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8. Proiezione del
tomismo nella filosofia dei secoli successivi.
Sia
in vita che dopo la morte Tommaso d'Aquino è stato giustamente apprezzato
e studiato, ma anche duramente combattuto, mal interpretato e
ingiustamente rifiutato. In vita, Tommaso d'Aquino, superate le lotte di
una vocazione contrastata (che non era soltanto vocazione contemplativa,
ma specificamente vocazione agli studi e alla povertà), visse
nell'Università di Parigi trionfali successi e subì fiere opposizioni.
Abbiamo già visto che nel 1277, dopo tre anni appena dalla sua morte,
quando era ancora vivo nei suoi seguaci il ricordo della sua vita
esemplare e della genialità della sua dottrina filosofica e teologica,
Etienne Tempier, vescovo di Parigi, coinvolse alcune tesi tomistiche nella
condanna dell'averroismo (che in realtà non aveva mai avuto più strenuo
avversario e più acuto critico di Tommaso). Immediatamente dopo questo
intervento del vescovo di Parigi, un francescano, Guglielmo de la Mare
(morto nel 1298), pubblicò una dura critica della filosofia di san
Tommaso, intitolata Correctorium fratris Thomae. Successivamente,
anche l'Università di Cambridge denunciò come inammissibili alcune tesi
di san Tommaso (nel 1284 e nel 1286). Alla canonizzazione del 1323
seguirono alterne vicende, mentre saliva l'ondata dell'umanesimo, che
oscurò ma non travolse l'influenza storica del pensiero tomistico,
riconoscibile in alcuni grandi umanisti (da Ficino a Pico della Mirandola)
e in pensatori del Rinascimento (dall'ultimo Erasmo all'ultimo
Campanella). La presenza dell'ispirazione tomistica nelle deliberazioni
del Concilio di Trento (1545-1563) è determinante: basti pensare che
nell'aula conciliare la Summa theologiae dell'Aquinate figurava al
centro, di fianco alla Sacra Bibbia; i teologi che collaborarono con i
padri conciliari nell'elaborazione dei testi (Domingo de Soto, Melchor
Cano e Pietro Canisio, tra gli altri) erano di scuola tomista, e il
confronto tra i testi poi promulgati e la dottrina di san Tommaso mostra
quanto quest'ultima sia stata presa in considerazione nella formulazione
dei dogmi tridentini, specialmente per quanto riguarda i rapporti tra
natura umana e grazia, l'assenso libero alla fede e la vita morale.
La
proclamazione dell'universalità della dottrina di san Tommaso (Doctor
communis) nel 1567 sembra segnare il fastigio della sua fama; poi però
seguì un periodo di latenza, che parve ad alcuni irrevocabile declino. La
rinascita del tomismo nell'Ottocento fu promossa da un orientamento
spontaneo di pensiero, al quale l'enciclica Aeterni Patris di Leone
XIII (1879) dette non l'impulso iniziale, ma il suggello dell'autorità
pontificia. Infatti, agli inizi del secolo XIX Vincenzo Buzzetti e
Serafino Sordi trovarono nel pensiero tomistico la chiave risolutiva di
molti problemi che avevano cercato invano nel sensismo illuministico,
retaggio del secolo precedente. Questa verità storica riceve più vivida
luce se viene adeguatamente valutata nel quadro del contemporaneo pensiero
europeo. La reazione all'illuminismo in Germania si concretò nel pensiero
di Herder, nonché nello Sturm und Drang e nella primavera
romantica, e si approfondì, differenziandosi e variamente configurandosi,
in Fichte, in Schelling e in Hegel. L'Italia invece attinse largamente
alla sua tradizione, e ne scaturì la rinascita tomistica, che ebbe i suoi
rappresentanti, oltre che in Vincenzo Buzzetti e nei fratelli Serafino e
Domenico Sordi, in altri filosofi come Taparelli d'Azeglio, Liberatore,
Sanseverino, Prisco, Talamo, nei fratelli Gioacchino e Giuseppe Pecci.
Le
grandi encicliche di Gioacchino Pecci (divenuto papa col nome di Leone
XIII) risentono senza dubbio del grande afflato tomistico. Nella scia di
quella rinascita, la Chiesa superò la crisi modernistica, come aveva
superato - con il Concilio di Trento - l'attacco della Riforma
protestante. Dopo questo successo, per la confluenza di vari fattori che
non possiamo qui indagare, il tomismo parve cristallizzarsi in manuali
raramente animati da un'autentica vena speculativa. Sopravvenne quindi
l'oblio di oggi, un oblio certo limitato e parziale se nella pragmatica
America del Nord e nella mistica Russia post-comunista e nel lontano
Giappone si moltiplicano edizioni e traduzioni di opere tomistiche, e in
Italia Roberto Busa ha realizzato, con l'aiuto dei calcolatori elettronici
della IBM, un Index thomisticus in 30 volumi.
La
figura che il tomismo letterale e l'antitomismo (letterale e non
letterale) hanno tramandato nell'immobile ieraticità di un mosaico
bizantino fu in realtà una personalità estremamente complessa, capace di
fondere in mirabile armonia attività che raramente s'incontrano insieme:
dallo slancio lirico del poeta (quale si effonde negli inni eucaristici)
alla prosa severa e controllata del filosofo, con quel suo sobrio e
limpido latino di cui Dante gli dà lode; dalle singolari, irripetibili
esperienze del mistico allo spirito critico e alla logica sottile di un
infaticato indagatore che poteva dettare contemporaneamente a tre o
quattro segretari su diversi argomenti; dall'esaltazione della vita
contemplativa alla conoscenza profonda del cuore umano, scandagliato nelle
sue passioni e nelle sue virtù. Umile frate mendicante, ma anche
consigliere e commensale di re, viaggiatore, oratore, docente e scrittore
infaticabile, visse una multiforme esperienza, i cui vasti orizzonti si
riflettono nelle sue opere, nelle quali soltanto e non in vecchi manuali o
in recenti compilazioni storiche va ricercata la vitalità del suo
pensiero. Tommaso d'Aquino non fa moda, anzi è al di fuori di ogni moda,
ma il nucleo sostanziale del suo pensiero filosofico e teologico è
tuttora fecondo e non può essere certamente ravvisato in parti
accessorie, legate a particolari situazioni del suo tempo. Non possiamo ad
esempio rivitalizzare la fisica celeste o terrestre, che era quella del
suo tempo, ma possiamo indicare anche in questa materia accuratamente
studiata, ancorché non fosse per lui d'interesse primario, un'intuizione
che ha il suo valore storico, in quanto si slancia di là dai limiti della
cultura del suo tempo. Sia nel Commentario alla Metafisica aristotelica
(cfr. In Metaphysicorum, 1, 12, 10) che in quello al De coelo et
mundo, le teorie di Eudosso, di Callippo e di Tolomeo sono non solo
esposte, ma valutate esattamente per quello che sono come "opiniones"
o "suppositiones" (ipotesi diremmo oggi) non
certamente assurde, perché anche studiosi moderni ne hanno apprezzato
l'ingegnosità, ma non tali da assurgere a evidenza scientifica. Infatti,
con acume critico eccezionale per i suoi tempi san Tommaso commenta: "Licet
enim, talibus suppositionibus factis, apparentia salvarentur, non tamen
oportet dicere has suppositiones esse veras, quiaforte secundum aliquem
alium modum, nondum ab hominibus comprehensum, apparentia circa stellas
salvantur. Aristoteles tamen utitur huiusmodi soppositionibus quantum ad
qualitatem motuum tamquam veris" [SAN TOMMASO, In De coelo et
mundo, 2, 12, 17]; san Tommaso si riferisce al principio fondamentale
della scienza della natura, ossia alla necessità di formulare ipotesi di
spiegazione ("suppositiones") che siano compatibili con
l'esperienza immediata e certa, cioè con quelli che modernamente
chiamiamo "fenomeni" e che gli scolastici chiamavano "apparentia"
(termine che traduce letteralmente il greco phainómena). Ma,
osserva giustamente san Tommaso, perché un'ipotesi sia convincente non
basta che "salvi i fenomeni": bisogna che escluda anche le altre
ipotesi altrettanto plausibili; se tale esclusione non è possibile
l'ipotesi di cui sopra resta tale e convive con le altre. Ai nostri
giorni, KARL POPPER, nel suo saggio su Congetture e confutazioni, non
aggiunge molto di più a questo principio di filosofia della scienza
presente in modo esplicito in Tommaso d'Aquino.
Certo,
può essere esagerato vedere in quel passo un diretto preannuncio di
Copernico e di Galileo; è certo però che il passo documenta il senso
critico, la cautela e una sia pur generica esigenza di un modo diverso di
spiegare i fenomeni astronomici, nonché un'indipendenza di giudizio nei
confronti di Aristotele che contribuisce a far la tara al cosiddetto
"aristotelismo" di san Tommaso.
Come
ha osservato il papa Giovanni Paolo II (che già prima dell'elezione al
soglio pontificio era un autorevole filosofo di formazione
fenomenologica), san Tommaso, a motivo dei suo coerente realismo
metafisico, deve essere considerato "un autentico pioniere del
moderno realismo scientifico, che fa parlare le cose, mediante
l'esperimento empirico, anche se il suo interesse si limita a farle
parlare dal punto di vista filosofico. Piuttosto, c'è da domandarsi se
non sia proprio il realismo filosofico che, storicamente, ha stimolato il
realismo delle scienze in tutti i loro settori" [Discorso del
13 settembre 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo 11, vol. 11, t. 2,
Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1981, p. 607].
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