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Il Santuario
di S. Antonio Abate

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La spiritualità di San Francesco in rapporto all’insegnamento di San Paolo, con particolare riferimento alla lettera ai Filippesi (1).

A cura di P. Faustino Giaquinto

 

 

Per motivi di semplicità e di approfondimento vogliamo suddividere il tema proposto in tre punti: introduzione, corpo e conclusione .

 

INTRODUZIONE

1. Non è possibile parlare di rapporto tra la spiritualità francescana e l’insegnamento di san Paolo, con particolare riferimento alla lettera ai Filippesi, senza un adeguato numero di citazioni testuali. Ciò comporterà sforzo di attenzione e un possibile senso di stanchezza. Siamo convinti tuttavia che, nonostante le manchevolezze, alla fine si avrà della fede e della vita del Poverello una conoscenza più profonda e si sveglierà in noi un amore che ci spingerà ad essere più conseguenti alle nostre scelte.

2. Di tutto il materiale saranno presi solamente quei passi più significativi concernenti momenti ed aspetti riscontrabili nella lettera ai Filippesi e nella spiritualità francescana. Sarebbe impossibile citarli tutti.

3. Il Santuario della Verna, nel quale oggi ci troviamo, sarà la conferma più lampante di quanto diremo. La Verna, luogo dove Francesco ha ricevuto le stimmate nel 1224, è il segno più visibile della vita di un uomo che, teso a vivere giorno per giorno il Cristo povero e crocifisso, ha raggiunto l'apice della perfezione: conformità piena. Per ogni francescano la Verna e la Porziuncola sono certamente i luoghi della più grande commozione e stimolo autentico di conversione a quell'ideale che Francesco ha trasmesso ai suoi figli.

 

CORPO

Sembra incredibile! Anche se in contesti storici diversi la vita di Paolo e Francesco si richiamano in modo sorprendente e per l'inizio della conversione e per il cammino di perfezione compiuto e specialmente per lo scopo prefisso: conformità a Cristo povero e crocifisso. Conseguenza teologica è il cristocentrismo.

 

1. Conversione

Ambedue cominciano il cammino di conformità a Cristo con la coscienza di aver percorso una strada sbagliata. Ambedue, per bontà e misericordia di Dio, vengono richiamati da una voce a cambiare rotta, a intraprendere vie nuove. Sulla strada di Damasco Paolo sente questa voce: “Paolo, Paolo perché mi perseguiti?”.
A Spoleto e a san Damiano Francesco, giovane, ascolta la stessa voce: “Francesco, è meglio servire il servo o il padrone?...Francesco ripara la mia casa che come vedi va in rovina”.
Francesco stesso nel suo testamento dirà: “Quando io ero nelle peccata... e dopo poco abbandonai il mondo”.
Ambedue, all'ascolto della misteriosa voce, si posero la stessa fondamentale domanda: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”.

 

2. Conformità

Da quel momento Paolo e Francesco incentrano tutte le proprie attenzioni sulla persona di Gesù che diventa il motivo unico della propria vita. Nella lettera ai Filippesi 1, 21 san Paolo dirà: “Per me, infatti, il vivere è il Cristo e il morire un guadagno”. Al capitolo 3, 7-9 della stessa lettera dirà con maggiore chiarezza: “Ma tutte queste cose che prima per me avevano un grande valore, ora che ho conosciuto il Cristo, le ritengo da buttar via. Tutto è una perdita di fronte al vantaggio di conoscere Cristo, per essere unito a Lui nella salvezza”.
Il Celano, parlando di Francesco afferma: “Francesco Gesù portava nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le sue membra”.
Altrove lo stesso Celano dice: “La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il Santo Vangelo e di imitare fedelmente, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo”.
Il suo amore lo portava perfino a mimare il Vangelo. L'amore penetrava tutte le fibre del suo essere: Paolo e Francesco dal momento della conversione fino all'incontro definitivo con il proprio Signore hanno operato in sé un crescendo di conformità a Cristo da sembrare ai contemporanei un "fatto" superiore alle forze umane.
Paolo in catene esclama: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”.
Francesco sul monte della Verna grida: “Signore fammi sentire nel mio corpo un pò del dolore che Tu hai sofferto sulla croce”. In una visione riportata da Tommaso da Celano un frate vide Cristo e Francesco come una sola e identica persona.
Si può affermare senza paura di sbagliare che Paolo e Francesco si studiarono di essere conformi da vivi al Cristo vivente, in morte al Cristo morente.
Nella lettera ai Colossesi Paolo, parlando di sé, dice: “Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti del Cristo”.
Nella lettera ai Filippesi 3, 10 afferma: “Voglio solo conoscere il Cristo e la potenza della sua resurrezione. Voglio soffrire e morire in comunione con Lui”.
Nella vita seconda il Celano afferma che il processo di unione alla vita e alla sofferenza del Cristo porterà Francesco alla compassione del monte della Verna e che la vita di Francesco è stata come il completamento dei misteri della vita del Cristo. Francesco al termine della vita può ritornare al Padre “essendosi compiuti in lui tutti i misteri del Cristo” (2 Cel. 217).
Certamente non si potrebbero capire oggi le sofferenze di animo e di corpo, i pericoli di terra e di mare, gli estenuanti e rischiosi viaggi per far conoscere il Vangelo, le penitenze spirituali e corporali, i digiuni, la povertà se Cristo non fosse stato il centro e il motivo della loro vita. Ma ciò che più impressiona è che ambedue, benché avessero lottato e sofferto, attribuiscono tutto a Dio, Padre delle misericordie e di ogni bontà. La stessa imitazione trasformante in Cristo diventa, alla fine, una continua lode a Dio, autore di ogni bene.

 

3. Cristocentrismo

La lettera ai Filippesi è certamente quella più calda, commossa, affettuosa che sia mai uscita dalla penna di Paolo. E' una conversazione tra padre e figli, fatta più con il cuore che con le parole. Pur priva di uno specifico contenuto teologico, essa brilla della più fulgida perla di dottrina teologica. Paolo, esortando i Filippesi al coraggio contro i nemici della fede e all'unità degli spiriti, nella più profonda umiltà, eleva un inno a Cristo in cui è riepilogato, in forma stringata e commossa, il mistero umano-divino di Cristo. E' un inno uscito dal cuore di Paolo, improvviso come un fiotto di sangue, come una sorgente che si apre nella terra per troppa pressione interna.
Un inno che fa pensare a quanto Paolo già diceva nella prima lettera ai Corinti: “Se non predico Cristo, scoppio”.
Con affetto profondo, con gli occhi fissi su Gesù povero e crocifisso Paolo invita i Filippesi ad avere gli stessi sentimenti di Gesù che: “Pur essendo Dio non conservò gelosamente il suo essere uguale a Dio. Rinunziò a tutto, diventò come servo, fu uomo tra uomini e visse conosciuto come uno di  loro. Abbassò se stesso, fu obbediente fino alla morte, alla morte di croce. Perciò Dio lo ha innalzato sopra tutte le cose e gli ha dato il nome più grande. Perché nel nome di Gesù in cielo, in terra e sottoterra ognuno pieghi le ginocchia e per la gloria di Dio Padre ogni lingua proclami: Gesù Cristo è il Signore”.
L'incarnazione e la morte in croce sono i segni supremi dell'amore che Gesù ha avuto per gli uomini e, nello stesso tempo, gli aspetti più convincenti perché ogni discepolo possa rispondere e contraccambiare l'amore con l'amore.
Come Paolo anche Francesco è totalmente  preso dall'amore di Cristo che si è manifestato specie nell'incarnazione e nella morte di croce. Circa tale affermazione potremmo portare un'infinità di testi. Ne citiamo solo alcuni dei più significativi, sufficienti, tuttavia, a provocare in noi francescani un senso di crisi e uno stimolo per una risposta più generosa nella sequela di Cristo.
Nella prima vita del Celano, cap. 30, si legge testualmente: “Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresso così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro”.
Al cap. 151 della Vita seconda lo stesso biografo dice: “Al di sopra di tutte le altre festività celebrava con ineffabile premura il Natale del Signore e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano”.
San Bonaventura nella Leggenda Maggiore, parlando dell'amore indicibile che Francesco aveva per Maria, dice: “Circondava con indicibile amore la madre del Signore Gesù, per il fatto che ha reso nostro fratello il Signore della maestà”.
Per quanto concerne i rapporti di Francesco con la croce e la passione di Gesù vogliamo semplicemente riportare di seguito alcuni passi che da soli, senza necessità di spiegazioni, dicono come l'animo di Francesco fosse profondamente segnato, fin dalla giovinezza, dalla croce di Cristo povero e crocifisso.
Nella Vita seconda il primo biografo del Poverello afferma: “Le delizie del mondo erano per lui una croce perché portava radicata nel cuore la croce di Cristo. E appunto per questo le stimmate rifulgevano all'esterno nella carne, perché dentro la sua radice gli si allungava profondissima nell'anima” (2 Cel. 161).
Nel Trattato dei miracoli, cap. II, sempre di Tommaso da Celano, si hanno queste affermazioni: “L'uomo nuovo Francesco si rese famoso per un nuovo e stupendo miracolo, quando apparve insignito di un singolare privilegio, mai concesso nei secoli precedenti, quando cioè fu decorato delle sacre stimmate e reso somigliante in questo corpo mortale al corpo del Crocifisso... Tutto lo zelo dell'uomo di Dio era centrato attorno alla croce di Cristo... Da allora (da san Damiano) gli fu impresso nel cuore, a tratti profondi, il ricordo della passione del Signore e, attuata in pieno la sua conversione interiore, la sua anima cominciò a struggersi per le parole del Diletto... Testimoniò soprattutto il mistero della croce... La sua mente era rivestita del Signore crocifisso”.

 

CONCLUSIONE

Dal contesto dei testi citati emerge che i rapporti tra Paolo e Francesco non solo sono netti ed evidenti ma anche molto stretti. Parlare di semplice parallelismo sarebbe molto poco. Bisognerebbe parlare nel nostro caso di una vera e propria dipendenza della spiritualità francescana dalla teologia paolina, così come è esposta nella lettera ai Filippesi. Diversamente non si potrebbe spiegare come e perché il pensiero e l'azione di Francesco coincidono in modo perfetto con quello di Paolo: stessa passione di conformità a Cristo povero e crocifisso, la stessa anima e lo stesso cuore nel cammino di perfezione, lo stesso cristocentrismo e, molto spesso, il tutto espresso con le stesse espressioni e con le stesse parole.

 

(1) Proluzione pronunciata: Mercoledì 10 Agosto 94Giornata di spiritualità presso il Santuario della Verna6-14 Agosto 94, Fraternità Gi.Fra. Madonna del Carmine di Grassano, Settimana di formazione, preghiera e fraternità Eremo di Lecceto, Malmantile ( FI )

 

 

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Ricordando P. Faustino Giaquinto
Nel secondo anniversario del suo ritorno nella casa del Padre

 

 

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