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Il Santuario
di S. Antonio Abate

 

Il sorriso dello spirito

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I suoni della guerra rimbombano vicino a noi, ormai accendere la tv, leggere un giornale diventa un atto di coraggio... In giorni in cui l'uomo sembra aver smarrito la ragione, tra presunte guerre di religione ed inutili proclami di vendetta, vogliamo recuperare e riscoprire "il sorriso dello spirito"...

 

« Una storiella ebraica racconta:

"Londra 1914. Un gruppo di ebrei emigrati dall’Europa orientale discute animatamente se ci sarà o no la guerra. Uno dice: "Io non ho paura. E comunque ci sono due possibilita. O non c’è la guerra e allora va tutto bene, oppure c’è la guerra e allora ci sono due possibilità. O la guerra rimane circoscritta ai contendenti continentali e allora tutto va bene, oppure si allarga, e allora ci sono due possibilità. O l’inghilterra non viene coinvolta e allora tutto va bene, oppure l’inghilterra viene coinvolta, e allora ci sono due possibilita. O si reclutano solo volontari e allora tutto va bene, oppure c’è il reclutamento obbligatorio, e allora ci sono due possibilità. O posso evitare di presentarmi e allora tutto va bene, oppure sono costretto a presentarmi. Ci sono comunque sempre ancora due possibilità. O vengo riformato, e allora tutto va bene, oppure vengo arruolato. Comunque ci sono sempre due possihilita. O rimango in Inghilterra e allora tutto va bene, oppure devo partire per il fronte e sarebbe una maledizione, ma ci sono comunque due possibilità. O entro nella Croce Rossa e allora tutto va bene, oppure devo andare a sparare, e allora ci sono due possibilità. O sparo io per primo al tedesco e allora tutto va bene, oppure è lui che spara per primo a me. Comunque ci sono ancora due possibilità. O la ferita non è grave e allora tutto va bene, oppure è grave. Ma ci sono sempre due possibilita. O riesco a guarire e allora tutto va bene, oppure sono morto... Ora, un morto non ha piu bisogno di avere paura di nulla... Ma poi, dove sta scritto che devo morire?".

Ed eccovene un’altra:

Abramele ha l’animo del filosofo. Un amico lo incontra e gli chiede: "Come va?". "Eh!". "E gli affari?". "Mah!". "E tua moglie?". "Eh!". "E i figli?". ‘Mah!". ‘Stammi bene, allora". "Stammi bene tu... Ha davvero ragione il dottor Freud quando dice che se uno parla, gli si alleggerisce il cuore".

Le due storielle ci introducono con il sorriso al tema che ci proponiamo di affrontare: esse permettono di cogliere in modo immediato e intuitivo le peculiarità dell’umorismo ebraico, che desta oggi estremo interesse, perché si impone per la sua specificità e il suo fascino rispetto alle forme di umorismo proprie di altre tradizioni. È un riso lieve e leggero, quasi un fremito delle narici. È un riso che accende lo sguardo e fa brillare gli occhi, che quasi mai prorompe nella risata banale e spensierata. È un sorriso quindi, più che un riso, che solo a volte è davvero entusiasta e gioioso e solo raramente appare allegro e festoso. L’elemento che lo caratterizza è la natura sociale della sua comicità. L’umorismo ebraico deriva infatti i suoi temi prevalentemente da quegli stessi avvenimenti storici che, nei secoli, hanno reso tragica la sua esperienza esistenziale. Ricorrente è, tra gli altri, il motivo della conversione al cristianesimo, che poteva essere ritenuto un mezzo capace di porre al riparo il singolo dalle eventuali persecuzioni antigiudaiche e garantirgli l’integrazione nella società:

"Ai tempi dell’Inquisizione due ebrei spagnoli, assai noti nella loro citta, avevano deciso di farsi battezzare. Doveva farlo il vescovo in persona, ma il presule ritardava e i due erano spazientiti. Verso la fine del pomeriggio uno dei due dice all’altro, con tono sostenuto: "Se quel goy (cristiano) non viene subito, non faremo in tempo per minch ah (preghiera ebraica)".

E ancora:

"Shlojme sta gustando uno squisito hàlsele (il collo d’oca’ ripieno). "Quando penso" riflette tra sé e sé "che ci sono degli ebrei che preferiscono convertirsi... Questo hàlsele è straordinario, non è possibile rinunciare alla nostra religione".

Allo stesso modo la realtà dell’antisemitismo è trattata con fine ironia: mediante il sorriso l’ebreo si riappropria della sua identità, non si lascia dominare neppure dagli eventi più drammatici, nè dalla derisione e dal disprezzo dei goyim che vorrebbero togliergli quotidianamente ogni dignità umana. Si racconta per esempio:

"Un orso è fuggito da un circo e gli abitanti dello shtetl (villaggio ebraico dell'europa orientale) hanno ricevuto l’ordine di starsene in casa, mentre i gendarmi perlustrano le strade per ritrovare e uccidere l’animale. Moishe incontra Berel. "Sai, Berele, che dobbiamo evacuare il nostro shtetl?". "Come, è in vista un nuovo pogrom (linciaccio agli ebrei)?". "No, per fortuna per il momento non c è nessun pogrom, però c’è il problema dell’orso in libertà". "Questo non è un problema. Basta rifugiarsi in casa". anche vero, ma io in strada non ho paura dell’orso, ho paura dei gendarmi che cercano l’orso armati di fucile". "Ma tu non sei un animale feroce". "E'  vero, ma sono unyid (ebreo)".

E ancora:

Su un tram di San Francisco un viaggiatore di colore sta leggendo un giornale yiddish (lingua ebraica dell'europa dell'est). Un ebreo gli batte una mano sulla spalla e dice dolcemente: "Essere soltanto nero non le bastava?".

Anche il momento più tragico della storia ebraica moderna, quello della feroce follia nazista, diviene oggetto del Witz (umorismo ebraico). Ciò non rende l’evento meno tragico o assurdo, perché il sorriso non svolge in tal caso una precisa funzione liberatoria, ma manifesta ancora più efficacemente la drammaticità della domanda - il "perché" della shoah - che è, per paradosso, anche l’unica risposta a tanto orrore:

"Il comandante delle SS disse a Moishe Pressburger, arrestato a Budapest nel 1943: "Se indovini quale dei miei occhi è di vetro, ti lascio andare. Pressburger: "Il sinistro". Il comandante delle SS: "Esatto, come hai fatto a capirlo subito?". Pressburger: "Mi ha guardato in modo così umano".

L’umorismo ebraico nasce quindi dalle lacrime e genera le lacrime, secondo quanto afferma Sholem Aleichem in una famosa lettera:

"Durante i miei recitals, la gente ride sino alle lacrime, capita anche che si commuova e pianga"

Mediante le lacrime, il riso allontana i fantasmi, le paure, le offese, diventa una sorta di grande balsamo per l’anima, restituisce calore e dignità alla vita. E un riso disilluso, che possiede una grande forza catartica, perché sollecita la riflessione e crea fra l’uomo e la sua vicenda esistenziale la distanza necessaria ad una superiore comprensione della stessa: così diventa vera chiave interpretativa ditale realtà. Mediante il riso l’ebreo si libera dal giogo della vita, che non lo potrà mai rendere suo schiavo, diventa capace di dominarla, di non lasciarsi sopraffare da essa. Un esempio:

"Blumenthal e Blumenfeld stanno facendo della filosofia spicciola. "Secondo te, quaggiù siamo felici?". "No, penso addirittura che l’Onnipotente ci abbia preso in giro definendoci il suo popolo eletto". "Hai ragione, questo mondo appartiene ai goyim (non ebrei), non agli ebrei". "E vero, però l’altro mondo appartiene agli ebrei". Blumenfeld sorride. "Perché sorridi cosi?". "Penso che sarebbe una bella beffa se anche l’altro mondo appartenesse ai goyim (non ebrei)"

L’umorismo ebraico coinvolge tutti aspetti della realtà e dell’esperienza quotidiana come quella storica, la vicenda personale come quella universale, dimensione economica come quella sociale. Non viene risparmiata la pietà religiosa:

"Prima di morire il ricco e saggio Avroi, fece venire al suo capezzale i tre figli. "Sono vicino agli angeli del Signore - dice - per cui vi do la mia benedizione e vi faccio alcune raccomandazioni. Comportatevi sempre da onesti e fedeli ebrei, non dimenticate che con l'arrivo del Messia finirà l’esilio. Voi sapete anche che nel giorno del Messia i cristiani transiteranno su un ponte di ferro che crollerà, me gli ebrei passeranno su un ponte di carta che resisterà. Tutto ciò è sicuro e certo. Nel frattempo, però, fate costruire anche un ponte in cemento armato"... ».  
Articolo e aneddoti tratti da Daniela Leoni, Il sorriso ebraico e la tradizione chassidica, in Il sorriso dello spirito. Riso e comicità religiosa nell'occidente, ed. Fondazione collegio S. Carlo Modena e Banca popolare del Materano, 2000, pp.107-108. 

 

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