LETTERATURA ITALIANA: IL CINQUECENTO

 

Luigi De Bellis

 


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Il Cinquecento

Ludovico Ariosto
Niccolò Macchiavelli Francesco Guicciardini Torquato Tasso Rapporto Macchiavelli/Guicciardini

Il Cinquecento


 

Il Cinquecento

Ludovico Ariosto: analisi del canto I dell'Orlando furioso

CANTO I

INTRODUZIONE

Il primo canto non solo è tra i più felici del poema, ma ne costituisce quasi il preludio musicale, la sinfonia in cui tutti i motivi dell’opera appaiono mirabilmente accennati, in cui fughe, incontri, combattimenti, casi incredibili, malinconie, tenerezze amorose, si susseguono con una trama rapida e leggera.

Al di sopra di ogni motivo, elemento unificatore di tutto il canto, la figura di Angelica, la sua fuga.

Angelica non ha un’anima sua, non ha un suo carattere: è la giovinezza, la bellezza medesima che appare e trascorre dinanzi agli occhi dei cavalieri, sempre desiderata e mai raggiunta. Quasi un simbolo nella gran tela del poema.

Ora, occorre fin dall’inizio educarsi alla poesia del Furioso. V’è certamente, nel poema, un complesso di sentimenti umani e caldi: l’ amore, la gentilezza, la generosità, l’amicizia, l’ira, la fedeltà, il tradimento, la virtù guerriera ecc. Ma di fronte a tutti questi sentimenti il poeta, anche quando li rivive in sé, rappresentandoli con cordiale partecipazione, mantiene un certo distacco.

[Abbiamo già notato, infatti, come l’A., fin dal proemio, sa ricondurci al quotidiano e al reale di botto, e rompere così l’incantesimo di “era ‘l tempo...”, per raggiungere un equilibrio delicato e difficile tra fantasia e realtà e abbiamo altresì visto - anche nelle Satire - che spesso l’A. si accosta ai casi della sua vita, e ai personaggi incontrati, armato di un lieve sorriso di simpatia, di ironia e di indulgenza.]

Ora, nel poema, circola un lieve e aereo sorriso: a volte è lo strumento che consente al poeta di “prendere le distanze” (“Ecco il giudicio uman come spesso erra...”; “O gran bontà...”), ora è la manifestazione del suo entusiasmo per il rinnovarsi della vicenda, per l’alternarsi e succedersi di eventi e sentimenti ed è quindi godimento dello spettacolo sempre nuovo e vario della vita.

E di fronte a questo spettacolo l’A. non parteggia, non sceglie, non giudica e non predilige, perché “degli uomini son varî gli appetiti” e perché solo per la sua ricchezza multiforme la grande giostra della vita gira.  

E lui, piccolo sorridente dio creatore, la contempla tutta, la vita, e lascia nei lettori l’impressione ultima di quell’”armonia” che è il riflesso del suo animo, serenamente aperto a tutta la vita umana, ma che è anche la suprema aspirazione estetica del secolo del Rinascimento, dalla cupola di S. Maria del Fiore al David di Michelangelo.  

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