Romanzo pubblicato nel 1925-26, prima a puntate su
«La fiera letteraria», poi in volume. È centrato
sulle vicende dì Vitangelo Moscarda, che da un
banale fatto quotidiano trae occasione per avviare
un processo di riflessione che si conclude in modo
imprevedibile. La moglie infatti un giorno gli fa
notare, mentre egli si guarda allo specchio, che
il suo naso pende a destra. Vitangelo non si era
mai accorto della cosa e ne trae motivo per
riflettere sui contrastanti modi coi quali viene
percepita la realtà da ognuno di noi,
sull'inesistenza di una realtà univoca,
sull'infinita varietà con, la quale ognuno appare
agli altri (uno, nessuno e centomila, appunto).
Vitangelo quindi, spinto da queste inquietanti
riflessioni, va contro la logica corrente, e
compie atti che misurati secondo quella appaiono
assurdi e contraddittori (chiude la banca che
gestisce) attirandosi l'ostilità della moglie e
dei soci che pensano di farlo interdire.
Accettando il consiglio del vescovo, devolve i
suoi beni in opere di carità, ma questo e altri
gesti che lo portano a una vita in solitudine,
lontano dal mondo, sono da lui vissuti come
ragionata rinunzia alle maschere e ai doveri che
la vita associata impone, come rinunzia a
un'identità (d'altra parte, impossibile), come
aspirazione a una vita senza passato e senza
futuro.
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