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4. L'antropologia
L'uomo
per san Tommaso è la creatura che riassume e supera tutte le perfezioni del
creato; l'essere umano è un composto indivisibile di materia e forma: la
materia è il complesso degli elementi corporei, la forma è l'anima.
L'anima è sostanza spirituale, creata direttamente da Dio, al momento della
costituzione ontologica dell'umano individuo. Si tratta di un'azione
diretta di Dio con la quale l'uomo è tale in virtù di un principio
trascendente che è forma e vita del suo essere. Tale principio è
sostanza semplice cioè inestesa; è pura forma, la cui natura
è essere spirituale, quindi analoga a quella divina; perciò
intende, vuole ed è libera. Da qui san Tommaso prende occasione per
rivendicare l'autonomia dell'anima individuale contro l'averroismo, secondo
il quale vi sarebbe un intelletto unico e universale che attuerebbe la
conoscenza nei singoli esseri razionali. Se ciò fosse vero non potrebbe
esistere la persona singola, con la sua autonomia conoscitiva e con la sua
libertà, ma vi sarebbe una conoscenza unica, un'anima sola, che attuando la
conoscenza in tutti gli individui in modo uniforme, non sarebbe di nessuno,
e l'anima umana perirebbe col corpo; ciò ripugna alla ragione, cioè
all'esperienza e al senso comune.
Unità
di anima e corpo
Come
ogni composto fisico, anche il composto umano risulta da una materia attualizzata
dalla rispettiva forma sostanziale, che è l'anima intellettiva. Su
questo punto san Tommaso accetta in pieno l'antropologia di Aristotele, aggiungendovi
però la sua specifica e originale dottrina dell'atto di essere; infatti,
per san Tommaso l'anima è la forma del corpo, ma l'atto di essere
dell'individuo è l'atto dell'anima stessa. Di conseguenza, san Tommaso
arriva a concepire la sussistenza dell'anima separata dal corpo dopo la
morte; infatti, in tale situazione l'anima umana è sempre un composto:
l'essenza attualizzata dall'atto di essere. Dunque, per san Tommaso,
l'immortalità dell'anima umana - che per la filosofia cristiana è un
presupposto teologico irrinunciabile - è una verità filosofica derivante
dalla concezione metafisica dell'anima come forma sussistente di essenza ed esse,
e pertanto capace di conservarsi nell'essere anche quando non entra più
in composizione con la materia. Come scrive Gilson, "la riflessione
di Tommaso d'Aquino dipende totalmente - qui come altrove - dal fatto che
egli sottomette la ricerca filosofica all'evidenza empirica, anche quando
questa sembra implicare una certa contraddizione. L'evidenza empirica è che
l'uomo è un essere materiale, giacché ha un corpo, ma allo stesso tempo è
capace di pensare, ossia ha una facoltà che è propria degli enti
spirituali; deve dunque avere per natura qualcosa in comune con gli animali
(corpi che non pensano) e qualcos'altro in comune con gli angeli (enti che
pensano ma non hanno corpo). Tommaso, volendo rispettare la natura dei
fatti, non ha accolto la tesi di Empedocle o di Galliano, per i quali
l'anima sarebbe una mera qualità fisica del corpo; e nemmeno ha accolto la
tesi di Platone che concepisce l'anima come una sostanza immortale che non
ha bisogno del corpo. Tommaso conserva sia l'unione sostanziale dell'anima
con il corpo che la possibilità di una autonoma sussistenza dell'anima
stessa, e questa conciliazione gli è possibile proprio in virtù della sua
specifica ontologia dell'esse" [ETIENNE GILSON, Eléments d'une
métaphysique thomiste de l'étre, in "Archives d'histoire
doctrinale et littéraire du Moyen Age", 1973, p. 33].
Nella
antropologia tomista viene sottolineata vigorosamente l'unità del composto
umano
Per
san Tommaso la natura dell'uomo, pur essendo composta come quella di tutti
gli altri enti creati, è in ciascuna persona concretamente esistente come
qualcosa di assolutamente unitario. Ciò che modernamente chiamiamo l'io - e
la trascendenza dell'io costituisce, come vedemmo nell'Introduzione, una
delle evidenze del senso comune - è appunto l'unità sostanziale dell'uomo,
della persona umana nella sua concreta e individuale esistenza. Non c'è un
vero e proprio dualismo nell'antropologia tomista, perché l'uomo è un solo
ente, una sola sostanza; scrive infatti l'Aquinate: "L'anima
comunica alla materia corporale l'atto di essere per cui essa stessa
sussiste; da tale materia corporale e dall'anima intellettiva risulta un
unico soggetto, dato che l'essere del composto è il medesimo essere
dell'anima" (Summa theologiae, I, q. 76, a. 1). Come
giustamente scrive Michele Federico Sciacca, "l'uomo, per la sua
corporeità, è radicato nel mondo materiale, ma per la sua anima
intellettiva trascende la natura ed è rispetto a essa autonomo e
indipendente. Questa tesi consente all'Aquinate di correggere con Aristotele
il platonismo o spiritualismo della cultura cristiana del suo tempo, e di
respingere con Platone e il platonismo il naturalismo dell'Aristotele
averroista. In altri termini, all'interno della formula aristotelica -
"l'anima è la forma sostanziale del corpo" egli introduce
una concezione spirituale di essa che ne salva la trascendenza" [MICHELE
FEDERICO SCIACCA, Prospettiva sulla metafisica di san Tommaso, Ed.
L'Epos, Palermo 1990, p. 118]. Anche in questo specifico argomento la
sintesi tomista garantisce uno straordinario equilibrio, tanto che nei
secoli successivi ci si richiamerà proprio all'antropologia di san Tommaso
quando si vorranno evitare gli opposti rischi dei materialismo naturalistico
e dello spiritualismo disincarnato; come giustamente sottolinea ancora
Sciacca, l'antropologia tomasiana si può compendiare nel considerare "l'uomo
nel mondo e non per il mondo: questa l'antropologia di Tommaso, non
spiritualistica né materialistica, ma dell'uomo integrale; cosmologica e
teologica insieme, ma nel senso che il suo essere nel mondo a cui è
intrinseca una finalità supermondana rende impossibile il cosmologismo che
è sempre naturalismo; e il suo "essere-per-Dio" attraverso il
mondo evita il teologismo, che è sempre un comodo pretesto per evaderne
ed eluderne l'impegno per cui l'uomo è stato creato creatura intelligente
incarnata, "cittadino" del mondo e non in esso due volte
prigioniero: della "prigione" del corpo e di quella della terra"
[MICHELE FEDERICO SCIACCA, op. cit., p. 121].
L'anima
dunque è sostanza autonoma; contiene un complesso di potenze distinte e
inseparabili di cui si serve per la sua complessa attività, sia nella sfera
del mondo corporeo che in quella dello spirito: "L'anima umana -
insegna l'Aquinate - ha bisogno di molteplici attività e potenzialità...
poiché essa si trova sul limitare dei due mondi, quello delle creature
spirituali e quello delle corporee, e perciò in essa si incontrano le
potenze della sua natura e delle altre". Come si vede, l'uomo non
solo è principe dell'universo, essendo la creatura più perfetta, ma
è anche la creatura unica che, oltre a vivere coscientemente nello
spazio e nel tempo, partecipa della divina eternità. Le potenze dell'anima
sono ordinate gerarchicamente secondo i generi, come quello vegetativo,
sensitivo e intellettivo. Sicché "tutta la natura corporea -
insegna san Tommaso - è sottoposta all'anima e compie rispetto a essa
una funzione in quanto non si esercita per mezzo di un organo corporale:
questa è l'attività dell'anima razionale".
Della
potenza vegetativa è propria la nutrizione e la riproduzione;
a quella sensitiva appartiene la sensazione, sia esterna
(i cinque sensi) che interna ("sensus communis", immaginazione,
memoria, ecc.); la potenza intellettiva è l'intelletto, distinto in
speculativo (teoretico) e pratico. L'intelletto speculativo è
potenza conoscitiva, distinta in: a) intelletto passivo, come potenza
spirituale del conoscere in universale; b) intelletto agente che ne
è principio di attuazione; c) ragione, intesa come attività
logico-discorsiva. L'intelletto pratico è: a) coscienza, consapevolezza
dell'atto da compiersi, nella situazione concreta, come "verum";
b) base della libera volontà, cioè della potenza appetitiva dell'anima
per il possesso dell'ente come "bonum"; c) una capacità di
afferrare i principi primi dell'ordine morale, ossia la sinderesi, abito
speciale dell'anima con cui la ragione intuisce le norme del retto e
del giusto da attuare.
Spesso
si afferma che san Tommaso, esaltando il valore dell'intelletto, ha
sacrificato la volontà; quindi il suo sistema altro non sarebbe se non
esagerato intellettualismo che contesta alla volontà il suo giusto valore.
Ma ciò non pare esatto se si esamina brevemente la sua dottrina a tal
proposito. L'intelletto, in ordine logico, in sé e per sé, per san Tommaso
"è assolutamente superiore e più nobile della volontà".
E ciò non perché l'Aquinate minimizzi il valore della volontà, ma perché
"l'oggetto dell'intelletto è più semplice e assoluto dell'oggetto
della volontà. Infatti - prosegue l'Aquinate - l'oggetto
dell'intelletto è la stessa essenza del bene desiderabile, mentre il
bene desiderabile, l'essenza del quale è nell'intelletto, è
oggetto della volontà... Ma da un punto di vista relativo in rapporto ad
altro, si può constatare che la volontà è talora superiore
all'intelletto, cioè quando l'oggetto della volontà è posto in una
cosa più pregevole dell'oggetto dell'intelletto, come se dicessi che
l'udito [paragonato alla volontà] è relativamente più nobile della
vista [paragonata all'intelletto] in quanto la cosa che suona è più
pregevole di un'altra, che è colorata; per quanto in sé e per sé la vista
sia superiore al suono [...]. L'atto dell'intelletto dunque consiste
nell'intendere l'essenza della cosa conosciuta, cioè presente nel soggetto
intelligente; l'atto della volontà, invece, si compie in quanto il soggetto
si volge verso la cosa stessa come è in sé nella sua realtà oggettiva".
Ciò significa, più brevemente, che "nihil volitum quin
praecognitum", in quanto la volontà si esprime positivamente solo
appetendo e raggiungendo il bene che l'intelletto le presenta come vero; in
tal modo l'intelletto "secundum se et sempliciter altior et nobilior
est voluntate", proprio per quella visione critico-realistica con
cui l'Aquinate analizza la natura umana sostanziata di razionalità che
coscientemente e liberamente si attua.
Il
"concorso divino" nelle azioni umane
Per
san Tommaso Dio è presente come creatore in ogni realtà in atto (è la
dottrina della "conservazione" che rappresenta l'attualità
perenne della creazione); pertanto, anche le azioni umane - comprese le
azioni libere studiate dalla morale - sono rese possibili dall'intervento di
Dio che dà loro l'essere, senza il quale non sarebbero possibili: "Dio
ha dato l'essere a tutte le cose nel loro inizio, e continua a dare loro
l'essere finché esistono [quamdiu sunt, eas in esse causat]; di
conseguenza, Dio non solo fornisce alle creature determinate capacità
operative nel momento in cui vengono all'esistenza, ma per tutta la loro
durata [semper eas in rebus causat]. Se l'influsso divino cessasse,
ogni azione risulterebbe impossibile [cessante influentia divina, omnis
operatio cessaret]" (Contra gentiles, III, 67,3). Questo
influsso metafisico di Dio creatore sulle azioni della creatura viene
chiamato "concorso divino" e significa che il rapporto tra Dio
(come prima causa) e la creatura non si perde mai, nemmeno quando la
creatura è a sua volta una causa (causa secunda) ma il concorso
divino, proprio perché trascendente, non altera bensì rende possibile la
natura delle operazioni specifiche di ogni "causa seconda"; se si
tratta di una causa seconda libera, come nel caso dell'uomo, il concorso
divino non elimina tale libertà ma è proprio ciò che la rende possibile e
la attua.
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