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6. Morale e politica
Carattere
metafisico dell'etica tomasiana
Come
dice Gilson, il primato dell'essere lascia una traccia evidente in tutti i
discorsi che san Tommaso fa su Dio, sulla creazione, sulla creatura e sui
rapporti della creatura con il creatore. I problemi relativi alla
struttura metafisica dell'essere finito sono tutti legati, più o meno
immediatamente, alla nozione metafisica di atto di essere come perfezione
della natura (quidditas). Gli enti finiti sono creati a immagine
dell'Essere. Il nesso tra queste nozioni si allenta quando si smette di
parlare della natura di Dio e della sua azione specifica (che è il
creare) e si passa al problema della bontà degli atti umani, studiata
dalla morale. Mentre la metafisica si riferisce sempre, in un modo o
nell'altro, alla nozione di essere, la morale parla dell'uomo come
immagine di Dio, come ente dotato di libero arbitrio e dunque padrone dei
suoi atti; cosicché è l'essenza (quidditas) dell'uomo, la sua
natura, ciò che costituisce nella morale il punto di riferimento di ogni
valutazione. Con questa impostazione infatti la morale tomista cerca di
stabilire quale sia il fine proprio delle azioni di un ente che ha la
natura umana, e quali siano i mezzi necessari per raggiungere tale fine.
Comunque, anche gli atti morali dell'uomo appartengono alla sfera
dell'essere: il soggetto che agisce, il suo potere di agire, il suo libero
arbitrio e persino la sua stessa libertà di scelta, insomma, tutto quello
che fa dipende da Dio, ossia è un effetto di Dio nella misura in cui è
qualcosa di reale. C'è pertanto uno status ontologico anche per
l'essere che agisce e per la vita morale; la natura precisa di questo status
è assai difficile da comprendere, ma san Tommaso è arrivato a
farsene un'idea ben chiara [Etienne GILSON, op. cit., p. 36].
Il
sistema morale di san Tommaso costituisce una visione critico-scientifica
dell'agire umano; questo è fondato sulla legge naturale, sul fine
ultimo e sulla libera volontà; ogni agente razionale, per san Tommaso, è
sostanziato di questo triplice valore. Triplice valore e triplice
fondamento dell'etica, cioè della norma di condotta secondo la natura
razionale; la quale costituisce i presupposti essenziali per la morale
cristiana, cioè soprannaturale, intesa come elevazione dell'anima dalla
propria natura a quella divina a opera della Redenzione.
La
legge è definita da san Tommaso "una certa regola o norma delle
azioni dalla quale si è indotti ad agire o ad astenersi dall'azione. Si
chiama legge da legare, perché obbliga ad agire. Ora, regola e
norma delle azioni umane è la ragione che è il principio primo degli
atti umani [...]. Si conclude che la legge è una norma che
scaturisce dalla ragione". Come si vede san Tommaso si riallaccia
al pensiero classico e precisamente al giusnaturalismo di Cicerone,
secondo cui ciascun individuo ha, per il senso comune, certezza di una
legge eterna, impressagli da Dio, che costituisce la norma universale del
suo agire. Quindi "tutta la comunità dell'universo -
argomenta l'Aquinate - è retta dalla ragione divina. Perciò il piano
ordinato delle cose in Dio ha forza di legge [...]; ne segue che è
necessario chiamare eterna questa legge". La legge naturale
dunque è "la partecipazione della legge eterna nella creatura
razionale".
Da
questi cenni intorno alla legge naturale appare evidente che l'uomo in
ogni sua azione ha presente e tende ad attuare questa legge come ideale
della perfezione, cioè come raggiungimento del sommo bene o della suprema
felicità. E' per questo che tale ideale costituisce il fine ultimo,
inteso come valore assoluto di priorità; quindi tutti i fini contingenti
delle singole azioni costituiscono una catena di mezzi diretti al
raggiungimento del fine ultimo come pienezza di felicità. Ma in che cosa
consiste la felicità? San Tommaso, analogamente allo stoicismo, insegna
che oggetto della felicità non sono le ricchezze, la potenza, la gloria,
i piaceri sensibili, poiché questi valori sono limitati allo spazio, al
tempo e alla finitezza del particolare, sia oggettivo che soggettivo.
Infatti "il corpo è per l'anima come la materia è fatta per la
forma e gli strumenti per l'uomo che li adopera, affinché per mezzo di
essi eserciti la propria attività, perciò tutti i beni dei corpo sono
subordinati ai beni dell'anima come al proprio fine".
Il
piacere dei sensi dunque, non è la felicità, poiché essendo il corpo la
componente inferiore della persona, il senso non può contenere quella
perfezione ideale cui l'anima tende come a ultimo fine; il piacere
sensibile può costituire solo una qualità accidentale, un mezzo, della
vera felicità. Ne consegue anche che la vera felicità non può essere
riposta nel desiderio, nella tendenza o nell'atto della volontà; questi
possono considerarsi elementi connessi alla felicità; ma non possono
costituirne l'essenza. Il piacere dunque, non può essere identificato con
la felicità come i mezzi non si identificano col fine e la volontà con
l'intelletto; la felicità è valore dell'intelletto non della volontà.
"Ora io affermo - insegna san Tommaso - che, per quanto
riguarda l'essenza della felicità, è impossibile che essa consista in un
atto della volontà, perché la volontà o desidera un fine assente, o
gode di un fine presente, acquietandosi in esso. Ora è chiaro che il
desiderio del fine non coincide col conseguimento del fine, ma è una
tendenza verso il fine. Il piacere deriva alla volontà dalla presenza del
fine, ma non che il piacere, che la volontà trova in una cosa, renda
presente la cosa stessa. Ci deve essere, dunque, una cosa diversa
dall'atto di volontà per la quale il fine venga a essere presente alla
volontà".
Quindi
per san Tommaso la felicità si trova nell'attività intellettiva alla
quale è connesso il piacere della volontà. Per Aristotele la felicità
è la completa attuazione delle potenze perfettive dell'agente, il singolo
ente intellettivo, l'entelechia; per san Tommaso invece, oltre a ciò, è
necessario trascendersi, giacché la vera felicità "non può
trovarsi che nella visione della essenza divina". L'uomo,
infatti, non trova la vera felicità nel suo essere, giacché l'esperienza
insegna che nessuno si appaga del bene o dei beni che raggiunge, poiché
gli rimane sempre "qualcosa da desiderare e cercare" che
è al di fuori e al di sopra dell'agente e che costituisce il termine "ad
quem" cioè l'oggetto della volontà illuminata e mossa
dall'intelletto.
Tale
oggetto è Dio, inteso come Bene sommo nel quale appunto, per san Tommaso,
consiste l'essenza della vera felicità; l'Aquinate illustra questa
dottrina con un esempio: "Se uno vedendo un'eclissi di sole e
considerando che ciò procede da una causa, per il fatto che non conosce
questa causa si meraviglia e indaga, questa indagine non avrà termine fin
quando non pervenga alla conoscenza della causa. Poiché, dunque,
l'intelletto umano, pur conoscendo l'essenza di qualche effetto creato,
non conosce di Dio se non che Egli esiste, la sua perfezione non ha ancora
attinto la causa prima, ma gli rimane tuttora il naturale desiderio di
indagare la natura della causa e perciò non è ancora pienamente felice.
Infatti per la perfetta felicità si richiede che l'intelletto attinga
l'essenza stessa della causa prima. E così otterrà la sua perfezione
mediante l'unione con Dio, perché in questa unione soltanto si trova la
felicità dell'uomo".
Il
pensiero classico, specialmente con Platone e Aristotele, aveva inoltre
stabilito una fatale selezione secondo cui solo pochissimi (i sapienti)
possono raggiungere e possedere la vera felicità; stabiliva una specie di
predestinazione, un privilegio riservato a un'aristocrazia di eletti da
cui la maggior parte degli uomini era esclusa. San Tommaso espone e
approfondisce criticamente la pari dignità degli uomini ragionevoli e
pone l'accento sulla libera volontà, metafisicamente uguale per tutti.
La
libertà per san Tommaso è innanzitutto un valore metafisico, una
proprietà della volontà con cui l'uomo è padrone delle sue azioni e,
conseguentemente, responsabile di esse. "Infatti - spiega l'Aquinate
- tutto ciò che la ragione può apprendere come bene può essere
oggetto della volontà, ma la ragione può apprendere come bene non solo
il volere e l'agire, ma anche il non volere e il non agire; può, d'altra
parte, considerare in tutti i beni particolari la bontà o la
manchevolezza, l'imperfezione, che ha carattere di male e, per
conseguenza, può apprendere ognuno di siffatti beni come degno di essere
scelto o evitato. Solo il bene perfetto, che è la felicità, non può
essere appreso dalla ragione come male o come imperfetto, e perciò l'uomo
vuole necessariamente la felicità, mentre non può volere non essere
felice. Ora la scelta, poiché non verte sul fine, ma sui mezzi, non ha
per oggetto il bene perfetto, che è la felicità, ma altri beni
particolari".
Come
si vede dal testo citato, oltre alla libertà abbiamo anche il problema
del male; infatti, se l'oggetto dell'intelletto è il vero, se questo vero
si identifica col bene quale oggetto della volontà, e se la libera volontà
non può volere che il bene, come si spiega l'errore, il peccato, il male?
Per san Tommaso, analogamente a sant'Agostino, il male è imperfezione
dell'essere, quindi deficienza di bene: "malum ex quocumque
defectu", mentre il bene è pienezza di essere: "bonum
ex integra causa". Ora sappiamo che tutte le creature, compreso
l'uomo, secondo la loro natura contingente sono perfette o perfettibili,
non in senso assoluto, ma secondo i caratteri limitati al loro essere,
giacché solo Dio è pienezza dell'essere, perfezione per essenza, quindi
Bene assoluto. L'uomo per tendervi liberamente come a fine ultimo si serve
delle creature come mezzi, anzi attua una scala gerarchica di fini, dai
valori infimi a quello supremo, in cui i fini inferiori servono di mezzi a
quelli superiori e questi al fine ultimo.
L'uomo,
essendo libero nella scelta di questi mezzi e nell'attuazione di questi
fini particolari, può a suo piacimento scegliere indifferentemente tra
essi per il conseguimento del fine ultimo. Accade però che la libera
volontà confonda i mezzi col fine, venendo meno così alla norma naturale
e fondamentale del senso comune o sinderesi, secondo la quale "bonum
est faciendum, malum est vitandum"; il male sta proprio nella
sostituzione dei beni particolari, che devono servire solo come mezzi, al
bene universale, al sommo bene, al fine ultimo. Si ha così l'"aversio
a Deo" e la "conversio ad creaturas", cioè la
libera sostituzione dei mezzi col fine, e quindi la ricerca del bene
sommo, cioè della felicità, in un bene immediato, in un oggetto
contingente, privo per natura della vera felicità. In tal modo l'uomo
perde liberamente di vista il suo vero oggetto, si crea il male, ponendosi
in uno stato di anormalità teleologica che è effetto di deficienza
metafisica di quel bene che la volontà può cercare soltanto nell'ultimo
fine, cioè in Dio.
Teoria
tomasiana delle virtù speculative e pratiche
Per
l'attuazione della morale l'uomo si serve della virtù; la virtù per san
Tommaso è "abito che perfeziona l'uomo nel bene operare";
ora, siccome l'operare dipende dall'intelletto e dalla volontà, ne
consegue che la virtù può essere speculativa, se perfeziona l'attività
intellettiva, o pratica, se si riferisce all'attività volitiva,
analogamente alle virtù dianoetiche e pratiche dell'etica aristotelica.
Dette virtù sono inerenti alle facoltà umane e sono necessarie "al
conseguimento della felicità". Ma secondo san Tommaso, e
conformemente alla dottrina cristiana, la virtù deve essere considerata
sotto due aspetti, cioè naturale e soprannaturale: mentre ogni essere
ragionevole, infatti, può tendere alla felicità naturale perché
proporzionata alla sua natura, la felicità soprannaturale (alla quale di
fatto gli uomini sono destinati) è invece in rapporto alla grazia e
richiede di partecipare ai frutti della Redenzione. A tal fine non sono
sufficienti le virtù umane, sia speculative che pratiche, ma sono
necessarie le virtù teologali; queste non appartengono alla natura
dell'uomo, come l'intelligenza, la scienza, ecc. (virtù speculative) o
come la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza (virtù
pratiche), ma sono abiti soprannaturali, infusi direttamente da Dio come
effetto della Redenzione, e sono la fede, la speranza e la carità, intese
non in senso umano, ma in funzione esclusivamente soprannaturale. "La
felicità dell'uomo - insegna san Tommaso - ha due gradi: l'uno è
proporzionato alla natura umana [...] l'altro poi costituisce la
beatitudine che eccede la natura umana e a esso l'uomo può pervenire
mediante la virtù divina, per una certa partecipazione alla divinità.
Questi princìpi si dicono virtù teologali, sia perché hanno Dio per
oggetto, in quanto per mezzo di esse ci dirigiamo sicuramente a Dio, sia
perché ci sono infuse solo da Dio, e infine perché ci sono note nelle
Sacre Scritture per effetto della divina rivelazione".
Come
si vede, la morale tomistica si dispiega in un sistema ordinato, in cui i
valori umani trovano la loro sublimazione in quelli divini; qui l'anima
raggiunge il fine ultimo, la felicità piena, il sommo bene, Dio. Si ha
così la sintesi del pensiero morale classico, inteso da san Tommaso come
necessario fondamento umano, e di quello cristiano, elevazione e
deificazione per mezzo delle virtù teologali, delle quali la carità,
intesa come dono totale di sé a Dio e al prossimo, è la più importante,
perché la sua piena attuazione comprende e presuppone le altre.
La
dottrina del bene comune
Intimamente
connessa con la concezione morale, nel pensiero di san Tommaso, è la
dottrina politica intesa come oggettività della morale stessa in armonia
con la metafisica e la teologia. La società per san Tommaso è fattore
indispensabile al completamento del singolo; perciò Aristotele aveva
giustamente insegnato che l'uomo è socievole per natura. L'attività di
uno, infatti, si riversa nell'intera comunità di cui fa parte. Ma il
valore della società è subordinato a quello della persona umana, giacché
la stessa società non si può concepire se non come valore necessario per
il bene dei singoli. Bene non significa il bene egoistico e particolare di
questo o di quell'individuo, di questa o di quella categoria, ma si tratta
del bene-fine, cioè del fine a cui ciascun uomo tende; in tale senso san
Tommaso lo chiama "bonum commune".
L'elemento
insostituibile della società è la famiglia; tutti hanno il diritto di
formarsi una famiglia; a essa presiede lo sposo e padre come monarca nel
suo regno, come Cristo nella sua Chiesa. Il matrimonio, oltre che a
rappresentare un valore umano di unità inscindibile, è un mezzo efficace
di santificazione, è un sacramento, è una unione divina che nessuna
umana autorità può sciogliere, neppure gli stessi coniugi; la sua natura
è feconda di grazia santificante. I figli sono il frutto dell'amore dei
coniugi; al padre spetta il diritto e il dovere di educarli secondo i
princìpi umani e cristiani. Pari al diritto della famiglia, è quello
della proprietà privata, intesa come mezzo necessario per il
conseguimento del bene naturale, sia individuale che comune; il
raggiungimento di questo fine costituisce un mezzo necessario per il
conseguimento del fine ultimo, sia in ordine alla natura, sia in ordine
alla grazia.
Alla
società presiede un'autorità costituita, così come la ragione presiede
alle altre facoltà, e come la ragione non può presentare se non il bene,
come oggetto da appetire, così ufficio dell'autorità è quello di
promuovere il bene tra i cittadini. Per attuare questa funzione si serve
delle leggi che costruisce, propone e impone per il bene comune.
L'efficacia delle leggi è riposta nella fonte donde il legislatore le
attinge, cioè nella "lex aeterna" di Dio, l'ordine
impresso da Dio alla creazione e che l'uomo è capace di conoscere con la
sua ragione: "la prima regola della ragione è la legge naturale -
insegna l'Aquinate - sicché ogni legge fatta da un'autorità umana in
tanto corrisponde al concetto ideale di legge in quanto è derivata dalla
legge naturale; se, al contrario, discorda in qualche punto dalla legge
naturale, non sarà legge, ma corruzione della legge".
La
miglior forma di governo: una monarchia da autorità espresse dal popolo
Circa
la forma di governo san Tommaso dichiara la convenienza di una monarchia
elettiva, in cui il principe diriga la cosa pubblica con la collaborazione
e il consiglio dei rappresentanti di tutte le categorie sociali espresse
dal popolo: "Al popolo spetta l'elezione dei governanti -
insegna san Tommaso - e questa è una istituzione conforme alla legge
divina". Il monarca nei confronti delle società deve essere ciò
che l'anima è rispetto al corpo; deve governare analogamente alla
Provvidenza divina, che dirige le cose della natura, giacché Dio lo ha
posto in sua vece nel governo degli uomini, affinché illumini e diriga,
provveda ed elevi il consorzio sociale di cui è capo. Ove il principe non
agisse in tal senso, la sua opera sfocerebbe nella tirannide; ma se tale
tirannide compromettesse il bene comune, la società ha il diritto di
spodestarlo.
I
governanti, dunque, devono possedere in sommo grado la prudenza, la
giustizia, la saggezza e soprattutto la capacità di imitare la
Provvidenza divina, apprestando ai cittadini tutti i mezzi necessari al
raggiungimento del fine sociale, cioè del bene comune. I mezzi principali
per tale fine sono la concordia dei cittadini, l'incremento
dell'istruzione, il progresso economico e così via.
Connessa
e metafisicamente superiore all'autorità politica è la potestà della
Chiesa la cui natura è direttamente divina e comprende de iure tutti
i popoli della terra. La sua funzione è spirituale; il suo fine è il
conseguimento della felicità eterna, fine soprannaturale a cui tende
l'umanità redenta da Dio per mezzo di Gesù; i suoi mezzi sono le verità
rilevate o dogmi, i sacramenti e la liturgia. E' istituita e voluta da
Cristo stesso, perpetuata dagli apostoli e dai loro successori, i quali
costituiscono una monarchia gerarchica con a capo il Papa. Il singolo, la
società, tutti i popoli, compresi i loro reggitori, debbono alla Chiesa
sottomissione e obbedienza per tutto ciò che concerne l'eterna salvezza.
E' compito della Chiesa intervenire nelle questioni politiche, quando i
reggitori della cosa pubblica abusano del potere e turbano l'ordine
naturale e il bene comune, quali premesse indispensabili e necessarie
condizioni per la vita soprannaturale. In tal senso lo Stato è
subordinato alla Chiesa, come i mezzi al fine, il corpo all'anima, il
particolare all'universale, l'umano al divino.
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