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5. La gnoseologia
La
conoscenza del mondo non è per san Tommaso semplice contatto materiale
dei sensi con gli oggetti esterni (Democrito, Epicuro), né ricordo di una
lontana visione (Platone); non è neppure il risultato di una intuizione
dell'azione di Dio nel mondo per effetto di una illuminazione divina
(sant'Agostino e agostinismo di san Bonaventura); è frutto di un processo
astrattivo, già insegnato da Socrate e approfondito da Aristotele.
Infatti a Socrate viene attribuita da Platone la scoperta dell'astrazione
intellettiva dalla quale ha origine il concetto universale, cioè
la verità; Aristotele poi aveva insegnato che l'"intelletto
agente" costituisce il principio attivo di ogni soggetto conoscente.
I pensatori islamici contaminarono questa dottrina separando l'intelletto
agente dal soggetto e identificandolo con una potenza unica, come s'è
visto, esistente al di fuori e al di sopra del mondo e che produce la
conoscenza nei singoli soggetti. San Tommaso oltre che rivendicare,
sviluppa e approfondisce il processo astrattivo della Stagirita, poiché
si rende conto della necessità dell'astrazione da parte dell'intelletto
individuale per la conoscenza delle cose.
Gli
enti del mondo fisico, infatti, essendo di natura materiale, differiscono
dalle potenze intellettive, le quali sono di natura spirituale; perciò è
impossibile la conoscenza intuitiva, intesa come contatto immediato
tra l'intelletto e le cose. D'altra parte l'intelletto, pur essendo
spirituale, non può conoscere intuitivamente neppure l'oggetto spirituale
(l'anima, gli angeli, Dio), poiché la sua natura, costituendo la forma
del corpo, implica un legame metafisico con la materia che non le
permette alcuna conoscenza se non per mezzo di analogie e astrazioni che
trovano il loro principio o punto di partenza nell'esperienza sensibile.
Quindi l'intelletto, facoltà spirituale, è privo di idee che non
derivino dall'esperienza; senza l'esperienza è "tamquam tabula
rasa in qua nihil scriptum est", una tavoletta bianca su cui
nulla v'è di quanto è in noi e attorno a noi.
Perciò
nel processo conoscitivo è necessario distinguere due momenti importanti,
la sensazione e l'intellezione.
La
sensazione
In
san Tommaso si riscontra dunque, come in Aristotele, un empirismo che però
non impedisce di concepire l'esperienza come dotata anche di nozioni
intellettuali: egli scrive: "Omnis nostra cognitio incipit a sensu";
non si può parlare di conoscenza, dunque, se non attraverso la
sensazione: ciò non significa che il processo conoscitivo si identifichi
con la sensazione, limitando la conoscenza alla sfera del particolare. La
conoscenza non può essere confusa con la sensazione, ma, per san Tommaso,
essa trova nell'esperienza sensibile il presupposto fondamentale di cui
l'intelletto si serve per la genesi delle idee, che costituiscono appunto
la scienza universale, la conoscenza. Nella sensazione è necessario
considerare due aspetti: l'impressione esterna e la percezione
interna; i sensi, potenze passive rispetto agli oggetti, vengono
impressionati dal mondo esterno; questa impressione è la "specie
sensibile impressa", cioè il complesso di qualità che i sensi
ricevono dall'oggetto; in ciò consiste l'impressione esterna ed è il fondamento
iniziale di tutto il processo. I sensi esterni reagiscono alle
impressioni comunicandole ai sensi interni; abbiamo così la "specie
sensibile espressa"; si tratta di fantasmi o immagini di quegli
oggetti particolari che hanno impressionato i sensi esterni.
L'intellezione
L'intellezione
è la conoscenza dell'ente nel suo "actus essendi" e
nella sua "essenza" universale, che per san Tommaso si coglie
con l'astrazione; astrarre in generale significa considerare soltanto
alcune dimensioni di un oggetto tralasciandone altre; nel processo
gnoseologico vuol dire generalizzare, andare al di là degli aspetti
particolari, universalizzare, trascendere cioè le note individuali e
contingenti (tempo, luogo, figura ecc.) dell'oggetto percepito dai sensi.
L'astrazione così intesa è attività esclusivamente spirituale; quindi
non può essere che intellettiva. Ma, per san Tommaso, anche l'intelletto
è potenza passiva, "intellectus possibilis", intelligibilità
in potenza. E' necessario perciò distinguere, come nella
sensazione, due aspetti della intellezione, caratterizzati uno dalla "species
intellegibilis impressa", o astrazione dell'universale per mezzo
dell'intelletto agente, e l'altro dalla "species intellegibilis
expressa", o intellezione completa, per mezzo dell'intelletto
possibile diventato atto.
Il
fantasma infatti, cioè l'immagine sensibile, diventa oggetto di una luce
connaturata all'anima: è la luce dell'intelletto agente; questo
non è una facoltà conoscitiva, ma è attività astrattiva, cioè
selettiva, in quanto spoglia il fantasma nelle qualità particolari e vi
astrae le note universali. L'intelletto agente fa ciò inconsciamente, poiché
la vera facoltà conoscitiva è l'intelletto possibile che è intelligibilità
in potenza; l'intelletto agente però, a differenza di quello
possibile, è attività; quindi costituisce il principio attivo dell'intelletto
possibile. Tale attività è luce spirituale, come s'è visto, che
spiritualizza il fantasma degli oggetti percepiti dai sensi; si tratta di
una facoltà spirituale che, come tale, può assimilare il fantasma solo
generalizzandolo, cioè facendolo simile alla sua natura, semplice
e universale, quindi universalizzandolo. Tale universalizzazione
costituisce l'oggetto che l'intelletto agente imprime all'intelletto
possibile; e per questo viene chiamato "species intellegibilis
impressa"; in ciò appunto consiste l'astrazione.
A
questo punto l'intelletto possibile entra in possesso della specie
intellegibile impressa, cioè dell'astrazione impressagli dall'intelletto
agente, e l'apprende come un quid universale, come un essere
ideale, che mette immediatamente in relazione con l'oggetto esterno da cui
i sensi avevano ricavato il fantasma; da tale relazione l'intelletto
esprime la conoscenza. In ciò consiste la "species intellegibilis
expressa", cioè il "verbum mentis", o parola
interiore, o concetto; il concetto perciò è intellezione in atto,
termine della cognizione. Si tratta della visione mentale, la quale altro
non è se non la riproduzione spirituale dell'oggetto, formata
dall'intelletto possibile al momento in cui viene attuato dall'intelletto
agente. Siamo così alla "simplex apprehensio"; l'intelletto
cioè è entrato in possesso della prima nozione dell'ente, cioè della
presenza dell'oggetto nel soggetto, che equivale alla coscienza
ontologica.
Dalla
semplice apprensione, dalla coscienza ontologica cioè, nasce il giudizio;
questo consiste nell'attività consapevole con cui l'intelletto coglie
le relazioni ontologiche e logiche tra l'ente-intelligente e
l'ente-oggetto, cioè tra il conoscente e il conosciuto. Da tali relazioni
si ha la visione della verità: la verità, per san Tommaso, è dunque la
visione intellettiva della corrispondenza che intercorre tra l'oggetto
percepito dai sensi e il concetto che l'intelletto se ne fa, possedendone
la forma, che ha acquistato con la sua intelligibilità astrattiva; in
altre parole la verità è l'"adaequatio intellectus et rei".
L'"intelligere" (o "intellegere") è
sempre interpretato da san Tommaso come actus intellectus, cioè
come esercizio della facoltà conoscitiva che si esplica prima nella simplex
apprehensio (che direttamente coglie l'essenza della cosa ma attinge
indirettamente l'essere della cosa), poi nel iudicium (che invece
attinge direttamente l'essere come atto radicale e fondante la cosa) e
infine nel ratiocinari (che consiste nell'indagare intorno alla
cosa conosciuta, con lo scopo di scoprirne le varie parti, proprietà,
relazioni, ecc.). Secondo quanto suggerisce la stessa etimologia, lo intelligere
dell'uomo è un "leggere dentro" la cosa appresa dai sensi
nella sua esteriorità fenomenica.
Il
conoscere così, delineato non consiste in un processo meccanicistico in
cui tutto avviene secondo un succedersi schematico di fenomeni
fisico-sensibili e di norme logiche e tecniche, ma è sforzo ascensivo che
l'anima compie incessantemente per possedere sé stessa, giacché l'uomo,
come sappiamo, è essenzialmente ente razionale. Quindi, l'astrazione gli
è necessaria, poiché gli oggetti che lo circondano e il suo stesso
organismo sono individuali e particolari; mentre l'intelletto, essendo una
natura spirituale, e vivendo implicato nella materia, come forma di
questa, può conoscere solo in universale. Ma l'intelletto dove attinge
l'universale? Ci troviamo di nuovo di fronte alla questione degli
universali, che san Tommaso risolve con una sintesi equilibrata delle
soluzioni precedenti. Per l'Aquinate l'universale va considerato sotto un
triplice aspetto: "ante rem" o Universale teologico, "in
re", o universale metafisico e "post rem" o
universale logico.
a) Ante rem è l'universale considerato prima delle cose, cioè
prima degli oggetti, ed è l'universale-causa, Dio, in cui si identifica
essenza ed esistenza, intelligibile e intelletto.
b) In re l'universale è negli esseri particolari; ciò è
evidente, poiché se Dio ha creato tutte le cose, nelle creature vi deve
essere l'impronta trascendente e universale del loro creatore, anche se le
cose si manifestano nella loro individualità, particolarità e
contingenza.
c) Post rem: quello stesso universale che è nella mente creatrice
dì Dio, e che è nelle cose create, costituisce anche l'oggetto della
conoscenza. che l'umano intelletto raggiunge e possiede per mezzo
dell'astrazione e del giudizio, secondo i limiti della sua natura [Cfr Summa
theologiae, I, q. 12, a. 2, c.].
San
Tommaso in numerosi passi non teme di indicare i limiti della conoscenza
umana quando indaga le realtà sensibili: "[Vi sono] deficienze
che riscontriamo ogni giorno nella nostra conoscenza. Ignoriamo infatti
molte proprietà delle cose sensibili, e anche di quelle apprese dai sensi
non siamo in grado di scoprire perfettamente il perché dei molteplici
aspetti" (Contra gentiles, 1, 3; cfr anche In De
hebdomadibus, lect. 2, n. 23; De veritate q. 10, a 1). Si
potrebbe osservare che questa consapevolezza del limite preannuncia
l'affermazione della finitezza dell'uomo (unita alla sua "storicità")
operata da Heidegger. Certo, rispetto al razionalismo moderno (in
particolare nel suo esempio più paradigmatico quale è l'idealismo
hegeliano) si può accettare una convergenza tra tomismo e pensiero
heideggeriano. Ma si è ben lontani da una identificazione di prospettive.
Soprattutto perché i concetti tomistici di "actus essendi" e
di "intellectus" si sottraggono a ogni relativismo
storicista, sia ontologico che gnoseologico.
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