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Il Santuario
di S. Antonio Abate

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Le Parole della Bibbia

A cura di   Alessandro Tarli

 

AàV, amare

AàV significa "amare". Probabilmente questa radice è connessa con l'idea di “respirare", che riproduce onomatopeicamente.  Infatti l’amore, come anche l'ira, erano intesi nel contesto semitico come qualcosa di concreto che era percepibile attraverso una intensificazione della attività respiratoria. AàV indica non solo l’amore umano nelle sue varie forme, ma anche l’amore di Dio e l’amore verso Dio. L'amore di Dio (per esempio Deuteronomio; 7, 13) è di solito connesso con la discendenza, cioè è testimoniato dal futuro del popolo, localizzato nella "terra promessa”. L’amore verso Dio si manifesta in molti passi, come in Esodo; 20, 6, con l'osservanza del comandamenti. Si capisce così perché in Giovanni; 14, 15 Gesù, che poco prima (Giovanni; 14, 10-11) aveva affermato la sua comunione di vita con il Padre, riferisca conseguentemente a se stesso quella definizione dell'amore dicendo: "se mi amate osservate i miei comandamenti". Ma i comandamenti di Gesù sono la sua parola (Giovanni; 14, 23) per cui, tenendo conto che nel mondo ebraico la parola coincide con il fatto che indica, la parola di Gesù è tutta la sua vita, che con la risurrezione esce dai vincoli del tempo e della morte, dando al credenti la vita eterna. è questo il compimento della discendenza che costituiva la promessa di Dio nell'Antico Testamento. Quindi in Gesù l’amore verso Dio viene a coincidere con l’amore di Dio verso l'uomo.

 

òEL, tenda

òEL, “tenda”, è l’abitazione tipica del nomade. Nella storia degli ebrei la fase nomade, conclusasi con l’insediamento in Canaan circa 2100 anni fa, costituì il periodo in cui si formò un forte senso di identità, basato sulla convinzione di essere stati scelti da Iauè fra tutti i popoli. Questa convinzione era basata sull’esperienza dell'Esodo, in particolare sulla percezione della presenza di Iauè, che si concretizzava in continui interventi di salvezza.
Nell’Antico Testamento anche la casa di Iauè è una tenda, detta spesso “tenda dell’incontro” (Esodo; 27, 21). In essa Iauè comunicava i suoi ordini a Mosè, che rappresentava il popolo, ossia era il punto di incontro fra Iauè e il popolo stesso. Quindi la tenda era anche dimora (MISCKàN) di Iauè in mezzo al popolo e venne ad essere un elemento che letterariamente indicava la teofania, cioè la manifestazione sensibile di Dio.
Questa connessione della tenda con la presenza di Dio rimase impressa nel modo di pensare dell'ebreo anche in tempi ben successivi all'Esodo. Così nell'episodio della trasfigurazione (Matteo; 17, 4) Pietro parla di costruire delle tende per Gesù, come anche per Mosè e per Elia che erano apparsi a conversare con lui. In Apocalisse; 21,3 la tenda diviene un simbolo escatologico della comunione di vita della comunità dei salvati con Dio.

 

OR, luce

OR significa "luce". Per afferrare meglio il valore che questo termine aveva nell'antichità bisogna fare qualche considerazione. Per gli antichi la luce era un qualcosa di più vitale, profondo e prezioso che per noi. Conoscevano la luce del sole, l'unica abbagliante, e poi quella della luna, che scandiva i tempi della natura, e delle stelle, indispensabile per l'orientamento. Ottenevano la luce artificiale solo con la combustione, ed era sempre una luce debole che, tanto per intendersi, poteva permettere di leggere a non più di un metro di distanza. Accendere il fuoco, sia per altri usi che per generare luce, era un'operazione impegnativa, tanto che normalmente nelle case il fuoco veniva tenuto acceso giorno e notte. Anche per noi la parola "luce" è molto importante, sia quando si riferisce al fenomeno fisico (la luce del sole, la luce delle lampade, e anche...le bollette!), che in senso figurato (sinonimo di chiarezza, di riferimento essenziale). In una certa misura noi ci sentiamo padroni della luce. Se siamo al buio basta un gesto e si possono mettere in funzione sorgenti luminose potenti, tanto da vederci bene come di giorno. Di notte le strade sono illuminate oppure è possibile illuminarle con i fari delle macchine, per cui si può viaggiare con sicurezza. Per orientarci poi c'è il radar. E anche, figli di un'era tecnologica, siamo predisposti a vedere la realtà con occhio scientifico (anche se la cosa sarebbe da discutere). Non era proprio così per gli antichi. La luce, reale ma impalpabile, capace di traversare senza modificarli materiali come l'acqua, e anche impenetrabili come il vetro, era un qualcosa di misterioso.
Nella Bibbia OR è la prima cosa creata da Dio (Genesi; 1,3), è il primo segno che Dio dà di se stesso nell'universo, vincendo il buio (HòSCECH) del caos. OR è anche il termine che indica la manifestazione di Dio agli uomini (per es. Isaia; 60,1-3). Nel Nuovo Testamento Giovanni, ripercorrendo la simbologia della Creazione, riprende l'immagine della luce, La luce diviene figura del Cristo che splende davanti agli uomini vincendo le tenebre, cioè il male (Giovanni; 1,4-9).

 

OTH, segno

OTH significa “segno”, cioè un qualcosa, oggetto o fatto che sia, su cui si pone l’attenzione e che, con un collegamento noto o comprensibile all’interlocutore, porta la mente a una realtà ben distinta dall’evento di partenza. OTH si ritrova anche nel linguaggio comune, per esempio in Numeri; 2, 2, dove ha il senso di “insegna”, vessillo distintivo delle varie tribù di Israele, ma ha un uso caratteristico nel campo della fede, nel quale sta ad indicare realtà invisibili. In questa logica OTH è talvolta un fatto ordinario, come in Genesi; 17, 11, dove la circoncisione è il segno (OTH) del patto di Dio con Abramo, o in Esodo; 31, 13, dove il sabato è il segno della sovranità di Dio, o in Isaia; 55, 13 dove il ritorno in patria degli ebrei esiliati in Babilonia costituisce un segno eterno dell’amore di Dio. Altre volte OTH, quasi sempre in riferimento all’esperienza dell’esodo dall’Egitto, è un fatto straordinario, o ritenuto tale, come nel caso dei prodigi fatti da Mosè davanti a Faraone, per dare prova del mandato ricevuto da Dio (Esodo; 4,8 e ss.), o nel caso del passaggio del Mar Rosso (Deuteronomio; 11, 3), quando gli ebrei si salvarono e gli egiziani perirono.
Nel Nuovo Testamento troviamo che il termine greco che corrisponde a OTH, SEMèION, è usato praticamente sempre in senso religioso. SEMèION può essere anche un fatto di tutti i giorni. Per esempio in Luca; 2, 12 un bambino avvolto in fasce è segno della salvezza. Il più delle volte però riprende il riferimento a fatti straordinari, e in questi passi viene reso spesso in italiano non con “segno” ma con “miracolo”. Il problema non è semplice, anche se si può dire che traducendo SEMèION con “miracolo” si calca l’accento sullo stupore emotivo più che sul significato del fatto. Nel complesso la Scrittura, attraverso il linguaggio dei “segni”, ci fa capire che gli eventi non sono confinati in se stessi, non si esauriscono in se stessi, ma completano il loro significato nell’indicare altre realtà che li superano e che, attraverso una concatenazione che abbraccia l’insieme della storia, portano alla vita eterna, nella quale i segni non saranno più necessari, in quanto i salvati vedranno non attraverso mediazioni, ma “faccia a faccia”, come leggiamo in 1Corinti; 13, 12.

 

ACH, fratello

ACH viene tradotto con “fratello”. Come in italiano il termine può essere usato non solo in senso ristretto in riferimento ai figli degli stessi genitori, ma anche in senso più ampio per indicare i membri di una stessa tribù, gli alleati, gli amici. In genere il significato si ricava dal contesto in modo abbastanza chiaro. L’uso ampio di ACH è legato in ebraico non tanto all’analogia con la famiglia, come per noi “Fratelli d’Italia”, quanto alla struttura patriarcale dell’aggregato familiare, all’interno del quale i figli più o meno coetanei di varie coppie vivevano esperienze comuni non diversificate.
Nel Nuovo Testamento il greco ADELFòS, “fratello” comporta dei problemi nei passi in cui si parla dei “fratelli” di Gesù, in quanto l’interpretazione in senso proprio del termine risulta in contrasto con l’idea che Gesù non poteva avere fratelli in senso biologico, in conseguenza della convinzione che Maria fosse rimasta vergine per tutta la vita. E’ ragionevole pensare, studiandone l’uso, che il termine greco ADELFòS sia impiegato nel Nuovo Testamento secondo la logica della cultura ebraica, e quindi non alluda necessariamente a veri fratelli, anche se non ne esclude la possibilità. Si può solo dire che ai tempi della stesura dei testi evangelici non c’era interesse a definire la questione in termini più precisi, altrimenti gli evangelisti, sufficientemente padroni della lingua greca, si sarebbero serviti dei termini che tale lingua possedeva per esprimere i rapporti di parentela in modo tale da non dar luogo ad equivoci.

 

 

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