Tonio
Króger, il borghese sviato
Il protagonista è
ormai uno scrittore affermato, ma ha pagato con l'isolamento e la
solitudine al suo sodalizio con l'arte. In questa situazione decide
di mettersi in viaggio verso il "Nord" (la
contrapposizione tra un nord borghese ed equilibrato e un sud
passionale è una costante in Mann) e di visitare anche i luoghi
della sua infanzia nella Germania settentrionale, lasciati tredici
anni prima. Dalla Danimarca scrive una lettera alla pittrice
Lisaveta Ivànovna, che riassume i termini della sua condizione di
artista.
Tonio Króger sposta l'accento sul dissidio interiore dell'artista
precoce: uno studente quattordicenne di una città tedesca del Nord,
con i tetti a cuspide delle sue case - nella quale si individua
senza sforzo Lubecca - si sente a disagio nel suo essere «autre»
di fronte ai compagni. Bruno fra ragazzi biondi e dagli occhi
azzurri, legge Schiller e scrive versi mentre gli altri preferiscono
lo sport e l'aria aperta; perfino nel suo nome, Tonio Króger, si
riflette il contrasto fra le due nature, tra la madre straniera, che
ha scelto per lui quell'inusitato Tonio, e il padre, un mercante
anseatico di granaglie. Per Tonio, come per qualsiasi coetaneo, i
giorni della scuola coincidono con la scoperta dei primi sentimenti:
l'amicizia per Hans Hansen e l'amore per la bionda Ingeborg Holm. La
dilacerazione nasce dalla scarsa adesione di Hans e
dall'indifferenza di Ingeborg, la sua acme si delinea nella stupenda
scena di Tonio che si smarrisce nell'intrico della quadriglia,
durante una serata di ballo in casa di amici. Poi il lungo distacco
dalla città nativa, il ripudio della banalità, la dedizione totale
alla potenza dello spirito e della parola, nella certezza che «per
esser veri creatori, bisogna esser morti». A Monaco di Baviera, in
questa sede intermedia tra il Nord e il Sud, si svolge il colloquio
tra Tonio, alla ricerca della propria identità, e la pittrice
Lisaveta Ivanovna, una russa; nella letteratura della sua terra
l'antitesi tra inclinazione etica ed estetica aveva forse trovato la
possibilità di una sintesi. Lisaveta lo definisce un borghese
sviato. Tonio annuncia all'amica che ha deciso di partire, non per
il Sud, per l'Italia, dove risplende la luce di una bellezza
fastidiosa, ma per la Danimarca, nella nostalgia di quell'ordine, di
quell'armonia delle cose semplici, che in lui non si erano mai
estinti e avevano dato un significato umano a un'arte che rischiava
di diventare disumana. Proprio in Danimarca - dopo un breve
soggiorno nella città natale, dove per un attimo viene scambiato
per un malvivente - Tonio rivede insieme Hans e Inge che ballano su
una terrazza, sul mare. Il passato ritorna, ma spoglio di ogni
dissidio doloroso, un'ombra che ha perduto i contorni minacciosi
dello spirito amletico, perché Tonio ha trovato in se stesso la
forza di mitigare le asperità di un conflitto sempre latente; nella
lettera a Lisaveta, che conclude il racconto, questa serenità
diviene il substrato della sua vocazione di artista.
Thomas Mann ha indugiato sul commento al Tonio Kròger, che presenta
tante analogie autobiografiche; vi riconosce l'influsso del lirismo
di Storm e delle idee di Nietzsche e spiega la sua fortuna,
rinnovata a distanza di anni dall'interesse dei giovani, con le
strutture «musicali» del suo contesto. Se Tonio Króger riflette
l'ambiguità di Nietzsche, che sentiva di appartenere nello stesso
tempo alle due sfere contrastanti della decadenza e della
palingenesi, Mann si dissocia dalle teorie avveniristiche del suo
maestro e anzi recupera proprio quei valori borghesi della banalità
seducente contro i quali si era scagliato l'autore del Così parlò
Zarathustra. Quando Mann dice: «Qui introdussi, forse per la prima
volta, la musica come elemento stilistico e formale» e che Tonio
Króger anticipa per questo verso La montagna incantata, allude
all'intrusione nel suo discorso narrativo di quei Leitmotive
esemplificati nel contesto dell'opera wagneriana. Nel Torio Kròger
viene iterata la scena della danza, mentre la casa paterna viene
connotata con «lo zampillo, il vecchio noce, il suo violino, il
mare in lontananza»; nel periodo del distacco, il giovane ricorda
«le sue prime poesie dedicate al noce, allo zampillo nel giardino e
al mare», e quando di nuovo sarà per breve tempo nei luoghi della
sua infanzia, basterà la citazione del «noce» per ricreare la
medesima atmosfera. Una funzione analoga assume il ritratto del
padre o l'allusione allo zingaro nel carrozzone verde, la
definizione che Tonio respinge ma che l'autore non dimentica mai di
riferire al modo di essere di Tonio nelle tre occasioni che sembrano
avvalorare questa similitudine pittoresca.
«Allora viveva il suo cuore», si legge alla fine del primo
capitolo; « il suo cuore viveva», si ritrova nella scena del
ritorno di Tonio; «perché il suo cuore viveva», riemerge nella
scena del ballo ad Aalsgaard, mentre la novella si chiude quasi con
le stesse parole che suggellavano la fine del primo capitolo. Chi
vive di poesia, aveva detto Clemens Brentano, ha perduto
l'equilibrio; l'esperienza di Tonio Kròger ripercorre i gradi
successivi della riconquista di questo baricentro perduto.
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