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Gli arredi, i costumi e la recitazione dal medioevo al rinascimento
Dispensa: I costumi e la recitazione dal medioevo al rinascimento
Pagina web con riferimenti bibliografici ai costumi di scena
Nel dramma medievale, i personaggi non umani avevano sempre delle maschere: gli angeli, Dio e Cristo aevano maschere dorate mentre Lucifero e i diavoli avevano maschere con corna e anche con due facce. Le maschere aiutavano anche a separare l’attore dal suo personaggio e, nel caso in cui più attori recitassero la stessa parte, la maschera serviva ad uniformare l’interpretazione del personaggio. Allo stesso scopo si usavano corone da re, aureole, parrucche etc. in modo che la funzione del personaggio all’interno del dramma fosse inequivocabile.
Gli attori elisabettiani erano sicuramente vestiti in modo fastoso, infatti i puritani che si opponevano al fenomeno teatrale criticavano spesso lo sfarzo dei costumi di scena. Alcuni pensano che questi costumi fossero di foggia contemporanea ma vi sono testimonianze che indicano l’uso di costumi ‘storici’ o addirittura inventati. L’unico disegno contemporaneo a questo proposito fu eseguito da Henry Peacham nel 1595: si tratta di una scena del Titus Andronicus (Fig. 2) in cui i costumi sono di vario tipo, alcuni di fantasia e altri che sembrano imitazioni di abiti romani.
Alcuni personaggi dei drammi come i turchi o i mori, avevano spesso turbanti e scimitarre mentre le divinità classiche avevano ciascuna il proprio abito: Neptune aveva un abito particolare, un tridente e una ghirlanda, Juno e Dido avevano un vestito speciale ed Iris portava una maschera ed un arcobaleno, Mercury aveva le ali e gli spettri indossavano vestiti e corsetti speciali.
Nel corredo di una compagnia vi erano inoltre travestimenti da animali (leoni, verri, draghi, cavalli, cani neri) e ovviamente abiti ecclesiastici, toghe e tocchi da senatore romano, costumi per i personaggi dei boschi e vestiti da fool oltre a mantelli ‘magici’, corone e cappelli particolari (cfr. Nicoll, 110-11) Insomma, quello che gli spettatori vedevano sulla scena non erano affatto degli attori in abiti elisabettiani. Se nei teatri pubblici mancava una scenografia spettacolare, erano quindi i costumi ad indicare l’ambientazione dell’azione drammatica.
Le uniche informazioni sugli oggetti di scena utilizzati derivano dagli scritti di Philip Henslowe, l’impresario degli Admiral’s Men, ma si suppone che non fossero molti e che non si utilizzassero fondali con teli dipinti o altro per l’ambientazione realistica delle scene. Lo spettacolo scenografico era costituito dalla bellezza del palcoscenico sontuosamente decorato con finti stucchi ed il legno delle colonne era dipinto ad imitazione dei marmi colorati usati dai romani. Nel contratto per la costruzione del Fortune si specifica che le due sostegni della tiring house dovessero avere la base quadrata e decorati con finti stucchi e una statua intagliata in forma di satiro in cima ad ognuno di essi. (cfr.Nicoll: 109).
Già nel medioevo si usavano gli effetti pirotecnici. Oltre alle semplici torce usate per illuminare la scena in caso di necessità, vi erano sempre degli effetti speciali nelle scene ambientate all’inferno. La bocca d’inferno (hellmouth) era spesso una struttura abbastanza grande da cui uscivano o entravano dei diavoli accompagnati da fumo, zampilli di fuoco ed a volte una puzza di zolfo. (cfr. Happé, 1998: 53). Non dimentichiamo poi il cannone piazzato sulla tiring house del Globe (durante una rappresentazione di Henry V) che provocò accidentalmente l’incendio che distrusse il teatro nel 1613.
Effetti sonori come tuoni e fulmini venivano realizzati con delle macchine semplici. Il ‘thunder run’ era fatto da un piano di legno su sui rotolava una palla di cannone. Il suono amplificato avrebbe fatto il suo effetto, soprattutto se il rumore proveniva dall’alto della tiring house di un palcoscenico elisabettiano. Altri strumenti potevano essere degli specchi per riflettere dei bagliori improvvisi o delle lastre metalliche da percuotere per ottenere altri effetti sonori per la tempesta.
Si tratta di un elemento scenico dalla forma di una enorme bocca di mostro (rappresenta lo spaventoso leviatano descritto nella Bibbia). Pare che la Hellmouth potesse ospitare al suo interno diverse persone. Questo elemento scenico era un accessorio indispensabile per la rappresentazione dell’inferno (Hell), ma non scomparve insieme agli spettacoli medievali, rimanendo nella tradizione europea come un simbolo dell’inferno anche nell’iconografia dei secoli successivi. Un oggetto di scena chiamato ‘Hell mought’, probabilmente di modeste dimensioni, faceva parte del corredo degli Admiral’s Men, come risulta dal diario che il loro impresario Philip Henslowe scrisse nel 1598 (cfr. Higgins, 1994: 50).
Nelle rappresentazioni su pageant wagons, vi erano carri che contenevano questo elemento (probabilmente posto in basso, tra le ruote) ed una botola tramite la quale si poteva ottenere l’apparizione improvvisa di diavoli sul palco o sulla strada. Nelle rappresentazioni a scena fissa la struttura (scaffold) che rappresentava l’inferno era posizionata a nord nello spazio scenico. Il simbolismo religioso, che si può riscontrare anche nell’orientamento delle chiese gotiche e romaniche, indica che la direzione est è simbolo della divinità (Gerusalemme si trova ad est) e del bene. La luce dell’alba illumina i vetri istoriati del rosone e crea quell’effetto mistico voluto dagli architetti e dai teologi del tempo. Il lato nord rimane sempre il lato più buio e più freddo delle chiese, per cui è facile identificare questa direzione con l’opposto della divinità e quindi simbolo del male e del diavolo. Questo schema simbolico resta valido anche se non si dispone la struttura secondo l’orientamento geografico: il male viene infatti rappresentato dal lato sinistro in quanto il nord si trova a sinistra dell’est.
Per questo motivo l’inferno veniva sempre posto a sinistra del paradiso. L’inferno è anche tradizionalmente identificato con il sottosuolo e quindi la struttura che lo rappresentava doveva avere almeno due livelli: Nel dramma The Creation of the World del ciclo di Wakefield-Towneley (v.2034) e in Mary Magdalene (v.357) la parte superiore dell’inferno viene chiamata Lymbo e nel dramma Creation (v.2026) quella inferiore viene chiamata pytt (v.2034). (cfr. Higgins, 1994: 50)
Non si può definire con certezza il modo in cui gli attori elisabettiani interpretassero le loro parti ma si può ipotizzare, che vi fosse a) uno stile convenzionale più antico che si sovrappose ad uno stile più naturale e più tardo b) la presenza di elementi retorici (cfr. Nicoll, 1966:110). Ad esempio è molto probabile che Edward Alleyn, il grande attore del periodo di Marlowe, avesse uno stile più ampolloso di Richard Burbage, il protagonista delle tragedie di Shakespeare. La stessa recitazione in versi poteva essere condizionata da convenzioni sulla pronuncia e sugli accenti del pentametro giambico (il metro usato anche da Shakespeare). Le note che troviamo nei drammi sembrano indicare che si usavano dei movimenti, o degli atteggiamenti particolari, per esprimere le più comuni emozioni drammatiche – ira, paura, disperazione, rassegnazione.