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Annotazioni sullo sviluppo a cura del Comitato per la salvaguardia dei Piccoli Centri
Il Santuario di S. Antonio abate in agro di Grottole sorge nella parte più alta del bosco di Fosso Magno, a circa 12 Km dal centro abitato di Grottole, sul limite di un esteso pianoro sul quale si conclude la strada che salendo dalla valle costeggia i resti dell’abitato scomparso di Altojanni. La documentazione cartacea relativa a questo complesso architettonico non è molta, ma fornisce comunque numerose notizie, seppur frammentarie, che ci aiutano a tracciare per sommi capi l’origine e lo sviluppo di questo luogo di fede che venne edificato, secondo la storiografia locale dall’Ordine Ospedaliero di S. Antonio abate di Vienne[2] tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo[3]. L'insediamento antoniano di Grottole si ricollega direttamene alle regole insediative di quest’Ordine che prediligeva nell’edificazione dei propri insediamenti ospedalieri luoghi che fossero vicini alle grandi vie di comunicazione[4], nei pressi di centri abitati[5] e in luoghi dove fosse facile l’approvvigionamento idrico[6] e l’eliminazione dei rifiuti. Per tradizione, si vuole che, affiancato all’antica cappella, vi fosse un ospedale (cosa assai comune nelle fondazioni Antoniane), anche se nella più antica descrizione del Santuario, che ricaviamo dalla visita pastorale che il Vescovo Giovanni Michele Saraceno effettuò in Grottole “nel dì della luna 21.4.1544”[7], non si fa nessun cenno della presenza di una tale struttura che, se vi era stata nel passato, doveva già essere stata soppressa. Inoltre apprendiamo da un atto datato 1742 che “il beneficio seu chiesa beneficiale sotto il titolo di S. Antonio di Vienna, sita nella terra di Grottole in Diocesi di Acerenza e Matera” dipendeva dall’Arcivescovo di Napoli “Abate e Generale Precettore della Venerabile Badìa di S. Antonio da Vienna di questa prefata città di Napoli, e di tutte le Chiese, Cappelle, Oratorii, e Beneficii sotto detta invocazione Generale”[8], che provvedeva a nominare il rettore del santuario di Grottole. Successivamente, dal 1775 circa , il Santuario, così come le altre case dello stesso ordine, passò all’ordine Costantiniano. In seguito alle soppressioni ottocentesche, divenne di regio patronato e la cura spirituale passò al clero diocesano della parrocchia dei SS. Luca e Giuliano di Grottole (Matera), che ancora attualmente l’amministra.
Il complesso monumentale del Santuario
Il pregio maggiore del complesso monumentale del Santuario di S. Antonio abate di Grottole e la pressoché perfetta leggibilità delle varie fasi costruttive che possono riassumersi principalmente in due fasi importanti. La prima, relativa alla struttura primitiva, è da ascriversi presumibilmente tra la fine del XIV e l’inizio del XV, a questa fase appartengono l’attuale refettorio, che sino al ‘600 era la primitiva chiesa[9] del complesso, e gli ambienti del piano terra indicati comunemente come “casa del fratocchio”. Altrettanto ben visibile è il secondo ampliamento del complesso architettonico avvenuto nei primi del ‘700 che portò all’edificazione del piccolo loggiato, delle due scale di accesso esterne e di numerose camere, su parte delle originarie strutture medievali, e dell’attuale chiesa, consacrata il 17 febbraio 1733[10].
Elementi strutturali e artistici del complesso
La facciata dell’attuale edificio si presenta molto sobria e pressoché priva di elementi decorativi significativi. Il portale di accesso esternamente è sovrastato da una nicchia con una piccola riproduzione della statua del Santo e da un rosone cieco, mentre dai documenti d’archivio[11] apprendiamo che su di esso, internamente, figurava un iscrizione che forniva gli anni d’inizio e di fine costruzione dell’attuale edificio, il 1728 ed il 1733[12]. A fianco della facciata si apre un altro ingresso ricavato in un corpo addossato al più antico, nel quale è collocata una navatella laterale. Il santuario è formato da una navata affiancata sulla destra, da una seconda navata molto più bassa della prima e modulata in due campate, che conserva due altari. Sulla sinistra dell’aula principale si aprono tre archivolti di cui uno utilizzato per un altare. La copertura dell’aula è a botte lunettata. Il presbiterio è leggermente sopraelevato ed è coperto da una volta a calotta. L'altare maggiore è in marmo ed è stato ricostruito nel 1959 e custodisce una Statua di S. Antonio abate (S. Antuono, nel dialetto locale) in legno intagliato e dipinto, ritoccata con stucco, databile intorno ai primi decenni del secolo XVIII e restaurata più volte, attribuibile a ignote maestranze locali. Sul lato destro del presbiterio si apre l’ingresso alla sacrestia, coperta da una volta a padiglione lunettata, che è chiusa da una porta lignea di un certo pregio[13], seppur in mediocri condizioni di conservazione. L’attuale configurazione dell’edificio sacro presenta all’interno limitati interventi quali il sobrio apparato decorativo in stucchi, realizzati nella seconda metà del secolo XIX. Altri manufatti presenti nella chiesa sono due statue rappresentanti S. Rocco e S. Vito, ed un interessante crocifisso ligneo. Un’altra statua del Santo di piccole dimensioni è conservata in una nicchia sovrastante il portale d’ingresso, mentre una raffigurazione del solo volto del Santo realizzata con marmi policromi incisi, è incastonata in un ovale che decora un’acquasantiera degli inizi del secolo XIX. Un’altra acquasantiera in pietra scolpita raffigurante una conchiglia poggiata su una testa d’angelo[14].è presente nei pressi della porta d’accesso alla navata principale. Al santuario è addossato un gruppo di edifici che configurano una struttura attrezzata per la residenza di una piccola comunità o di gruppi di pellegrini. Al piano terra si evidenzia l’esistenza di un gruppo di ambienti coperti a botte e dotati di ingresso autonomo. Al piano superiore una serie di piccoli vani sono divisi da spazi comuni che conservano l’originaria pavimentazione in mattoni e da due scale esterne di cui una coperta da un elegante loggiato settecentesco. Un portale d’ingresso di un ambiente del piano terra presenta un arco ogivale realizzato con insetti lapidei ben squadrati, che per questo nucleo dell’edificio lascia ipotizzare una datazione tardo medievale, all’interno di questo ambiente troviamo anche un monumentale focolare di datazione incerta.
Indicazioni per Il restauro DEL COMPLESSO
Presa visione dello stato di grave degrado che interessa la parte più antica del complesso, prima di procedere a qualsivoglia intervento di progettazione esecutiva sarebbe opportuno che si appuri con chiarezza se il cedimento strutturale che si evidenzia sia dovuto ad un una polverizzazione delle malte o a un cedimento del suolo. Pertanto andrebbe effettuata una perizia geologica accurata con relativi carotaggi affiancata da un’analisi delle malte di costruzione al fine di reperire le necessarie informazioni per stabilire quali interventi mettere in essere per arrestare efficacemente il cedimento in atto. Il restauro del complesso dovrà necessariamente puntare al mantenimento dell’esistente, a tal proposito segnaliamo alcune strutture da salvaguardare: - In primis i resti dell’affresco, seppur assai scolorito, presente sulla facciata della casa del fratocchio. Segnaliamo che sopra questo affresco devozionale si trovano varie incisioni e disegni a carattere religioso, individuate recentemente dall’architetto dalla Soprintendenza Lafratta[15], che possono fornire utili informazioni storico antropologiche su questo luogo. E’ essenziale che sia l’affresco che queste scritte, per quanto possibile, non vengano cancellate o alterate. - In merito alla facciata del Santuario e al suo tipico colore bianco crediamo sia opportuno che venga mantenuto, sia perché acquisito all’immaginario collettivo di questo luogo ma anche perché questa caratteristica è già documentata nelle foto dei primi del novecento. Stonacare la facciata, riportandola ad una inesistente purezza medioevale[16] o mutargli la colorazione altererebbe gravemente la percezione storico-artistica di questo manufatto architettonico. Invece andrebbe valutata attentamente la possibilità di riaprire il rosone cieco esistente sopra la porta principale di accesso alla chiesa. Si restituirebbe così, a questo interessante elemento architettonico, la sua funzione originaria di fonte di luce per la navata principale. - L’interno dei locali di servizio del Santuario, sia al piano terra che al primo piano, ha conservato ancora l’originale pavimentazione in mattoni, cosa che si verifica raramente in queste strutture dove spesso si verificano inopinate ricoperture con pavimenti moderni (cosa che si è già verificata nella chiesa e nel refettorio). Pertanto questa semplice pavimentazione andrebbe preservata e mantenuta, eventualmente smontandola durante i lavori per non danneggiarla e rimontandola in loco, secondo il disegno con cui è stata assemblata nel settecento. Basterebbe solo lucidarla[17] per farle riprendere la colorazione originaria.. Sarebbe altresì opportuno eliminare la pavimentazione moderna esistente nella chiesa, nella sacrestia e nel refettorio e sostituirla con altra pavimentazione moderna che si avvicini, per qualità cromatiche e visive, a quella ancora esistente nel resto del complesso. - Il restauro dell’interno della chiesa del Santuario non pone grosse difficoltà, va da se che l’altare maggiore pur se ricostruito nel 1959 e non particolarmente di pregio non andrebbe smontato o rifatto sia perché non esistono foto o planimetrie che mostrano come fosse strutturata questo altare precedentemente, ma anche per non creare falsi storici.. Invece sarebbe opportuno eliminare il moderno rivestimento in marmo che ricopre la parete su cui poggia l’altare maggiore che, obbiettivamente, si inserisce malissimo nella semplice architettura della cappella e che non ha nessun pregio, ne stilistico ne cromatico. - In sede di restauro andrebbe valutata la possibilità di fare dei saggi per individuare all’interno della chiesa, sopra l’entrata principale, l’iscrizione che qui vi era dipinta e provvedere alla pulitura e restauro di quella omologa posta in sacrestia - Nel restauro del complesso sarebbe opportuno non eliminare le canalizzazioni delle acque piovane che sono visibili in questo edificio, invece si dovrebbe valutare se sfruttarle riattivandole alla loro funzione originaria o se mantenerle solo come testimonianza dell’antico sistema di gestione delle acque meteoriche che in origine, dopo essere stata raccolte, confluivano nel pozzo cisterna ancora oggi esistente. - Sulla base delle recenti scoperte sarebbe opportuno fare dei saggi all’interno del refettorio del Santuario, che è stata individuato come la primitiva chiesa di questo complesso, al fine di appurare se è rimasta traccia, sotto gli intonaci, di decorazioni o pitture di sorta. - Sarebbe opportuno, contestualmente al restauro, provvedere alla progettazione degli impianti tecnologici da cui questa struttura sarà servita (impianto di illuminazione esterna, pozzi per la raccolte delle acque bianche e nere, bagni per i pellegrini) che devono essere funzionali a servire una piccola comunità. Infatti essendo iniziati i contatti con i responsabili ecclesiastici competenti non è da escludere che al termine del restauro si possa insediare, in questo luogo, una piccola comunità di religiosi o di laici consacrati. - Poiché la somma stanziata dalla regione Basilicata servirà sia per il restauro del Santuario che per gli scavi archeologi ad Altogianni chiediamo che si provveda, con i soldi destinati agli scavi, ad acquisire al Demanio tutta l’area archeologica da studiare. Non ha senso prendere in affitto dai proprietari queste aree per la durata dello scavo, invece la loro definitiva acquisizione permetterà una loro migliore tutela e soprattutto la possibilità di poter valorizzare questa zona, visto che si tratta di terreni incolti, con altri progetti ed altre campagne di scavo Terminiamo questa lunga digressione ricordando che tutti gli interventi di restauro che saranno previsti sul complesso del Santuario di S. Antonio abate di Grottole debbono essere valutati con grande attenzione, nell’ottica di una conservazione volta al riuso di questa struttura. Per evitare incomprensioni tra i realizzatori del restauro e le associazioni che da alcuni anni stanno adoperandosi per la tutela e la valorizzazione di questo bene sarebbe opportuno che vi fosse uno scambio di idee costante e proficuo tra questi soggetti, al fine di evitare inutili controversie e contestazioni. Sarebbe opportuno che il progetto di restauro scelto, prima di essere realizzato, venga discusso e condiviso largamente dalle associazioni e dalle comunità coinvolte nella valorizzazione di questo luogo, in un ottica di coinvolgimento attivo nella “tutela di questo antico luogo di fede lucano”.
[1] Questo lavoro di ricerca è stato realizzato dal
Comitato per la Salvaguardia, su richiesta dei Volontari per il
Santuario dell’Associazione Finisterre di Grassano sulla base della
documentazione fotografica e documentale fornitaci.
[2] Per una sintetica storia dell’Ordine Ordine Antoniano
di Vienne: A. Giganti, La chiesa di Sant’Antuono di Opido Lucano, ed.
Ermes, 2000, pp.6-17.
[3] Valeria Verrastro (a cura di), Con il bastone del
pellegrino, attraverso i santuari cristiani di Basilicata, Altrimedia
Edizioni, Matera, 2000, p.68.
[4] Dobbiamo a Idrisi, geografo di Ruggero II, la
segnalazione della fitta rete di percorsi interni della Basilicata che
consentiva a questa provincia del Regno di svolgere un ruolo strategico
nel contesto viario del Mezzogiorno, uno di questi andava “da Alto
Gianni per Tricarico diciotto miglia, per Montepeloso sei”. Cft. P.
Dalena, Strade e percorsi nel meridione d’Italia (secc.VI-XIII)”, in
Bollettino storico della Basilicata, n.10, 1994, p.39.
[5] Si tratta dello scomparso abitato di Altogianni, posto
poco lontano dal Santuario, di cui è possibile vedere ancora oggi le
ampie rovine.
[6] Ancora oggi nei pressi del Santuario vi sono due
sorgenti d’acqua ancora attive e poco lontano si trova anche l’antica
“fontana vecchia”.
[7] Cfr. Grillo Antonio, Acerenza e Matera. La visita
pastorale nella Diocesi 1543-1544, Tip. Finiguerra, Lavello, 1984.
[8] Tommaso Andreucci, Una pagina di storia patria,
Napoli, coop. Tipografica, 1910, p.133.
[9] La “chiesa vecchia” è stata identificata nell’attuale
“refettorio” sulla base della descrizione riportata in un documento del
1742 nel quale si ricorda che “accanto alla detta chiesa (nuova) vi sono
un sottano, che era la chiesa vecchia con focagna per abitazione dei
devoti con camerino anche sottano con dispensa per abitazione dei devoti
con camerino anche sottano con dispensa, e ad un’altra pinta di detta
casa vi è un altro piccolo camerino, ossia dispensa”[9].
Cfr. T. Andreucci, op. cit., p.131.
[10] “Anticamente sulla porta maggiore della chiesa, dalla
parte interna, figurava un iscrizione che forniva gli anni d’inizio e di
fine costruzione dell’attuale edificio, il 1728 ed il 1733. La notizia è
confermata da un’altra lapide della sagrestia, oggi scarsamente
leggibile, nella quale si afferma che l’originario piccolo sacello fu
ampliato e portato alle attuali dimensioni in seguito ai lavori condotti
dal 1728 al 1733: il 17 febbraio di quell’anno mons. Cesare Rossi,
vescovo di Montepeloso, consacrò la nuova chiesa”, cit. da V. Verrastro,
op. cit., p.70.
[11] Cfr. V. Verrastro, op. cit..
[12] La notizia ci è confermata anche da un’altra lapide
posta nella Sagrestia, oggi scarsamente leggibile, nella quale si
afferma che l’originario piccolo sacello fu ampliato e portato alle
attuali dimensioni in seguito ai lavori condotti dal 1728 al 1733: il 17
febbraio di quell’anno mons. Cesare Rossi, vescovo di Montepeloso,
consacrò la nuova chiesa. Cfr. Verrastro V., op. cit..
[13] Dalle caratteristiche costruttive dovrebbe trattarsi
di una porta di riuso, forse proveniente da un altro edificio.
[14] Questa acquasantiera è quasi soffocata dalle
successive intonacature che hanno interessato la chiesa ed è un utile
indicatore di quale fosse il livello delle strutture murarie originarie.
[15] Responsabile del primo intervento di consolidamento
fatto dalla Soprintendenza su questo luogo.
[16] Sarebbe un falso storico perché l’attuale chiesa, dai
documenti reperiti, risulta edificata tra il 1728 ed il 1733. Cfr.
Verrastro V., op. cit..; AA.VV, Alla scoperta del Santuario di S.
Antonio abate di Grottole, Cd-rom edito a cura dell’Associazione
Finisterre, 2002.
[17] Questo intervento non particolarmente complesso è
ormai prassi consolidata nel restauro conservativo di questi materiali,
soprattutto in Toscana.
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Crolla o non crolla,
Storia, arte e religiosità al Santuario di Grottole
Sul Santuario ed Altogianni.
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