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SANITA' Un modello che funziona,ma solo con alcuni. Dietro le quinte degli ospedali s.p.a.
| CONTENUTI EXTRA Il sistema sanitario USA
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sicuramente esemplare. Distinto dal nostro modello di servizio sanitario nazionale, universalistico, che prevede per tutti un certo numero di servizi gratuiti (il pronto soccorso, il ricovero ospedaliero) e non prevede il pagamento delle prestazioni oltre le quote di franchigia a rimborso, bensì come contributo per una quota-parte del loro costo, il sistema sanitario Usa è il capofila nell'aver introdotto il mercato in sanità e non offre a tutti i cittadini il diritto di accesso: l'assistenza gratuita è riservata agli anziani ultra-65enni, agli indigenti (soprattutto donne e bambini) e ad invalidi e ciechi. | Il sistema sanitario USA Percentuali e dati sul modello statunitense dell'assistenza sanitaria. Una guida completa che vi farà andare via la voglia di ammalarvi negli USA. http://www.the1phoenix.net/italiano/morte.htm http://www.cgil.it/org.politicasalute/adessostomeg http://www.assinews.it/sanita/testi/mar52_180701cs.html
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Prima di fare alcune considerazioni più generali su efficacia, efficienza, qualità e spesa sanitaria, è utile descrivere per sommi capi il modello americano, caratterizzato da una frammentazione dovuta al gran numero di soggetti erogatori di prestazioni e di agenzie assicurative. Parliamo di un modello di mercato vero in sanità, con chi fornisce i beni di consumo (le prestazioni) da una parte e chi li paga (le assicurazioni) dall'altra, con i cittadini-fruitori-clienti del sistema, la cui possibilità di avere insieme qualità e "buon prezzo" del prodotto-prestazione è sempre più subordinata al rapporto costi/benefici a vantaggio del soggetto pagante. Per poter funzionare così, il sistema americano vede la netta separazione tra ospedali (che assorbono la maggior parte dell'attività sanitaria, con progressivo abbandono di funzioni quali quelle della prevenzione, della continuità terapeutica, dell'integrazione socio-sanitaria) e soggetto pagatore (governo federale nel medi-care/medic-aid o assicuratore per il "restante" 62% della popolazione). In questo modello non esistono una programmazione né una pianificazione sanitaria, e quindi non esistono una programmazione e una pianificazione della spesa, in quanto chi produce la prestazione viene remunerato "a piè di lista" per ciò che ha erogato come servizio, sia che ci sia stata anticipazione da parte dell'assistito (e poi l'intervento dell'assicurazione), sia che provveda direttamente il governo. Per rendere più rigida e uniforme (rispetto alle tensioni di mercato) la remunerazione a prestazione, è stato introdotto il sistema dei DRG, che significa -tradotto da Deseases Related Groups- Raggruppamento Omogeneo di Patologie: è una tariffa forfettaria, in base alla quale viene pagata ogni prestazione che ricada nell'ambito di uno stesso gruppo, con l'obiettivo di evitare la "contrattazione" tra acquirente e fornitore per ogni prestazione di ricovero ospedaliero. Se il DRG (introdotto in Italia, nella Sanità aziendalizzata che deriva dal modello di Ssn prefigurato dai decreti 502/92 e 517/93) risolve positivamente problemi di contrattazione sul prezzo della prestazione (e consente un minimo di uniformità di mercato per quanto concerne la ricaduta dei costi assicurativi per il "cliente"), non c'è dubbio che faccia correre alcuni rischi al paziente: in primo luogo, spinge verso un maggior numero di prestazioni "redditizie", con l'incentivazione per l'ospedale a investire e specializzarsi in esse e a dismettere progressivamente le altre; inoltre, poiché a questo punto convenienza economica e coerenza clinica hanno difficoltà a coesistere, diventa utile "ritoccare" le pratiche diagnostiche e terapeutiche per massimizzare i pagamenti ricevuti, attraverso -ad esempio- la classificazione di pazienti in DRG a maggiore remunerazione, oppure la dimissione anticipata e la successiva (conseguente) riammissione per avere più ricoveri da contabilizzare. Arriviamo così direttamente ad una domanda che dipende dall'offerta, poiché non c'è più una coesione territoriale che programma e monitorizza le condizioni di salute e quindi l'intermediario del rapporto efficacia/efficienza delle prestazioni resta il "compratore", che organizza pacchetti di prestazioni e quindi orienta la domanda per il fornitore. Il costo economico di questo sistema è alto. Non c'è alcun modo per contenerlo, dal momento che il rapporto tra assicurazione -che spinge per premi sempre più alti a franchigie sempre più elevate- e fornitore della prestazione sanitaria implica una dinamica solo interna, di tipo contrattuale, senza alcun ruolo, se non molto marginale, di calmieratore da parte dello Stato, che però -erogando un'assistenza da "stato minimo"- non ha voce più di tanto sul rapporto qualità/prezzo e non è in grado di dettare condizioni di mercato. La percentuale di spesa sanitaria pubblica rispetto a quella totale negli Usa (pubblica e privata) è ovviamente inferiore a quella italiana (43,9%, contro il 73% in Italia dati 1997, N.d.R.). Ma la sanità americana è così costosa che la spesa pubblica pro-capite è di 3299 dollari contro i 1523 in Italia (stima OCSE), corrispondenti al 30/40% in più di quella italiana, che ha investito in quota capitaria nel triennio '94/'96 1.685.330 di lire. Si tratta quindi di un sistema molto costoso, forse il più costoso al mondo, che assorbe oltre il 14% del PIL. E in tal senso l'introduzione del DRG non ha affatto contribuito a contenere la spesa, che -per le ragioni descritte inerenti ai meccanismi endogeni e d'autoimplementazione del sistema- ha visto un aumento medio annuo della spesa ospedaliera dal 1983 (data di introduzione dei DRG in Medicare) al 1993 pari all'8,5%. Nei costi del sistema sono anche da mettere in conto i meccanismi non di mercato, quale ad esempio l'apparato burocratico necessario ai sistemi contabili, al controllo, alla gestione del contenzioso (si parla del 25% della spesa sanitaria totale). Per le dinamiche di mercato basti soffermarsi sulla concorrenza tra i fornitori di servizi, che si esplica attraverso un'offerta molto elevata, perché il volume di prestazioni a parità di costo rappresenta la base contrattuale con il sistema delle assicurazioni. D'altro canto, l'alto numero di prestazioni offerte ha un effetto di induzione all'uso della prestazione stessa, "compresa nel costo della polizza", e quindi sfruttabile sia dal cliente che dal prescrittore. Non dimentichiamoci, inoltre, che è fortissimo l'intreccio di interessi fra medici e strutture sanitarie, e spesso vanno oltre a quelli legati al potenziamento e al mantenimento di buone posizioni della struttura in cui si lavora e in essa, giungendo alla proprietà o all'azionismo rispetto ai centri stessi. In estrema sintesi, il meccanismo del mercato libero e del sistema assicurativo produce sempre più offerta, che ha bisogno di sempre maggiore domanda da soddisfare, indotta, e pagata. Prima di una riflessione complessiva, che proporremo, è necessario integrare la descrizione del "modello" statunitense consolidato con un altro modello, che è coesistito con quello descritto per molto tempo, e che ha in sé elementi in grado di evolvere positivamente per quanto riguarda la considerazione non puramente mercantile del paziente (che così viene definito da Alain Enthoven, teorico autorevole di questo sistema, invece di "cliente": ha già un senso diverso). Si tratta dello "Health Maintenance Organizations (HMO), cioè "Organizzazioni per la tutela della Salute", che funzionano con il principio dell'offerta di un pacchetto di prestazioni, sia ospedaliere che specialistiche e ambulatoriali, a prezzo fisso prepagato a scadenza annuale. La quota tariffaria complessiva è inferiore rispetto a quella delle assicurazioni, non ha franchigia e la compartecipazione -se c'è- è ridottissima; d'altra parte, il cittadino-cliente deve avvalersi solo dei medici e degli ospedali dipendenti o in rete della HMO. In pratica, la HMO è una organizzazione e costruita da una compagnia assicurativa che acquista strutture ospedaliere e pratiche cliniche di medici di base, o -viceversa- da medici e ospedali che decidono di impegnarsi con un'attività assicurativa. Poiché il meccanismo tende a non forzare il mercato, e la concorrenza si muove su un terreno di convenienze per il paziente (la struttura ha interesse ad offrire un pacchetto più ricco ad un prezzo inferiore, perché la remunerazione non avviene a singola prestazione e quindi non c'è interesse a "gonfiare" i DRG), per molto tempo le assicurazioni e il sistema nel suo insieme hanno frenato l'espansione di questo modello. Ma verso la fine degli anni ottanta, stretti dalla necessità di individuare meccanismi di gestione in grado di abbassare i costi della sanità, si è affermata l'idea della "responsabilizzazione" dei soggetti titolari di funzioni di cura, definita "managed care" o "managed competition", poiché mette in concorrenza la capacità di gestione della quota fissa contrattata con la HMO per un piano di assistenza il più ricco possibile e qualitativamente migliore. E l'utente (singolo o impresa convenzionata) che alla fine dell'anno deciderà su questa base (qualità/prezzo) la confema di quella specifica HMO o il rincaro ad un'altra. Questo meccanismo, nel suo insieme, ha forzato verso la riorganizzazione del sistema Usa, attraverso la modifica dei rapporti fra soggetti erogati, pagatori e fruitori, rimanendo comunque ancorato al mercato -meglio governato- ma senza risolvere il grande problema di quel 13% di cittadini (35 milioni....) senza assistenza alcuna. Naturalmente, esistono grandi sostenitori e grandi detrattori di questo modello, che rappresenta il nuovo orizzonte in Usa. Noi sposiamo due argomenti che ci sembrano centrali, per valutare migliore questa strada piuttosto che quella già consolidata: in primo luogo, si recuperano il peso della prevenzione, dal momento che lo stato di salute migliore degli assistititi si traduce in buon investimento per l'Organizzazione di riferimento e per il ruolo del medico di famiglia (remunerato a quota capitaria), riducendo in corrispondenza quello dell'assistenza specialistica e ospedaliera. Secondariamente, diventano centrali le qualità dell'offerta e la presa in carico del paziente, inducendo migliore qualificazione professionale e verifica dei risultati, piuttosto che la cosiddetta "libertà di scelta" ( i pazienti possono accedere ai professionisti e alle strutture individuate dalla HMO): Enthoven afferma infatti "non credo che il diritto di andare in qualsiasi ospedale sia un grande diritto. Penso invece che le persone siano più interessate ad avere la sicurezza che c'è un'organizzazione che si prende cura di loro..... La vera libertà da tutelare è quella di poter scegliere l'organizzazione che offre servizi di migliore qualità al minor prezzo" (G.Maciocco, Prospettive sociali e sanitarie, n.1/1997). L'elemento più negativo, messo in evidenza da Kassirer in due articoli comparsi nel corso dello scorso anno nel The New England Journal of Medecine, è che comunque la tendenza verso il monopolio da parte di singole Organizzazioni continua; inoltre HMO è frutto e sintomo del carattere esasperatamente mercantile che il modello mantiene, in base al quale "il sistema della quota capitaria, così come applicato in Usa, ha posto circoli particolarmente rigidi all'attività prescrittiva dei medici, al punto che il loro pagamento è trattenuto finché non è definito il costo dei loro pazienti (fino ad arrivare al licenziamento nel caso che il profilo prescrittivo di un medico si discosti dal piano assistenziale contrattato con l'utente)" (G.Maciocco, ib.). Come sostiene Maciocco, appena citato, il nuovo orientamento fondato sulla onnicomprensività assistenziale e la quota capitaria sarebbe una brillante scoperta, se non fosse da anni il fondamento di tutti i servizi sanitari nazionali, gestiti -però- da un soggetto competente unico e pubblico (lo stato/le regioni o l'assicurazione nazionale). In sintesi, poiché l'obiettivo di un sistema sanitario è quello di produrre salute, e non prestazioni, potremmo dire che il sistema fondato su base assicurativa non risponde, per la nostra cultura sociale, a quell'integrazione di efficacia nel conseguire risultati di salute e di efficienza nel perseguirli, che tutte le statistiche riconoscono nettamente superiori per quei paesi che adottano sistemi sanitari nazionali rispetto a quelli basati su casse mutue e assicurazioni. In proposito, i dati OCSE ci dicono -utilizzando come indicatore la mortalità evitabile in relazione a una lista di cause di morte evitabili prima dei 65anni: che i Paesi Nordici, il Regno Unito, l'Irlanda e l'Italia hanno una efficacia -in termini di anni di vita recuperati da quella mortalità evitabile- decisamente superiore rispetto a Germania, Belgio, Lussemburgo, Svizzera e Usa. Alcuni numeri: 1500 anni di vita in più "risparmiati" ogni anno dal nostro paese rispetto agli Stati Uniti (dati standardizzati in base alla struttura della popolazione per età, ogni 100mila abitanti), mentre Germania, Belgio e Francia non superano i 1100 anni "salvati" rispetto agli Usa. Ci piace concludere così. Non era nostra intenzione proporre un confronto fra modelli, quanto piuttosto sostenere -attraverso gli elementi di riflessione che emergono dal modello statunitense- che più privato significa più spesa in sanità e che comunque entrambi comportano l'esclusione dell'accesso al sistema di una porzione significativa di popolazione senza copertura assicurativa e la difficoltà di accesso a prevenzione e cura. (Articolo di Gloria Malaspina pubblicato su Rassegna sindacale) Roma, 30 luglio 1997 http://www.cgil.it/org.politicasalute/adessostomeglio/199903/USA.htm | |||
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