paese in tutti i consessi internazionali di persone che operano nelle relazioni pubbliche.

2.
La distinzione fra comunicazione rivolta ai cittadini e quella mediata attraverso gli organi di stampa, che secondo Cananzi è il principio ispiratore della 150 è, nei fatti, inconsistente anche dal punto di vista scientifico.
Qualsiasi organizzazione (volente o nolente, privata o pubblica) comunica con i suoi pubblici influenti: con coloro che mediante comportamenti, opinioni, azioni o decisioni possono influenzare il raggiungimento dei suoi obiettivi. Qualche volta lo fa in modo consapevole, e quindi si dota di professionisti dedicati, presumendo che gli obiettivi possano essere più efficacemente raggiunti.
Prima ancora di decidere se la comunicazione è diretta o indiretta, è quindi necessario segmentare i diversi segmenti di pubblico, con i quali, di volta in volta, l'organizzazione dialogherà direttamente e/o per via mediata, in modo coordinato. La 150 non fa cenno a questo elemento primario e fondamentale, che richiede coordinamento, coerenza e un disegno unitario e, purtroppo, da questa 'omissione' deriva larga parte della sua fragilità e obsolescenza.

3.
Il Senatore Cananzi omette di dire che gli URP (uffici relazioni con il pubblico) non  nascono con la 150, ma esistono da dieci anni. Doverosamente, la 150 prende atto della loro esistenza e ne allarga le competenze da ufficio informazioni a struttura di ascolto, di elaborazione e di sviluppo delle relazioni fra organizzazione e pubblici influenti. Che il Senatore Cananzi insista a ritenere l'URP un 'biglietto-da-visita', un ufficio 'dove personale adeguatamente qualificato risponderà...alle richieste che proverranno dai cittadini-utenti' è inspiegabile e anche in contrasto anche con la lettera della 'sua' legge.

4.
Rispetto agli uffici stampa, sono certo che i giornalisti italiani saranno felici di apprendere che il governo attribuisce loro il fondamentale ruolo di passacarte, visto che 'se il messaggio ha origine dalla Pa in modo chiaro, imparziale, verificato, esatto, arriverà ai mass-media e poi al cittadino nello stesso modo' senza dimenticare che sono anche previsti per i reprobi 'ovviamente casi di possibile manipolazione che si espongono al diritto-dovere di rettifica'. Per rispetto verso i tuoi lettori, caro Figaro, non commento...ma forse dovresti farlo tu...
5.
Due ultime considerazioni:
 
a- l'approccio del Senatore prescinde dal dato di fatto che da cento anni esiste una netta separazione, in tutto il mondo e anche in Italia, fra il ruolo del giornalista e quello dell'ufficio stampa. In nessun Paese questo viene messo in discussione, anche perchè gli stessi giornalisti sarebbero assaliti da irrefrenabili conati. In Italia, per (quello che a me pare) un piatto di lenticchie -qualche posto al riparo da un mercato sempre più competitivo a spese dello Stato-, i giornalisti hanno abdicato a questa autonomia e legittimato chiunque a sostenere che il giornalismo italiano sia -di fatto- un gigantesco ufficio stampa.
 
b- non casualmente, nella illustrazione dello 'spirito della 150' il senatore Cananzi glissa (come peraltro ho fatto anch'io fino ad oggi per ragioni di buon vicinato) su una cosa (a mio avviso) grave. La 150 prevede non due, ma tre qualifiche professionali diverse: l'urp, l'ufficio stampa e il portavoce. Di quest'ultimo nessuno parla, anche perchè la legge è vaga. Si intuisce solo che si tratta del 'portavoce' del vertice politico dell'organismo pubblico, prevedibilmente, se tanto mi dà tanto, un altro giornalista...
 
Dunque, con l'attuazione della 150, nella intepretazione del Senatore,  le amministrazioni pubbliche avranno ben tre categorie di comunicatori: il portavoce del vertice politico, il giornalista che parlerà con se stesso e trasferirà tramite sé stesso ai lettori i suoi elaborati ufficiali e lo sportellista che risponderà alle richieste del cittadino.
La legge non prevede, né prescrive, alcun tipo di coordinamento, di coerenza, di concertazione.
Per placare le ambizioni di qualche burocrate dell'amministrazione e per ingraziarsi un Ordine in caduta verticale di credibilità e di utilità sociale, il Governo ha combinato un bel pasticcio...c'è solo da sperare che gli operatori, come talvolta accade, siano migliori dei loro legislatori.
Toni Muzi Falconi
 

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