Una causa mossa da FoL, Time Warner, NBC e Viacom-Di William F.Baker, da Washington Post 12 marzo 2002. La recente decisione della corte federale a Washington di ampliare le limitazioni alla proprietà delle televisioni, è stata apprezzata dai network e condannata dai consumatori. Ancora una volta nel mai terminato dibattito sulla deregulation nei media, sono stati tracciati dei condini tra potere corporativo e interessi publici. E ancora una volta gli interessi pubblici sono risultati perdenti. Il telecommunication act del 1996 è stato messo a punto per diventare un mezzo tramite il quale le compagnie che proucono media potevano restare comptetitive nella nuova economia mutltimedia, dominata dai grandi conglomerati. Ma se l’atto del 1996 ha incoragiato la competititività economica nell’industria, ha chiaramente soffocato la competizione sul mercato delle idee, riducendo il numero dei proprietari e in questo modo consolidando, centralizzando e omogeneizzando quelle che prima erano voci diverse. Gli effetti più drammatici si sono verificati nell’industria radiofonica, che non nel 1966 era per nulla deregolata. Fino ad allora c’erano più di 10 mila stazioni radio le cui transazioni valevano più di 100 miliardi di dollari. Adesso ci sono circa 1100 proprietari in meno,con un declino di circa il 30 per cento in sei anni. Il risultato è che più della metà del mercato, l’80 per cento dell’audience è controllata da tre grandi compagnie. Oggi, che anche quello che restava della vecchia regolazione delle televisioni antecedente al 1966 è andata definitivamente dissolta, la conclusione ovvia è una nuova ondata di fusioni questa volta tra network televisivi e televisioni locali. Dal punto di vista della competizione economica, l’allentamento dei limiti di proprietà e l’aumento di proprietà incrociate nei media, sono positivi e creano opportunità di crescita e di profitti. Se le corporazioni imparentate aumentano il controllo non solo sui contenuti dei mass media (televisioni, cinema, quotidiani, giornali, libri) ma anche sulla distribuzione dei contenuti (networks, cavi, satelliti e sistemi telefonici), essi conquistano un volano finanziario, aumentano gli introiti ed espandono il controllo oltre le loro proprietà, monetizzandoli dalla creazione al recupero finale. Ma i ritorni economici delle corporazioni dei media arrivano sotto forma di penalizzazione dell’accesso publico a un fiorente mercato delle idee. Prendete l’esempio dei notiziari televisivi. Per aumentare i margini di interesse, i giganti dei media stanno riducendo le redazioni e gli staff, e producono con lo stesso ufficio notiziari multipli che vengono trasmessi su differenti stazioni. E mentre i programmi di news commerciali (infilati da compagnie di produzione di spettacolo, i cui obbiettivi sono quelli di procurare svago e attirare guadagni) cercanodi attirare il pubblico che ha centinaia di canali tra i quali può scegliere, la qualità giornalistica è calata, e i giornalisti stanno convertendosi verso il sensazionalismo, lo scandalo e la eccessiva semplificazione per cercare di aumentare gli share e il flusso di denaro. Le notizie internazionali in particolare, sono state in prima linea nella guerra delle fusioni. Uno studio dello Shorenstein Center di Harward ha dimostrato che il tempo delle news televisive dedicato alle notizie internazionali è caduto dal 45 per cento negli anni 70 a meno del 14 per cento nel 1995. E’ dunque una sorpresa se così tanti americani capiscono così poco di quanto è successo l’11 settembre?
Alcune industrie prosperano con poca o nessuna sorveglianza. Ma i media sono una eccezione. Le televisioni rimangono il mezzo più potente per le notizie, l’informazione, la consapevoleza culturle e la circolazione delle idee. Visto che abbiamo combattuto battaglie per preservare la vitalità della libera espressione, così dobbiamo difendere l’integrità e l’pertura dei media attraverso i quali manifestiamo questa espressione. Per fare ciò, dobbiamo cercare una guida e una visione che sia rappresentativa non esclusivamente degli interessi corporativi, o della legge della domanda e dell’offerta, ma degli individui e della società americana nel suo complesso. La Corte ha lasciato che la Federal communication commission (Fcc) giustificasse l’eliminazione del blocco del 35 per cento nella proprietà delle stazioni nazionali (ovvero la regola che preveniva il fatto che una compagnia acquistasse altre stazioni Tv se quelle già di sua proprietà coprivano il 35 per cento della audience nazionale). Il diretore della Fcc Michael Powell ha messo in chiaro che lui non è interessato a mantenere i limiti della proprietà sotto le restrizioni delle leggi anti trust che governano altre industrie. E adesso tocca al Congresso prendere una decisione e tenendo publiche consultazioni con un occhio aperto alla protezione della qualità e diversità dei media americani attraverso la legge. La deregulation sta concentrando i poteri, riducendo le opportunità e abbassando la qualità, mettendo un freno al contenuto. Per trattare la televisione come una merce, dobbiamo condividere la filosofia di un precedente direttore dell’Fcc che ha detto: la televisione è un tostapane con le figure. Questa dichiarazione tornerà per infastidirci. Come i nostri parchi nazionali, le onde elettromagnetiche sono un bene nazionale. Lasciati senza protezione, i nostri parchi saranno presto deforestati. Senza una regolamentazione, le onde verranno soffocate.
William Baker è presidente del Thirteen/Wnet New York, la più grande Pbs (Public broadcasting station), e co autore di “Down the tube: An inside account of the failure of American television”.
http://italy.indymedia.org/news/2002/03/42735.php | |