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Il Santuario
di S. Antonio Abate

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La pace nella Genesi

A cura di don Gianni Cioli, Insegnante alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale, Brano già pubblicato da Castello7 , settimale della parrocchia S. Michele a Castello di Firenze, ottobre-novembre 2000

 

La Genesi è un testo fondamentale per capire il mistero della storia umana e della storia di Dio con gli uomini. Un libro che per molti versi è lontano dalla nostra mentalità, ma che, se letto in profondità, è molto più attuale di tanti pretesi discorsi attuali. Nella Genesi non si parla molto della pace in maniera esplicita, il termine Shalom vi ricorre solo poche volte, tuttavia, forse, la pace è uno dei fili conduttori più presenti in tutta la narrazione ed una delle chiavi di lettura più interessanti e attualizzanti per noi. Prima di affrontare direttamente il tema, riteniamo opportuno porre due premesse.

 

Prima premessa: Quale pace?

Nel Nuovo dizionario di teologia morale G. Mattai introduce l'articolo su "Pace e pacifismo" con un interrogativo: "Quale pace"? Da sempre infatti molteplici e divergenti appaiono le concezioni della pace e le vie e gli strumenti indicati per conseguirla. L'autore rileva che è diffusa la concezione negativa di pace come assenza di guerra, assenza temporanea però e mai definitiva.

Per contro è possibile riscontrare un'altra visione di pace definibile come positiva che fa riferimento alla giustizia, cioè al rispetto delle persone e dei popoli, fondata non sulle armi ma sulla forza della verità e della non violenza attiva, appoggiata non solo sugli strumenti istituzionali e di vertice ma, soprattutto, sul consenso della base dei popoli e l'intervento attivo delle minoranze profetiche.

 

Seconda premessa: La pace nella visione biblica

Gli studi più recenti sull'Antico Testamento evidenziano il carattere positivo e globale dello Shalom ebraico che non si limita ad escludere la guerra e ad indicare la sicurezza basata su accordi stipulati, ma associa a questi aspetti il benessere totale, l'armonia del gruppo umano e del singolo con Dio, con il mondo materiale, con gli altri e con se stesso. La pace potremmo dire è la perfezione di ogni specie di rapporto all'interno del creato. E' soprattutto nella predicazione profetica che viene caratterizzato il significato della pace. I profeti smascherano le false concezioni troppo umane della pace basate su compromessi politici, mettono la pace in connessione con la giustizia e in relazione con il futuro regno messianico (cf. Is. 32,15-17).

Nel Nuovo Testamento Gesù si presenta come il realizzatore delle promesse messianiche. E' Lui la nostra pace. Dalla sua morte in croce e dalla sua risurrezione nasce un'era nuova in cui è possibile il perdono dei nemici, è possibile vincere il male con il bene, ricercare sempre nuove strade di riconciliazione senza stancarsi. Se nel vocabolario pagano il termine eirene aveva un significato simile a quello nostro usuale, nel suo utilizzo all'interno del Nuovo Testamento il suo significato è paragonabile a quello dell'ebraico Shalom.

 

In principio era la pace

Nel precedente intervento sul tema della pace si sono poste due premesse:
1. la pace può essere intesa come semplice assenza di guerra, oppure, con una visione più profonda e lungimirante, può essere interpretata come frutto della giustizia;
2. la visione biblica della pace va esattamente in questa seconda direzione: Shalom significa armonia nei rapporti, con Dio con gli altri, col mondo.

Sulla base di queste premesse è possibile affrontare il tema della pace nella Genesi. Genesi non è un libro in cui la parola pace come tale ricorre spessissimo, esso viene utilizzato in alcune formule che esprimono serenità e armonia con il prossimo, e formule che esprimono la benedizione divina, vedi la promessa fatta ad Abramo in Gn 15,15: "Quanto a te andrai in pace con i tuoi padri; sarai sepolto dopo una vecchiaia felice"; vedi l'interessamento di Giuseppe sulle condizioni del padre Giacobbe in Gn 43,27: Stare in pace nel senso di stare bene.

Ma al di là della frequenza del termine mi pare che l'idea biblica di pace nel senso indicato sopra sia fortemente presente nel primo libro della Bibbia, anzi c'è chi, in qualche modo, vede proprio nei primi capitoli della Genesi i presupposti di questa idea biblica di pace, che potremmo definire come la perfezione di ogni specie di rapporto, la compiutezza della realtà nel suo complesso, la perfezione dei rapporti all'interno del creato. E. Chiavacci nel suo Corso di teologia morale mette in evidenza che "la creazione è uscita buona dalle mani di Dio: essa è frutto dello Spirito che aleggia sul caos (Gn 1,2); e non è improbabile che proprio questo tema sia ripreso, collegato al tema della pace, sia nell'annuncio profetico del messia venturo (come in Is 32,15-17) sia nel messaggio del Risorto".

La perfezione originaria "dei rapporti fra tutte le creature vale anche nei rapporti fra esseri umani", Chiavacci ritiene che proprio in questo vada cercata la valenza semantica ed etica del termine "pace".

La pace è però distrutta dal peccato: l'armonia che caratterizzava la relazione fra uomo e donna (Gn 2,22-25) diventa rapporto di asservimento e di dominio (Gn 3,16), l'omicidio di Caino e l'inimicizia fra i popoli (Babele) sono in modi diversi la negazione della pace. In questo senso potremmo definire i primi capitoli della Genesi come "il poema della pace perduta". Una sorta di riflessione svolta nel linguaggio della poesia religiosa sulla tragicità della condizione umana, condizione in cui la pace appare una realtà lontana come un sogno, in cui la vita e i beni fondamentali dell'uomo risultano permanentemente minacciati in una storia conflittuale, condizione strutturalmente incerta. (29 ottobre 2000 )

 

Il poema della pace perduta

I primi 11 capitoli della Genesi sono il poema della pace perduta: l'armonia della la creazione uscita "buona" dalle mani di Dio si è disintegrata nella conflittualità frutto dell'allontanamento da Dio. Le vicende dei patriarchi che iniziano con Abramo al capitolo 12 sono la proiezione di quella mancanza di pace, di quella condizione strutturalmente incerta che ha caratterizzato tutta la storia del popolo eletto. Sono drammaticamente emblematiche le parole che Abramo rivolge alla moglie sul punto di entrare in Egitto: «Vedi, io so che tu sei una donna di aspetto avvenente. Quando gli egiziani ti vedranno penseranno: Costei è sua moglie e mi uccideranno [...]. Di' dunque che tu sei mia sorella» (Gn 12,11-13). Lo stesso Abramo si trova ad essere protagonista di una vera e propria azione di guerra nei confronti del re di Elam, Chedorlaomer, e dei suoi alleati che affronta vittoriosamente per liberare il nipote, Lot, fatto da loro prigioniero a Sodoma (cfr Gn 14, 13-17).  Anche le storie dei successivi patriarchi narrate dalla Genesi sono storie intessute di conflitto, come sarà intessuta di conflitto la storia del popolo di Dio.

Se le storie dei patriarchi, sebbene essi fossero benedetti da Dio, sono espressione di questa tragica condizione conflittuale, nella quale Israele si rivede in filigrana, i primi capitoli della Genesi vogliono essere una riflessione sul perché di questa tragica condizione. La risposta che l'autore sacro dà a questo "perché" consiste nella coscienza del peccato che ha turbato in tutti i sensi la pace del progetto originario di Dio. Fra le conseguenze del peccato che si elencano nel terzo capitolo della Genesi è veramente emblematica quella rivolta alla donna: «Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». Il dominio è proprio il rovescio della pace.

Il quarto capitolo della Genesi presenta una situazione che potremmo definire nei termini di una spirale di violenza che segue ineluttabilmente dal peccato delle origini: l'uccisione di Abele da parte di Caino (Gn 4,8), il terribile canto di Lamech, discendente di Caino «Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino ma Lamech settantasette» (Gn 4,23-24). A tutto questo segue la tragica presa d'atto della corruzione dell'umanità al capitolo 6.

Come mette in evidenza Chiavacci, «la violenza è l'unico peccato indicato specificamente come causa del diluvio: "E' venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro è piena di violenza" (Gn 6,13) e la fraternità nella non-violenza è legata alla benedizione data a Noè dopo il diluvio (Gn 9,5-6)» ( 5 novembre 2000 )

 

Pace come riconciliazione

Potremmo dire che i racconti delle origini sono attraversati da questa tragica dinamica di perdita della pace: il peccato che cresce dalla disubbidienza a Dio, all'assassinio fratricida, alla smisurata vendetta.
Dopo il diluvio vi è un nuovo inizio, con l'alleanza stipulata con Noè, ma l'arroganza umana si erge di nuovo di fronte a Dio e nasce di nuovo la divisione dell'umanità, vedi l'episodio di Babele al capitolo 11.La chiamata di Abramo, la benedizione di lui e della sua discendenza, l'alleanza con lui stipulata, si pongono in questo quadro: se i racconti delle origini possono essere per certi versi compresi come il "poema della pace perduta", il filo conduttore di tutta la narrazione del primo libro della Bibbia può cogliersi nella promessa della pace come benedizione che Dio vuole ridonare ai suoi eletti.

La pace ridonata nella promessa, la pace da ritrovare, richiede l'abbandono fiducioso a Dio che chiama, l'obbedienza della fede (Gn 12,1-4). In questo atteggiamento sta il fondamento di quella pace radicale che Gesù proclamerà nelle beatitudini evangeliche, e realizzerà con la sua croce (cfr. Mt 5,3-12).

Le storie dei patriarchi sono segnate, come si è detto dalla esperienza ineluttabile della conflittualità, ma sono attraversate pure dall'esperienza luminosa della riconciliazione: la benedizione di Melkisedek, re di Salem cioè re di pace, ad Abramo (Gn 14,17-20), la riconciliazione di Giacobbe con il fratello Esaù, dopo la misteriosa lotta con Dio (Gn 33,4). Ma è soprattutto nella storia di Giuseppe che si può cogliere qualcosa della logica evangelica.

Al capitolo 45 si narra che Giuseppe in Egitto si ritrova dopo tanti anni coi fratelli che l'avevano venduto come schiavo e che addirittura avevano progettato di ucciderlo. Egli riesce con la logica della fede a vedere nella sua storia la mano di Dio che sa trarre il bene anche dal male e quindi egli perdona il male che ha subito.

Stupende sono le parole che Giuseppe pronuncia al capitolo 50, quasi a conclusione del libro, quando dopo la morte del padre Giacobbe, i fratelli temono la vendetta: «Non temete. Sono io forse al posto di Dio? Se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso. Dunque non temete, io provvederò al sostentamento per voi e per i vostri bambini» (Gn 50,19-21).

Potremmo vedere in quest'atteggiamento di totale fiducia in Dio i semi di quel radicalismo evangelico, di quella non violenza cristiana che costituisce il presupposto della pace annunciata nelle beatitudini: «amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti [...]. Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,44-48).

 

 

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