ALESSANDRO MANZONI
I "Promessi Sposi" sono
il primo grande romanzo italiano di intonazione realistica.
Precisiamo subito, però, che il "realismo" manzoniano si inquadra in
una concezione idealistica della vita: esso nasce dall'esigenza
dell'Autore di aderire con scrupolo alla storia degli uomini, ma è
in funzione di un riscatto dell'umanità destinato a compiersi
nell'aldilà.
La vicenda dei protagonisti è essenziale all'Autore per poter
esprimere la sua profonda ispirazione, il suo Vero, che consiste
nell'eterna lotta tra il Bene ed il Male, ma essa si inserisce
costantemente in situazioni ben più rilevanti della storia di quegli
anni, senza per questo annullarsi e neppure ridimensionarsi agli
occhi del lettore, che partecipa al dramma dei due giovani promessi
con non minore commozione di quella che lo coglie alla visione dei
campi desolati e inariditi dalla siccità, delle strade di Milano ora
invase dalla folla tumultuante ora squallidamente deserte per timore
della peste, dell'agghiacciante scenario del Lazzaretto. Forse è
proprio qui il segreto della "coscienza storica" del Manzoni, che
non riesce a cogliere alcun significato nei grossi avvenimenti della
storia se non verificandone cause ed effetti nelle singole coscienze
degli uomini, potenti od umili che siano, dato che la vera tragedia
della storia è lì che si compie.
E che di tragedia si tratti è dimostrato dalla considerazione, tutt'altro
che gratuita, che la vita è essenzialmente "dolore", l'egoismo non
paga, la fede in una superiore Giustizia resta l'unica risorsa
dell'uomo per fargli accettare la vita come dolore e il Bene come un
valore. Si spiega così nel romanzo la costante presenza della
Provvidenza, che non è un personaggio a sé stante come i miti delle
divinità pagane nelle opere classiche, ma è indistintamente,
impalpabilmente dappertutto: è l'anima stessa della storia. D'altra
parte la storia, al di là delle apparenze che ce la mostrano assai
spesso in contrasto con la Legge di Dio, non può che tendere verso
il fine supremo prescritto da Dio.
Quindi i veri protagonisti del romanzo sono la Provvidenza e la
Storia.
La novità più sorprendente del romanzo è data dalla presenza dei
personaggi tratti dal popolo, dei cosiddetti "umili", che per la
prima volta compaiono come protagonisti di un'opera letteraria. A
questo mondo di umili il Manzoni aderisce con intima cordialità e
profonda solidarietà. E se pure è vero che egli tratti quella povera
gente con affetto e con simpatia ma pur sempre con un certo
compiaciuto divertimento nel sottolinearne l'ingenuità od anche
l'astuzia proverbialmente contadinesca, è senz'altro da scartare
l'ipotesi di un atteggiamento volutamente malizioso ed è piuttosto
da riscontrare in ciò la registrazione fedele di un rapporto
genuino, non farisaico, fra l'Autore, aristocratico intellettuale, e
le sue umili creature.
E forse proprio grazie a questa genuinità di rapporti è nato il tono
umoristico del romanzo, che poi ha assunto l'ufficio, ben più
importante ed essenziale all'ispirazione etico-religiosa, di far da
livellatore tra la severità del giudizio morale e l'umana
comprensione o di limitare l'asprezza della polemica sociale.
I caratteri essenziali dello stile del romanzo sono da individuare
nella "naturalezza" del discorso narrativo e nella disinvoltura con
cui l'artista registra, soprattutto nei dialoghi, il tono della
parlata popolare. Abbiamo detto: il "tono", perché in effetti la
lingua è rigorosamente selezionata nel lessico (certamente senza
l'ottuso perfezionismo dei puristi) e controllata nella costruzione
sintattica, come se il Manzoni prestasse la sua sapienza linguistica
a quei poveri popolani senza punto condizionarne la schiettezza,
l'istintiva aderenza al linguaggio delle cose, la semplicità ed
infine quel non so che di pittoresco, di rustico, che sempre affiora
dalla bocca dei "paesani". |